Il
figurino e i
periodici di
moda dalla
nascita
agli
anni ’20 del
1900
Il figurino
di moda d’epoca non solo costituisce oggi una preziosissima fonte per lo studio
della storia del costume e della moda e per la catalogazione del patrimonio di
abiti antichi conservati nei musei, ma, ad una più attenta considerazione,
si configura anche come documentazione importantissima per uno studio del
costume in senso più ampio: dal figurino possiamo infatti trarre utili
informazioni non solo sulla forma e sullo stile dell’abito, ma anche su tutto
ciò che esso rivela del preciso periodo storico, sociale e culturale in cui è
nato.
Esistono, presso
biblioteche italiane ed estere, importanti raccolte di queste illustrazioni di
moda anche se alcune non sono molto conosciute per carenza di studi in merito.
Per quanto riguarda l’Italia possiamo citare le collezioni conservate in alcune
biblioteche come: la Biblioteca del Museo Nazionale del Risorgimento Italiano a
Torino, la Biblioteca del Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume (che
ha sede nella Biblioteca del Museo di Palazzo Mocenigo) a Venezia, la
Biblioteca Marucelliana di Firenze (Fondo Gamba). Per l’estero possiamo
ricordare ad esempio le raccolte ospitate presso: il Cabinet des Estampes della
Biblioteque National di Parigi, la Library of Congress di Washington, ecc.
In
particolare vorrei soffermarmi brevemente sulla collezione di figurini della
Biblioteca Marucelliana di Firenze contenuti nel Fondo Gamba, che ho avuto
la possibilità di visionare nella sua interezza nell’ambito di uno studio da me
condotto sull’abito da ballo nel periodo 1850-’70.
Tale Fondo,
di proprietà del conte Carlo Gamba, fu da lui donato alla Biblioteca nel 1956 e
contiene 15.498 figurini che vanno dalla fine del 1700 agli inizi del 1900.
L’importanza di questa collezione risiede dunque, oltre che nel numero di
esemplari, anche nel lungo arco temporale che abbraccia, il quale permette allo
studioso del costume di avere un affresco dettagliato delle evoluzioni delle
fogge abbigliamentarie susseguitesi per più di un secolo.
Gli abiti
rappresentati nei figurini, per la maggior parte femminili, sono di diverse
tipologie: da ballo, da teatro, da visita, da villeggiatura, sportivi, ecc.
Nell’Ottocento, infatti, ogni occasione richiedeva il suo particolare tipo di
abito, il quale doveva distinguersi a seconda del luogo, delle circostanze e
della società che si era soliti frequentare, e doveva essere cambiato almeno
tre volte al giorno: al mattino, al pomeriggio e alla sera. Inoltre anche le
stagioni, l’età, il fatto di essere nubili o maritate, influivano sulla scelta
del giusto abbigliamento. Per non parlare delle occasioni particolari come
fidanzamenti, matrimoni, battesimi e lutti. Pur essendo la maggioranza delle
tavole dedicata agli abbigliamenti femminili, non si può far a meno di
menzionare anche la presenza di illustrazioni di fogge maschili e di
abbigliamenti infantili, nonché una cospicua sottoraccolta di travestimenti e
costumi per il Carnevale.
Le riviste
di moda a cui questi figurini appartenevano erano varie testate molto in voga
al tempo, in prevalenza francesi, in quanto era Parigi a dettare le regole
della moda, alla quale tutti si ispiravano. Nella raccolta è presente però
anche un certo numero di figurini tratti da riviste italiane (le quali
curiosamente portavano spesso titoli tradotti dalle più note riviste di moda
francesi), inglesi, tedesche, austriache e spagnole. Per fare solo alcuni nomi
fra le più famose riviste francesi possiamo menzionare: il «Petit Courrier des
Dames», «La Saison», «Les Modes Parisiennes», «Le Follet», «L’Illustrateur des
dames»; e poi «La Mode Illustrée» , «Le Monde Elegante» e «Le Moniteur de la
Mode», a cui corrispondevano le italiane «La Moda Illustrata», «Il Mondo
Elegante», «Il Monitore della Moda», oltre alle quali è doveroso menzionare il
«Corriere delle Dame», «Le Ore Casalinghe», «La Novità», «Margherita».
Mi
soffermerò in seguito a parlare più ampiamente delle riviste di moda, intanto
vorrei tracciare un excursus sulle origini del figurino di moda prima
della nascita, alla fine del Settecento, dei periodici femminili, attraverso i
quali, esso raggiunse piena compiutezza e massima diffusione.
L’antesignano
del figurino di moda può essere individuato nei repertori di stampe di abiti
che cominciarono a circolare nella seconda metà del XVI secolo, e la cui
origine viene rintracciata in genere dagli studiosi nella curiosità per
l’abbigliamento delle nuove popolazioni scoperte a seguito della conquista del
Nuovo Mondo. A ciò si aggiunse, in un momento in cui si costituivano i nuovi
codici aristocratici delle corti, fatti di norme, regole e segni distintivi di
appartenenza, la necessità di stabilire anche un codice abbigliamentario di
riconoscimento sociale, cosa che non poteva essere realizzata che attraverso la
creazione di repertori illustrati.
La prima
raccolta di cui si abbia notizia sembra essere quella pubblicata a Venezia nel
1558, ad opera di Enea Vico, sotto il titolo di Diversarum gentium nostrae
aetatis habitus, che presenta 98 tavole di costumi di varie parti del
mondo; ad essa ne seguirono numerose altre ad opera di autori sia italiani che esteri;
la più importante risulta essere quella di Cesare Vecellio, Degli habiti
antichi e moderni di diverse parti del mondo..., Venezia, 1590 (fig.5). I
testi dettagliati, gli abiti italiani da lui attentamente osservati, la varietà
dei costumi presentati, contribuirono alla grande fortuna di questa raccolta.
I repertori
illustrati furono in voga fino al 1620 circa. In seguito apparvero delle
incisioni di moda, ma solo in Francia e con la caratteristica di riprodurre gli
abbigliamenti della corte di Luigi XIV. Il re voleva infatti stabilire una
supremazia della moda della sua corte in tutta Europa e non a caso il primo
giornale di moda, edito a Parigi nel 1672, il «Mercure Galant», nacque proprio
sotto il suo regno per diffondere tale codice abbigliamentario. Il tentativo
editoriale però, rimase un fenomeno isolato, circoscritto alla moda di quella
corte.
Sugli inizi
del XVIII secolo ebbero larga diffusione gli almanacchi con incisioni di moda,
mentre sul finire del secolo si riscontra, a seguito di una domanda sempre più
ampia, una fioritura di serie incise di stampe di cui la più importante è
la Gallerie des Modes et Costumes francais che esce a Parigi dal 1778
al 1787. L’importanza di questa raccolta, che la fa ritenere l’antesignana più
prossima della rivista di moda, risiede nella sua periodicità e nell’attenzione
alla qualità delle incisioni proposte, dando molta importanza anche ai colori,
quasi assenti nelle serie precedenti.
La prima
vera testata di moda a periodicità regolare, il «Cabinet de modes ou les Modes Nouvelles»,
nacque nel 1785 a Parigi e ottenne un notevole successo, dando vita ad
innumerevoli imitazioni sia in Francia che all’estero. In Italia, nel 1786,
vide la luce a Milano il «Giornale delle Nuove Mode di Francia e
d’Inghilterra», mentre nello stesso anno a Venezia venne pubblicato «La Donna
Galante ed Erudita». Altri giornali nacquero a Londra, a Vienna e in altri
grossi centri europei: divenne così decisivo il ruolo giocato dalle riviste e
dal figurino di moda nel diffondere in tutta Europa le voghe imperanti nelle
grandi capitali.
Il periodico
di moda si diffuse ampiamente sia per la presenza di elementi mai riscontrati
prima come la periodicità, il costo limitato, l’uso sistematico di immagini, ma
soprattutto a causa dei rivolgimenti sociali, economici e culturali che
interessarono quel preciso momento storico.
Dopo la
rivoluzione francese la borghesia, nuova classe sociale emergente, aveva
bisogno di rafforzare la propria immagine, di ‘legittimarsi’, anche attraverso
l’abito, che divenne un vero e proprio status-symbol. Ciò avvenne
attraverso un processo di imitazione nei confronti dell’aristocrazia e al
contempo di distinzione dalle classi inferiori che generò anche un più veloce
cambio delle mode: ogni volta che una moda raggiungeva gli strati più bassi
della società, ne nasceva subito un’altra nelle classi più alte.
È
interessante notare come il periodico di moda attragga e si indirizzi fin da
subito al pubblico femminile, tanto da rimanere, per quasi un secolo, l’unica
fonte di letture periodiche destinata alle donne. Infatti è proprio in questi
anni che si crea un nuovo rapporto, molto più stretto, fra la donna e la moda
(da cui l’uomo è escluso), tanto da far nascere il binomio donna-moda dal quale
ancora oggi non ci siamo del tutto liberati. Il motivo è da rintracciarsi nelle
cosiddetta ‘grande rinuncia’ che l’uomo aveva attuato nei confronti della moda
intesa come sfarzo, decorazione, colore, in base alla nuova etica borghese del
lavoro che esigeva una serietà che deve essere espressa anche attraverso
l’abito. Perciò l’uomo, da ora in poi, indosserà la cosiddetta ‘uniforme
borghese’: giacca, gilet e pantaloni nei colori scuri, delegando alla
propria moglie l’espressione della sua posizione sociale. L’abbigliamento
sfarzoso e scomodo della donna doveva simboleggiare la sua
improduttività e quindi l’implicita agiatezza del marito. Il successo economico
maschile, che assicurava il vero successo sociale, trovava la sua più fulgida
conferma nell’esibire il ‘possesso’ di belle donne, lussuosamente abbigliate.
La moda
inoltre era l’unico trastullo concesso alla donna dalla severa etica borghese
che la voleva regina della casa, buona moglie e madre, estranea per natura a
cose come il lavoro, la politica, ecc. delle quali era l’uomo a doversi
occupare ed a ‘portarne il peso’. La donna era quell’essere angelico fatto solo
per le cose belle e delicate, che aveva «il compito di trasformare la sua
dimora in un’oasi di ordine e di pace, in una sorta di piccolo Eden domestico,
laddove il marito avrebbe potuto “trovare la calma e la serenità, e riposarsi
tranquillo dalle lotte del mondo”». Per raggiungere tale scopo essa doveva far
sì che non solo la casa, ma anche lei stessa fossero sempre belle e piacevoli
alla vista del marito. Un altro non trascurabile motivo della fortuna dei
periodici di moda legato all’ascesa della classe borghese ed al conseguente
affermarsi del sistema capitalistico, è da rintracciarsi nei progressi
tecnologici che riguardarono oltre al settore editoriale, anche il settore
tessile e quello della grande distribuzione dell’abbigliamento.
L’invenzione
della macchina da cucire (che determinò la realizzazione di un
numero più elevato di abiti con tempi e costi minori); il miglioramento
dell’industria tessile (che grazie a sempre nuovi telai meccanizzati rese
possibile la produzione in massa di tessuti); la nascita dei Grandi Magazzini
(che permise di offrire una grande quantità di abiti già pronti a basso costo);
determinarono un allargamento del mercato e quindi una attenzione sempre più
ampia nei confronti dei mutamenti della moda dei quali le riviste femminili
erano le prime portavoce: essere alla moda non era più una cosa che si potevano
permettere in pochi, ed in tal senso questi periodici assolvevano anche al
compito di raggiungere quanti più fruitori possibili.
Tutti questi
motivi rendono ragione, almeno in parte, della fortuna di questo genere di
rivista, che durante tutto il secolo XIX andò incontro ad una proliferazione
impressionante in Europa ed in seguito anche negli Stati Uniti.
A Parigi,
che rimase sempre la capitale incontrastata della stampa di moda (essendolo del
resto della moda), si passò «da una decina di testate negli anni Trenta, a più
di venti negli anni Quaranta. “Le Journal des dames et des modes”, che dominava
il mercato, vendeva fino al 1830 circa duemilacinquecento copie. Nel 1846 “Le
Petit Courrier des Dames” tirava settemila copie, “Le Caprice” seimiladuecento
e “Le Journal des tailleurs” (rivolto ai sarti) cinquemiladuecento. Lo sviluppo
era stato reso possibile dalla diminuzione dei costi degli abbonamenti, che
aveva allargato il pubblico delle riviste alla media borghesia, ma anche da un
interesse accresciuto nei confronti della moda, che trasformava le imprese
editoriali in questo settore in ottimi affari. Donatine Brunet Thiery aveva
fondato nel 1821, con capitali propri, “Le Nouveau journal des Dames”, che
l’anno dopo assunse il titolo di “Le Petit Courrier des Dames”. Alla sua morte
nel 1827 lasciò ai suoi eredi un giornale di tale successo che li indusse a
moltiplicare l’impresa con altre riviste (fra cui “Le Journal des tailleurs”)
fino a costituire un vero impero editoriale. Un percorso analogo compirono
Mariton e Goubaud, procedendo però per concentrazione: intorno a un titolo
principale, che nel caso del primo fu “Le Bon Ton” e del secondo “Le Moniteur
de la mode”, costituirono una serie di testate sulle quali venivano pubblicati,
con cadenze differenziate, gli stessi articoli e le stesse immagini».
Le riviste
di moda, che in genere avevano uscita a cadenza settimanale, oltre ai figurini
a colori o in bianco e nero, a tutta pagina, con description des
toilettes,offrivano un’ampia gamma di illustrazioni, corredate da didascalie,
delle ultime novità in fatto di singole componenti dell’abito (il busto, le
sottogonne, la biancheria, i corpetti, ecc.) di cappelli, pettinature,
calzature, accessori e decorazioni per gli abiti e anche per la
casa. Vi era poi una cronaca settimanale nella quale venivano descritte con
dovizia di particolari le misesdelle dame più chic esibite ai
più prestigiosi eventi mondani.
Dalla
seconda metà degli anni Trenta sui giornali francesi cominciarono a comparire
le pubblicità dei grandi magazzini e delle case di moda più prestigiose di
Parigi, ma tale «funzione pubblicitaria delle riviste di moda divenne ancora
più evidente verso la metà del decennio successivo, quando la rassegna delle
novità in vendita presso le maisons recommandees, gli atelier e
imagasins en renom cominciò a rivestire un ruolo essenziale per la diffusione
dei prodotti e della stampa di moda». In questi anni la messa a punto di un
complesso sistema di misure graduate e standardizzate in modo da adeguarsi a
differenti conformazioni fisiche, aveva permesso la nascita di una novità
destinata a rivoluzionare per sempre il campo dell’abbigliamento: l’abito
pronto. Finora infatti ogni abito aveva dovuto essere confezionato su misura,
partendo dalla scelta del modello e del tessuto e passando poi per varie prove
con la conseguenza di alti costi che permettevano solo ai più ricchi di
possedere e rinnovare molti abiti. Adesso, la possibilità di acquistare abiti
già pronti, a costi molto inferiori rispetto a quelli confezionati su misura,
consentì ad una fascia molto più ampia di persone di accedere alla moda. Inoltre,
il vestito già confezionato poteva essere facilmente acquistato per
corrispondenza, proprio attraverso i periodici di moda, che permettevano così
di raggiungere anche coloro che risiedevano lontano dai centri della moda in
cui si trovavano i grandi magazzini e le maisons de couture.
Oltre che di
moda, le riviste si occupavano anche «di problemi quotidiani, di educazione, di
buone maniere e di tutti quei consigli di cui avevano bisogno le buone signore
borghesi, soprattutto di provincia, per essere adeguate al modello sociale
imperante. I racconti, le novelle e le sciarade, che vi si trovavano
regolarmente, divennero presto un appuntamento di divertimento e ‘buone’
letture: d’altra parte non bisogna dimenticare che fra i redattori di queste
riviste, pochi fissi e molti utilizzati come collaboratori, lavorarono
letterati di fama, come Balzac e Mallarmé e giornalisti all’inizio della loro
carriera».
È necessario
però precisare che il prezzo di tali riviste era molto elevato, anche a causa
della presenza di figurini colorati ed illustrazioni, perciò da parte degli
editori si ricorse ben presto alla messa in commercio, sia di edizioni
economiche delle stesse testate, sia alla creazione di testate del tutto nuove
e rivolte al pubblico della piccola borghesia. Queste ultime, dette anche
‘giornali di famiglia’ si caratterizzavano per un maggiore spazio dato
all’economia domestica e ai lavori femminili. Nelle loro pagine si poteva
trovare, insieme alle illustrazioni degli abiti (di solito in bianco e nero),
anche i cartamodelli per realizzarli, e poi disegni per ricami, schemi per
lavori ad uncinetto, consigli di comportamento e d’igiene, lavori di ogni
genere per la casa, racconti a puntate.
Alcuni
famosi esempi di questi periodici, che si affermarono intorno agli anni ’50,
erano il francese «Le Conseiller des Dames et des Demoiselles» nato nel 1850,
l’inglese «The Englishwoman’s Domestic Magazine» del 1852 e l’italiano «Le Ore
Casalinghe» fondato nel 1851.
Per quanto
riguarda l’Italia, mentre le rubriche erano spesso affidate a giornalisti
locali che potevano riferire sulla cronaca e le usanze di ogni Paese e città, i
figurini, che rappresentavano l’elemento più importante, erano quasi
esclusivamente quelli originali francesi; infatti era Parigi che forniva le matrici
dei suoi modelli a Milano, a Venezia, a Berlino o a Vienna, ed a distanza di
una settimana dalla edizione originale, le copie venivano distribuite in tutte
le capitali.
A
lunghissima distanza dalla produzione francese si situava quella inglese,
mentre ancora più distanti erano quelle tedesca ed austriaca. Anche l’Italia
fece alcuni tentativi di proporre una moda nazionale, che però si rivelarono,
purtroppo, tutti fallimentari.
Il primo
periodico che tentò di proporre tavole di moda italiane, pur accanto alle
consuete francesi, che riprendeva dal «Petit Courrier des Dames», fu il
«Corriere delle Dame». Fondato a Milano nel 1804 dall’intraprendete ed energica
Carolina Lattanzi, che ne fu anche la prima direttrice, esso fu, per tutta la
prima metà del secolo, la più importante fra le riviste di moda. Ciò dipese
anche dall’attenzione che i direttori ed editori che si susseguirono durante
gli oltre settant’anni della sua esistenza (terminò nel 1875), riservarono
sempre alla qualità dei testi. Questi ultimi, come abbiamo accennato, non
venivano copiati pedissequamente dalle riviste francesi, come accadeva per i
figurini, ma erano curati da redattori italiani che spesso operavano abili
selezioni, accostando pezzi di diversa provenienza o anche originali. La filosofia
era quella di scegliere il meglio dei più accreditati giornali parigini,
fondendolo o accostandolo a interventi originali che parlavano un linguaggio
più vicino alla realtà sociale italiana ancora molto diversa da quella
francese.
Oltre al
«Corriere», nacquero a Milano, che rimase sempre il fulcro dell’editoria di
moda italiana, anche «L’Eco» e «La Moda». Ma pure altre città, in questo
periodo pre-unitario, videro la nascita di periodici di moda; a Venezia ad
esempio fu fondato «La Moda» (che si trasformò poi nel «Gondoliere»), a Genova,
il «Piccolo Corriere delle Dame», a Firenze «Il Folletto» e la «Flora delle
Mode».
In periodo
post-unitario si assistette ad una fioritura ancora più ampia di riviste di
questo settore (come parallelamente avveniva del resto a Parigi e nelle altre
grandi città europee in quegli stessi anni).
La lista di
tutte le pubblicazioni sarebbe lunghissima, perciò se ne citeranno solo alcune
ritenute di maggiore rilievo. Nel 1864, a Torino, presso la Tipografia editrice
G. Cassone e Comp., vide la luce «Il Mondo Elegante». Nello stesso anno a
Milano l’editore Edoardo Sonzogno pubblicò la «Novità», seguita nel 1865 da «Il
Tesoro delle famiglie» e nel 1886 da «La Moda Illustrata». Sempre a Milano,
Ferdinando Garbini fondò nel 1865 «Bazar» e nel 1868 «Il Monitore della Moda»,
destinato a divenire uno dei giornali di moda più longevi dell’Italia liberale.
Infine, l’altro grande editore milanese che si cimentò con successo nella
pubblicazione di periodici di moda fu Emilio Treves che nel 1878 pubblicò due
nuove testate: «Margherita. Giornale delle Signore italiane» e
«L’Eleganza».
Pur
nell’importanza che ognuno di questi periodici può aver rivestito nell’ambito
dell’informazione del tempo, vale la pena di spendere qualche parola su «Margherita».
Infatti, al di là del chiaro intento celebrativo nei confronti della prima
regina italiana, riscontrabile nella ripresa del nome, questa rivista ebbe il
merito di fornire «un’immagine tecnicamente e giornalisticamente ineccepibile
della vita contemporanea della nazione e colmando cosi il sensibile distacco
della rivista italiana d’attualità da quella estera». «Stampato su carta
'finissima', arricchito di numerose e pregevoli incisioni in bianco e nero, di
tavole colorate ed altri 'annessi', il nuovo settimanale si distinse per la
cura dedicata sia ad ogni singola rubrica sia alle numerose pagine di
narrativa, in cui figurano racconti e romanzi originali di scrittrici e
scrittori italiani come Anton Giulio Barrili, Vittorio Bersezio, Matilde Serao,
Cordelia (Virginia Treves Tedeschi), Neera (Anna Radius Zuccari), Memini (Ines
Castellani), Egle Giordano Orsini, Onorato Roux, Paolo Tedeschi, Domenico
Ciampoli, Enrico Castelnuovo».
Intanto, già
dagli anni ’80, attraverso i sempre più frequenti viaggi e la pratica di vari
sport , soprattutto nelle classi sociali più elevate, la donna comincia a
condurre una vita più attiva che la porta ad uscire da casa e a coltivare
svariati interessi. Cresce inoltre, e crescerà ancora di più durante la Prima
Guerra Mondiale, il numero delle donne impegnate in molteplici campi del
lavoro. Tutto ciò porta ad una progressiva semplificazione della moda, che
cessa di essere l’unico pensiero a cui dedicare tutte le proprie attenzioni.
Così, anche nell’ambito della stampa femminile, si profilano, oltre alle
riviste di moda, «altre tipologie di periodici, educativi, professionali,
letterari, espressione di nuove aggregazioni e delle diverse tendenze che
caratterizzano il movimento femminile italiano e, soprattutto, frutto del coinvolgimento
diretto delle donne nella fondazione e direzione di giornali».
Con l’inizio
del nuovo secolo si assiste così ad una proliferazione di giornali e riviste
dedicate a tutti gli svariati campi di interesse che riguardano la ‘nuova’
donna. Per quanto riguarda i periodici di moda nati dopo il 1900, fra i tanti,
merita una menzione «La Gazette du Bon Ton», fondato a Parigi da Lucien Vogel
nel 1912. Oltre all’importanza che rivestì nel panorama dei periodici di moda
francesi del tempo, esso ricoprì anche un ruolo fondamentale per la diffusione
di un nuovo tipo di illustrazione di moda promossa da famosi artisti dell’Art
Decò.
Anche in
Italia l’editoria femminile si incrementò notevolmente in questi anni e, solo
per fare un esempio, a Milano, fra il 1900 ed il 1910, nacquero ben dieci nuove
testate di moda. Fra le più importanti riviste di questo settore, fondata a
Milano nel 1919, vi fu «Lidel», diretta da Lydia Dosio de Liguorio, la quale
svolse un ruolo attivo nel tentativo, purtroppo fallito, di far decollare,
ancora una volta, la moda italiana.
Accanto ai
periodici di moda vogliamo ricordare anche i titoli di alcune riviste femminili
di contenuto vario dedicate alla donna in questi anni. Nel 1904 nacque a Torino
«La Donna» e nel 1919 vide la luce a Roma «Vita femminile» . I
cambiamenti maturati nella concezione e nel ruolo della donna all’interno della
società, che rivoluzionarono la moda femminile e portarono a grandi
rivolgimenti anche nel campo della stampa dedicata al gentil sesso, produssero,
verso la fine del primo decennio del ’900, una specie di rivoluzione pure
nell’ambito dell’illustrazione di moda. Il figurino infatti, oltre a
rappresentare le variazioni dell’abbigliamento nel corso dei secoli, ha sempre
rispecchiato, con il mutamento delle proprie caratteristiche grafiche, anche il
clima storico, economico, sociale e culturale del periodo in cui è stato
creato.
Nelle prime
illustrazioni di moda, dalla fine del XVIII secolo ai primi decenni del XIX ,
veniva di solito rappresentata una sola persona, in un ambiente privo di uno
sfondo ben definito , in quanto l’unico scopo era quello di mostrare l’abito
nel modo più chiaro possibile.
Ma già a
partire dagli anni ’40 i figurini non svolsero più soltanto il ruolo di una
mera raffigurazione degli abiti; le figure infatti, iniziarono ad essere poste
all’interno di quadretti di vita familiare o sociale che coprivano tutto l’arco
della giornata in modo da illustrare le situazioni per cui tali abiti erano
stati creati ed anche il giusto contegno da tenere in questi
contesti.
Un altro
elemento nuovo e molto importante «che caratterizzerà dagli anni ’40 e poi
sempre di più l’illustrazione di moda e che costituirà altresì l’indicazione
della diffusione su scala industriale dell’abbigliamento è rappresentato dalla
didascalia.. Finora esigua e limitata al nome dell’incisore e/o del
disegnatore, si arricchisce di informazioni sulle stoffe impiegate, sui diversi
tipi di guarnizioni, ma soprattutto sui nomi dei magasins de
nouveautes o delle sartorie che hanno fornito i modelli. La pubblicità
comincia a svolgere il suo ruolo già moderno e destinato a moltiplicare le sue
possibilità».
Fra i
più famosi disegnatori di figurini vi furono Jules David e le sorelle Heloise
Leloir e Anäis Toudouze, che seppero proporre illustrazioni molto raffinate e
dettagliate, veri e propri piccoli affreschi della società loro contemporanea.
Questi
creatori di figurini, pur rimanendo per diverso tempo degli illustratori non
specializzati in questo genere, avevano alle spalle una preparazione artistica
tradizionale che si fondava sull’esercizio della copia di pittori famosi. È
dunque naturale che anche nelle illustrazioni dei figurini si ritrovino a volte
pose e situazioni attinte dalla ritrattistica dell’epoca e in particolar modo
da Wintheralter ed Ingres che rappresentavano spesso le grandi dame del tempo.
«È proprio questo trapasso continuo dalla pittura all’illustrazione che
caratterizzerà la stampa di moda sino alla fine dell’Ottocento» perseguendo una
sorta di ‘realismo idealizzato’; «si trattava infatti di un realismo un po’
fiabesco, dai colori tenui, dai contorni artefatti che nulla aveva in comune
con il movimento estetico e ideologico che contemporaneamente stava innovando
la pittura. Un realismo lieve, che presentava alle ‘dame’ un mondo di signore
perbene, che vivevano lontane dalle contraddizioni e rispettavano i riti che
una società ordinata aveva affidato loro».
Questo tipo
di rappresentazione verrà sconvolta verso il 1908, quando il
famosocouturiér Paul Poiret, commissionò al disegnatore Paul Iribe un
album che riuscisse a illustrare espressivamente, e non tecnicamente, la sua
nuova collezione di abiti destinata a rivoluzionare totalmente il mondo della
moda. Il successo di questo album, Les robes de Paul Poiret , fu
talmente grande che Poiret decise di ripeterla affidandosi, nel 1911,
alla mano di un altro disegnatore. L’album si intitolò Les Choses de Paul
Poiret vues par George Lepape e fu quello che segnò il progresso, la
svolta, nell’illustrazione di moda: una collezione ‘vista’ mediante un occhio
diverso e distante da quello dello stilista.
Cominciò
così, la storia della rappresentazione grafica di moda elevata al rango di
espressione artistica, in un rapporto di reciproca influenza con le arti
maggiori. La «Gazette du Bon Ton» fu la rivista in cui operò
l’equipe di grandi artisti come Barbier , Martin, Marty, Brissaud e i già
citati Lepape e Iribe, che riuscirono ad influenzare persino la fotografia e a
non farsi soppiantare da essa, almeno fino alla fine degli anni ’20.
Questo articolo è riproducibile parzialmente o totalmente
solo previo consenso dell'Autore.
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