giovedì 9 maggio 2013

Simona Gori. L'evoluzione dell'abbigliamento femminile dal Risorgimento agli anni '20



Il figurino e i  periodici di moda dalla  nascita 
agli anni ’20 del  1900


Il figurino di moda d’epoca non solo costituisce oggi una preziosissima fonte per lo studio della storia del costume e della moda e per la catalogazione del patrimonio di abiti antichi conservati nei musei, ma, ad una più attenta considerazione, si configura anche come documentazione importantissima per uno studio del costume in senso più ampio: dal figurino possiamo infatti trarre utili informazioni non solo sulla forma e sullo stile dell’abito, ma anche su tutto ciò che esso rivela del preciso periodo storico, sociale e culturale in cui è nato.
Esistono, presso biblioteche italiane ed estere, importanti raccolte di queste illustrazioni di moda anche se alcune non sono molto conosciute per carenza di studi in merito. Per quanto riguarda l’Italia possiamo citare le collezioni conservate in alcune biblioteche come: la Biblioteca del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano a Torino, la Biblioteca del Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume (che ha sede nella Biblioteca del Museo di Palazzo Mocenigo) a Venezia, la Biblioteca Marucelliana di Firenze (Fondo Gamba). Per l’estero possiamo ricordare ad esempio le raccolte ospitate presso: il Cabinet des Estampes della Biblioteque National di Parigi, la Library of Congress di Washington, ecc.
In particolare vorrei soffermarmi brevemente sulla collezione di figurini della Biblioteca Marucelliana di Firenze contenuti nel Fondo Gamba, che ho avuto la possibilità di visionare nella sua interezza nell’ambito di uno studio da me condotto sull’abito da ballo nel periodo 1850-’70.
 Tale Fondo, di proprietà del conte Carlo Gamba, fu da lui donato alla Biblioteca nel 1956 e contiene 15.498 figurini che vanno dalla fine del 1700 agli inizi del 1900. L’importanza di questa collezione risiede dunque, oltre che nel numero di esemplari, anche nel lungo arco temporale che abbraccia, il quale permette allo studioso del costume di avere un affresco dettagliato delle evoluzioni delle fogge abbigliamentarie susseguitesi per più di un secolo.
Gli abiti rappresentati nei figurini, per la maggior parte femminili, sono di diverse tipologie: da ballo, da teatro, da visita, da villeggiatura, sportivi, ecc. Nell’Ottocento, infatti, ogni occasione richiedeva il suo particolare tipo di abito, il quale doveva distinguersi a seconda del luogo, delle circostanze e della società che si era soliti frequentare, e doveva essere cambiato almeno tre volte al giorno: al mattino, al pomeriggio e alla sera. Inoltre anche le stagioni, l’età, il fatto di essere nubili o maritate, influivano sulla scelta del giusto abbigliamento. Per non parlare delle occasioni particolari come fidanzamenti, matrimoni, battesimi e lutti. Pur essendo la maggioranza delle tavole dedicata agli abbigliamenti femminili, non si può far a meno di menzionare anche la presenza di illustrazioni di fogge maschili e di abbigliamenti infantili, nonché una cospicua sottoraccolta di travestimenti e costumi per il Carnevale.
Le riviste di moda a cui questi figurini appartenevano erano varie testate molto in voga al tempo, in prevalenza francesi, in quanto era Parigi a dettare le regole della moda, alla quale tutti si ispiravano. Nella raccolta è presente però anche un certo numero di figurini tratti da riviste italiane (le quali curiosamente portavano spesso titoli tradotti dalle più note riviste di moda francesi), inglesi, tedesche, austriache e spagnole. Per fare solo alcuni nomi fra le più famose riviste francesi possiamo menzionare: il «Petit Courrier des Dames», «La Saison», «Les Modes Parisiennes», «Le Follet», «L’Illustrateur des dames»; e poi «La Mode Illustrée» , «Le Monde Elegante» e «Le Moniteur de la Mode», a cui corrispondevano le italiane «La Moda Illustrata», «Il Mondo Elegante», «Il Monitore della Moda», oltre alle quali è doveroso menzionare il «Corriere delle Dame», «Le Ore Casalinghe», «La Novità», «Margherita».
Mi soffermerò in seguito a parlare più ampiamente delle riviste di moda, intanto vorrei tracciare un excursus sulle origini del figurino di moda prima della nascita, alla fine del Settecento, dei periodici femminili, attraverso i quali, esso raggiunse piena compiutezza e massima diffusione.
L’antesignano del figurino di moda può essere individuato nei repertori di stampe di abiti che cominciarono a circolare nella seconda metà del XVI secolo, e la cui origine viene rintracciata in genere dagli studiosi nella curiosità per l’abbigliamento delle nuove popolazioni scoperte a seguito della conquista del Nuovo Mondo. A ciò si aggiunse, in un momento in cui si costituivano i nuovi codici aristocratici delle corti, fatti di norme, regole e segni distintivi di appartenenza, la necessità di stabilire anche un codice abbigliamentario di riconoscimento sociale, cosa che non poteva essere realizzata che attraverso la creazione di repertori illustrati.
La prima raccolta di cui si abbia notizia sembra essere quella pubblicata a Venezia nel 1558, ad opera di Enea Vico, sotto il titolo di Diversarum gentium nostrae aetatis habitus, che presenta 98 tavole di costumi di varie parti del mondo; ad essa ne seguirono numerose altre ad opera di autori sia italiani che esteri; la più importante risulta essere quella di Cesare Vecellio, Degli habiti antichi e moderni di diverse parti del mondo..., Venezia, 1590 (fig.5). I testi dettagliati, gli abiti italiani da lui attentamente osservati, la varietà dei costumi presentati, contribuirono alla grande fortuna di questa raccolta.
I repertori illustrati furono in voga fino al 1620 circa. In seguito apparvero delle incisioni di moda, ma solo in Francia e con la caratteristica di riprodurre gli abbigliamenti della corte di Luigi XIV. Il re voleva infatti stabilire una supremazia della moda della sua corte in tutta Europa e non a caso il primo giornale di moda, edito a Parigi nel 1672, il «Mercure Galant», nacque proprio sotto il suo regno per diffondere tale codice abbigliamentario. Il tentativo editoriale però, rimase un fenomeno isolato, circoscritto alla moda di quella corte.
Sugli inizi del XVIII secolo ebbero larga diffusione gli almanacchi con incisioni di moda, mentre sul finire del secolo si riscontra, a seguito di una domanda sempre più ampia, una fioritura di serie incise di stampe di cui la più importante è la Gallerie des Modes et Costumes francais che esce a Parigi dal 1778 al 1787. L’importanza di questa raccolta, che la fa ritenere l’antesignana più prossima della rivista di moda, risiede nella sua periodicità e nell’attenzione alla qualità delle incisioni proposte, dando molta importanza anche ai colori, quasi assenti nelle serie precedenti.
La prima vera testata di moda a periodicità regolare, il «Cabinet de modes ou les Modes Nouvelles», nacque nel 1785 a Parigi e ottenne un notevole successo, dando vita ad innumerevoli imitazioni sia in Francia che all’estero. In Italia, nel 1786, vide la luce a Milano il «Giornale delle Nuove Mode di Francia e d’Inghilterra», mentre nello stesso anno a Venezia venne pubblicato «La Donna Galante ed Erudita». Altri giornali nacquero a Londra, a Vienna e in altri grossi centri europei: divenne così decisivo il ruolo giocato dalle riviste e dal figurino di moda nel diffondere in tutta Europa le voghe imperanti nelle grandi capitali.
Il periodico di moda si diffuse ampiamente sia per la presenza di elementi mai riscontrati prima come la periodicità, il costo limitato, l’uso sistematico di immagini, ma soprattutto a causa dei rivolgimenti sociali, economici e culturali che interessarono quel preciso momento storico.
Dopo la rivoluzione francese la borghesia, nuova classe sociale emergente, aveva bisogno di rafforzare la propria immagine, di ‘legittimarsi’, anche attraverso l’abito, che divenne un vero e proprio status-symbol. Ciò avvenne attraverso un processo di imitazione nei confronti dell’aristocrazia e al contempo di distinzione dalle classi inferiori che generò anche un più veloce cambio delle mode: ogni volta che una moda raggiungeva gli strati più bassi della società, ne nasceva subito un’altra nelle classi più alte.
È interessante notare come il periodico di moda attragga e si indirizzi fin da subito al pubblico femminile, tanto da rimanere, per quasi un secolo, l’unica fonte di letture periodiche destinata alle donne. Infatti è proprio in questi anni che si crea un nuovo rapporto, molto più stretto, fra la donna e la moda (da cui l’uomo è escluso), tanto da far nascere il binomio donna-moda dal quale ancora oggi non ci siamo del tutto liberati. Il motivo è da rintracciarsi nelle cosiddetta ‘grande rinuncia’ che l’uomo aveva attuato nei confronti della moda intesa come sfarzo, decorazione, colore, in base alla nuova etica borghese del lavoro che esigeva una serietà che deve essere espressa anche attraverso l’abito. Perciò l’uomo, da ora in poi, indosserà la cosiddetta ‘uniforme borghese’: giacca, gilet e pantaloni nei colori scuri, delegando alla propria moglie l’espressione della sua posizione sociale. L’abbigliamento sfarzoso e scomodo della donna  doveva simboleggiare la sua improduttività e quindi l’implicita agiatezza del marito. Il successo economico maschile, che assicurava il vero successo sociale, trovava la sua più fulgida conferma nell’esibire il ‘possesso’ di belle donne, lussuosamente abbigliate.
La moda inoltre era l’unico trastullo concesso alla donna dalla severa etica borghese che la voleva regina della casa, buona moglie e madre, estranea per natura a cose come il lavoro, la politica, ecc. delle quali era l’uomo a doversi occupare ed a ‘portarne il peso’. La donna era quell’essere angelico fatto solo per le cose belle e delicate, che aveva «il compito di trasformare la sua dimora in un’oasi di ordine e di pace, in una sorta di piccolo Eden domestico, laddove il marito avrebbe potuto “trovare la calma e la serenità, e riposarsi tranquillo dalle lotte del mondo”». Per raggiungere tale scopo essa doveva far sì che non solo la casa, ma anche lei stessa fossero sempre belle e piacevoli alla vista del marito. Un altro non trascurabile motivo della fortuna dei periodici di moda legato all’ascesa della classe borghese ed al conseguente affermarsi del sistema capitalistico, è da rintracciarsi nei progressi tecnologici che riguardarono oltre al settore editoriale, anche il settore tessile e quello della grande distribuzione dell’abbigliamento.
L’invenzione della macchina da cucire  (che determinò la realizzazione di un numero più elevato di abiti con tempi e costi minori); il miglioramento dell’industria tessile (che grazie a sempre nuovi telai meccanizzati rese possibile la produzione in massa di tessuti); la nascita dei Grandi Magazzini (che permise di offrire una grande quantità di abiti già pronti a basso costo); determinarono un allargamento del mercato e quindi una attenzione sempre più ampia nei confronti dei mutamenti della moda dei quali le riviste femminili erano le prime portavoce: essere alla moda non era più una cosa che si potevano permettere in pochi, ed in tal senso questi periodici assolvevano anche al compito di raggiungere quanti più fruitori possibili.
Tutti questi motivi rendono ragione, almeno in parte, della fortuna di questo genere di rivista, che durante tutto il secolo XIX andò incontro ad una proliferazione impressionante in Europa ed in seguito anche negli Stati Uniti.
A Parigi, che rimase sempre la capitale incontrastata della stampa di moda (essendolo del resto della moda), si passò «da una decina di testate negli anni Trenta, a più di venti negli anni Quaranta. “Le Journal des dames et des modes”, che dominava il mercato, vendeva fino al 1830 circa duemilacinquecento copie. Nel 1846 “Le Petit Courrier des Dames” tirava settemila copie, “Le Caprice” seimiladuecento e “Le Journal des tailleurs” (rivolto ai sarti) cinquemiladuecento. Lo sviluppo era stato reso possibile dalla diminuzione dei costi degli abbonamenti, che aveva allargato il pubblico delle riviste alla media borghesia, ma anche da un interesse accresciuto nei confronti della moda, che trasformava le imprese editoriali in questo settore in ottimi affari. Donatine Brunet Thiery aveva fondato nel 1821, con capitali propri, “Le Nouveau journal des Dames”, che l’anno dopo assunse il titolo di “Le Petit Courrier des Dames”. Alla sua morte nel 1827 lasciò ai suoi eredi un giornale di tale successo che li indusse a moltiplicare l’impresa con altre riviste (fra cui “Le Journal des tailleurs”) fino a costituire un vero impero editoriale. Un percorso analogo compirono Mariton e Goubaud, procedendo però per concentrazione: intorno a un titolo principale, che nel caso del primo fu “Le Bon Ton” e del secondo “Le Moniteur de la mode”, costituirono una serie di testate sulle quali venivano pubblicati, con cadenze differenziate, gli stessi articoli e le stesse immagini».
Le riviste di moda, che in genere avevano uscita a cadenza settimanale, oltre ai figurini a colori o in bianco e nero, a tutta pagina, con description des toilettes,offrivano un’ampia gamma di illustrazioni, corredate da didascalie, delle ultime novità in fatto di singole componenti dell’abito (il busto, le sottogonne, la biancheria, i corpetti, ecc.) di cappelli, pettinature, calzature, accessori e decorazioni per gli abiti  e anche per la casa. Vi era poi una cronaca settimanale nella quale venivano descritte con dovizia di particolari le misesdelle dame più chic esibite ai più prestigiosi eventi mondani.
Dalla seconda metà degli anni Trenta sui giornali francesi cominciarono a comparire le pubblicità dei grandi magazzini e delle case di moda più prestigiose di Parigi, ma tale «funzione pubblicitaria delle riviste di moda divenne ancora più evidente verso la metà del decennio successivo, quando la rassegna delle novità in vendita presso le maisons recommandees, gli atelier e imagasins en renom cominciò a rivestire un ruolo essenziale per la diffusione dei prodotti e della stampa di moda». In questi anni la messa a punto di un complesso sistema di misure graduate e standardizzate in modo da adeguarsi a differenti conformazioni fisiche, aveva permesso la nascita di una novità destinata a rivoluzionare per sempre il campo dell’abbigliamento: l’abito pronto. Finora infatti ogni abito aveva dovuto essere confezionato su misura, partendo dalla scelta del modello e del tessuto e passando poi per varie prove con la conseguenza di alti costi che permettevano solo ai più ricchi di possedere e rinnovare molti abiti. Adesso, la possibilità di acquistare abiti già pronti, a costi molto inferiori rispetto a quelli confezionati su misura, consentì ad una fascia molto più ampia di persone di accedere alla moda. Inoltre, il vestito già confezionato poteva essere facilmente acquistato per corrispondenza, proprio attraverso i periodici di moda, che permettevano così di raggiungere anche coloro che risiedevano lontano dai centri della moda in cui si trovavano  i grandi magazzini e le maisons de couture.
Oltre che di moda, le riviste si occupavano anche «di problemi quotidiani, di educazione, di buone maniere e di tutti quei consigli di cui avevano bisogno le buone signore borghesi, soprattutto di provincia, per essere adeguate al modello sociale imperante. I racconti, le novelle e le sciarade, che vi si trovavano regolarmente, divennero presto un appuntamento di divertimento e ‘buone’ letture: d’altra parte non bisogna dimenticare che fra i redattori di queste riviste, pochi fissi e molti utilizzati come collaboratori, lavorarono letterati di fama, come Balzac e Mallarmé e giornalisti all’inizio della loro carriera».
È necessario però precisare che il prezzo di tali riviste era molto elevato, anche a causa della presenza di figurini colorati ed illustrazioni, perciò da parte degli editori si ricorse ben presto alla messa in commercio, sia di edizioni economiche delle stesse testate, sia alla creazione di testate del tutto nuove e rivolte al pubblico della piccola borghesia. Queste ultime, dette anche ‘giornali di famiglia’ si caratterizzavano per un maggiore spazio dato all’economia domestica e ai lavori femminili. Nelle loro pagine si poteva trovare, insieme alle illustrazioni degli abiti (di solito in bianco e nero), anche i cartamodelli per realizzarli, e poi disegni per ricami, schemi per lavori ad uncinetto, consigli di comportamento e d’igiene, lavori di ogni genere per la casa, racconti a puntate.
Alcuni famosi esempi di questi periodici, che si affermarono intorno agli anni ’50, erano il francese «Le Conseiller des Dames et des Demoiselles» nato nel 1850, l’inglese «The Englishwoman’s Domestic Magazine» del 1852 e l’italiano «Le Ore Casalinghe» fondato nel 1851.
Per quanto riguarda l’Italia, mentre le rubriche erano spesso affidate a giornalisti locali che potevano riferire sulla cronaca e le usanze di ogni Paese e città, i figurini, che rappresentavano l’elemento più importante, erano quasi esclusivamente quelli originali francesi; infatti era Parigi che forniva le matrici dei suoi modelli a Milano, a Venezia, a Berlino o a Vienna, ed a distanza di una settimana dalla edizione originale, le copie venivano distribuite in tutte le capitali.
A lunghissima distanza dalla produzione francese si situava quella inglese, mentre ancora più distanti erano quelle tedesca ed austriaca. Anche l’Italia fece alcuni tentativi di proporre una moda nazionale, che però si rivelarono, purtroppo, tutti fallimentari.
Il primo periodico che tentò di proporre tavole di moda italiane, pur accanto alle consuete francesi, che riprendeva dal «Petit Courrier des Dames», fu il «Corriere delle Dame». Fondato a Milano nel 1804 dall’intraprendete ed energica Carolina Lattanzi, che ne fu anche la prima direttrice, esso fu, per tutta la prima metà del secolo, la più importante fra le riviste di moda. Ciò dipese anche dall’attenzione che i direttori ed editori che si susseguirono durante gli oltre settant’anni della sua esistenza (terminò nel 1875), riservarono sempre alla qualità dei testi. Questi ultimi, come abbiamo accennato, non venivano copiati pedissequamente dalle riviste francesi, come accadeva per i figurini, ma erano curati da redattori italiani che spesso operavano abili selezioni, accostando pezzi di diversa provenienza o anche originali. La filosofia era quella di scegliere il meglio dei più accreditati giornali parigini, fondendolo o accostandolo a interventi originali che parlavano un linguaggio più vicino alla realtà sociale italiana ancora molto diversa da quella francese.
Oltre al «Corriere», nacquero a Milano, che rimase sempre il fulcro dell’editoria di moda italiana, anche «L’Eco» e «La Moda». Ma pure altre città, in questo periodo pre-unitario, videro la nascita di periodici di moda; a Venezia ad esempio fu fondato «La Moda» (che si trasformò poi nel «Gondoliere»), a Genova, il «Piccolo Corriere delle Dame», a Firenze «Il Folletto» e la «Flora delle Mode».
In periodo post-unitario si assistette ad una fioritura ancora più ampia di riviste di questo settore (come parallelamente avveniva del resto a Parigi e nelle altre grandi città europee  in quegli stessi anni).
La lista di tutte le pubblicazioni sarebbe lunghissima, perciò se ne citeranno solo alcune ritenute di maggiore rilievo. Nel 1864, a Torino, presso la Tipografia editrice G. Cassone e Comp., vide la luce «Il Mondo Elegante». Nello stesso anno a Milano l’editore Edoardo Sonzogno pubblicò la «Novità», seguita nel 1865 da «Il Tesoro delle famiglie» e nel 1886 da «La Moda Illustrata». Sempre a Milano, Ferdinando Garbini fondò nel 1865 «Bazar» e nel 1868 «Il Monitore della Moda», destinato a divenire uno dei giornali di moda più longevi dell’Italia liberale. Infine, l’altro grande editore milanese che si cimentò con successo nella pubblicazione di periodici di moda fu Emilio Treves che nel 1878 pubblicò due nuove testate: «Margherita. Giornale delle Signore italiane»  e «L’Eleganza».
Pur nell’importanza che ognuno di questi periodici può aver rivestito nell’ambito dell’informazione del tempo, vale la pena di spendere qualche parola su «Margherita». Infatti, al di là del chiaro intento celebrativo nei confronti della prima regina italiana, riscontrabile nella ripresa del nome, questa rivista ebbe il merito di fornire «un’immagine tecnicamente e giornalisticamente ineccepibile della vita contemporanea della nazione e colmando cosi il sensibile distacco della rivista italiana d’attualità da quella estera». «Stampato su carta 'finissima', arricchito di numerose e pregevoli incisioni in bianco e nero, di tavole colorate ed altri 'annessi', il nuovo settimanale si distinse per la cura dedicata sia ad ogni singola rubrica sia alle numerose pagine di narrativa, in cui figurano racconti e romanzi originali di scrittrici e scrittori italiani come Anton Giulio Barrili, Vittorio Bersezio, Matilde Serao, Cordelia (Virginia Treves Tedeschi), Neera (Anna Radius Zuccari), Memini (Ines Castellani), Egle Giordano Orsini, Onorato Roux, Paolo Tedeschi, Domenico Ciampoli, Enrico Castelnuovo».
Intanto, già dagli anni ’80, attraverso i sempre più frequenti viaggi e la pratica di vari sport , soprattutto nelle classi sociali più elevate, la donna comincia a condurre una vita più attiva che la porta ad uscire da casa e a coltivare svariati interessi. Cresce inoltre, e crescerà ancora di più durante la Prima Guerra Mondiale, il numero delle donne impegnate in molteplici campi del lavoro. Tutto ciò porta ad una progressiva semplificazione della moda, che cessa di essere l’unico pensiero a cui dedicare tutte le proprie attenzioni. Così, anche nell’ambito della stampa femminile, si profilano, oltre alle riviste di moda, «altre tipologie di periodici, educativi, professionali, letterari, espressione di nuove aggregazioni e delle diverse tendenze che caratterizzano il movimento femminile italiano e, soprattutto, frutto del coinvolgimento diretto delle donne nella fondazione e direzione di giornali».
Con l’inizio del nuovo secolo si assiste così ad una proliferazione di giornali e riviste dedicate a tutti gli svariati campi di interesse che riguardano la ‘nuova’ donna. Per quanto riguarda i periodici di moda nati dopo il 1900, fra i tanti, merita una menzione «La Gazette du Bon Ton», fondato a Parigi da Lucien Vogel nel 1912. Oltre all’importanza che rivestì nel panorama dei periodici di moda francesi del tempo, esso ricoprì anche un ruolo fondamentale per la diffusione di un nuovo tipo di illustrazione di moda promossa da famosi artisti dell’Art Decò.
Anche in Italia l’editoria femminile si incrementò notevolmente in questi anni e, solo per fare un esempio, a Milano, fra il 1900 ed il 1910, nacquero ben dieci nuove testate di moda. Fra le più importanti riviste di questo settore, fondata a Milano nel 1919, vi fu «Lidel», diretta da Lydia Dosio de Liguorio, la quale svolse un ruolo attivo nel tentativo, purtroppo fallito, di far decollare, ancora una volta, la moda italiana.
Accanto ai periodici di moda vogliamo ricordare anche i titoli di alcune riviste femminili di contenuto vario dedicate alla donna in questi anni. Nel 1904 nacque a Torino «La Donna»  e nel 1919 vide la luce a Roma «Vita femminile» .  I cambiamenti maturati nella concezione e nel ruolo della donna all’interno della società, che rivoluzionarono la moda femminile e portarono a grandi rivolgimenti anche nel campo della stampa dedicata al gentil sesso, produssero, verso la fine del primo decennio del ’900, una specie di rivoluzione pure nell’ambito dell’illustrazione di moda. Il figurino infatti, oltre a rappresentare le variazioni dell’abbigliamento nel corso dei secoli, ha sempre rispecchiato, con il mutamento delle proprie caratteristiche grafiche, anche il clima storico, economico, sociale e culturale del periodo in cui è stato creato.
Nelle prime illustrazioni di moda, dalla fine del XVIII secolo ai primi decenni del XIX , veniva di solito rappresentata una sola persona, in un ambiente privo di uno sfondo ben definito , in quanto l’unico scopo era quello di mostrare l’abito nel modo più chiaro possibile.
Ma già a partire dagli anni ’40 i figurini non svolsero più soltanto il ruolo di una mera raffigurazione degli abiti; le figure infatti, iniziarono ad essere poste all’interno di quadretti di vita familiare o sociale che coprivano tutto l’arco della giornata in modo da illustrare le situazioni per cui tali abiti erano stati creati  ed anche il giusto contegno da tenere in questi contesti.
Un altro elemento nuovo e molto importante «che caratterizzerà dagli anni ’40 e poi sempre di più l’illustrazione di moda e che costituirà altresì l’indicazione della diffusione su scala industriale dell’abbigliamento è rappresentato dalla didascalia.. Finora esigua e limitata al nome dell’incisore e/o del disegnatore, si arricchisce di informazioni sulle stoffe impiegate, sui diversi tipi di guarnizioni, ma soprattutto sui nomi dei magasins de nouveautes o delle sartorie che hanno fornito i modelli. La pubblicità comincia a svolgere il suo ruolo già moderno e destinato a moltiplicare le sue possibilità».
 Fra i più famosi disegnatori di figurini vi furono Jules David e le sorelle Heloise Leloir e Anäis Toudouze, che seppero proporre illustrazioni molto raffinate e dettagliate, veri e propri piccoli affreschi della società loro contemporanea.
Questi creatori di figurini, pur rimanendo per diverso tempo degli illustratori non specializzati in questo genere, avevano alle spalle una preparazione artistica tradizionale che si fondava sull’esercizio della copia di pittori famosi. È dunque naturale che anche nelle illustrazioni dei figurini si ritrovino a volte pose e situazioni attinte dalla ritrattistica dell’epoca e in particolar modo da Wintheralter ed Ingres che rappresentavano spesso le grandi dame del tempo. «È proprio questo trapasso continuo dalla pittura all’illustrazione che caratterizzerà la stampa di moda sino alla fine dell’Ottocento» perseguendo una sorta di ‘realismo idealizzato’; «si trattava infatti di un realismo un po’ fiabesco, dai colori tenui, dai contorni artefatti che nulla aveva in comune con il movimento estetico e ideologico che contemporaneamente stava innovando la pittura. Un realismo lieve, che presentava alle ‘dame’ un mondo di signore perbene, che vivevano lontane dalle contraddizioni e rispettavano i riti che una società ordinata aveva affidato loro».
Questo tipo di rappresentazione verrà sconvolta verso il 1908, quando il famosocouturiér Paul Poiret, commissionò al disegnatore Paul Iribe un album che riuscisse a illustrare espressivamente, e non tecnicamente, la sua nuova collezione di abiti destinata a rivoluzionare totalmente il mondo della moda. Il successo di questo album, Les robes de Paul Poiret , fu talmente grande che Poiret decise di ripeterla affidandosi, nel 1911, alla mano di un altro disegnatore. L’album si intitolò Les Choses de Paul Poiret vues par George Lepape e fu quello che segnò il progresso, la svolta, nell’illustrazione di moda: una collezione ‘vista’ mediante un occhio diverso e distante da quello dello stilista.
Cominciò così, la storia della rappresentazione grafica di moda elevata al rango di espressione artistica, in un rapporto di reciproca influenza con le arti maggiori. La «Gazette du Bon Ton» fu la rivista in cui operò l’equipe di grandi artisti come Barbier , Martin, Marty, Brissaud e i già citati Lepape e Iribe, che riuscirono ad influenzare persino la fotografia e a non farsi soppiantare da essa, almeno fino alla fine degli anni ’20.









 
            


                                     Simona Gori





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