Il lungo viaggio dei prigionieri toscani del 1848 da
Curtatone e Montanara a Theresienstadt-Terezin
“L’ordine di ritirata…a noi…non pervenne...il
momento era critico…” (1), “…gli austriaci sbucavano da tutte le parti in fitte
squadre...facemmo un'ultima prova di resistenza”(2), “…il numero dei nemici
aumentando fu gioco forza cedere le armi alle ingiunzioni di un Uffiziale” (3),
“…buttai ... il mio fucile e la mia sciabola, e il mio esempio fu imitato dagli
altri...poi consegnati ad un sargente, fummo incamminati alla volta di Mantova”(4).
Così Alfonso Ademollo, fiorentino, Felice Stocchi da Sinalunga ed montepulcianese
Tarugio Tarugi descrivono nel libro Ricordi storici del battaglione
universitario toscano, curato e pubblicato nel 1891 dal reduce pistoiese
Gherardo Nerucci, , noto anche come autore delle Sessanta
novelle popolari montalesi, l'inizio della loro prigionia dopo la battaglia di Curtatone e
Montanara.
Alla fine di quella giornata non tutti i combattenti
italiani ebbero il tempo di ritirarsi: rimasero infatti nelle mani degli
austriaci ben 1276 prigionieri, toscani in massima parte e fra questi 29
pistoiesi che avevano avuto tra le loro fila 6 caduti e 12 feriti (5).
E’ ampiamente noto che a Curtatone e Montanara, il
29 maggio 1848, i toscani, insieme ad un piccolo contingente napoletano, sotto
la guida del generale granducale Cesare
De Laugier conte de Bellecour, si batterono con valore contro un nemico
esperto, agguerrito e preponderante, e pur dovendo alla fine ripiegare diedero
il tempo ai sardo-piemontesi di prepararsi ad affrontare vittoriosamente, il
giorno seguente, il grosso dell'armata austriaca a Goito: successo purtroppo
poi non sfruttato (6).
A noi infatti, più che sulle fasi, sui protagonisti
o sul significato di quell’evento, e che al di là di ogni retorica riteniamo
fondamentale per la riscoperta delle radici dell’identità toscana e nazionale,
sembra stimolante soffermarsi qui sulle vicissitudini di quei prigionieri,
anche perché essi, dopo una marcia forzata di 15-20 miglia giornaliere, vennero
poi internati a Theresienstadt, una città-fortezza boema, dedicata
all’Imperatrice Maria Teresa, luogo che ospiterà prigionieri italiani anche
durante la prima guerra mondiale, ma divenuto universalmente e tragicamente
noto soprattutto dopo l’ultima guerra
mondiale col
nome cèco di Terezin.
Terezin fu
infatti l’unico lager nazista in cui vennero concentrati solo bambini ebrei
(15.000) nel passaggio verso Auschwitz e
la “soluzione finale” alla quale appena un centinaio sopravvisse:
Theresienstadt-Terezin, oggi “luogo della memoria”, da sempre luogo di
terrore? Vedremo.
Ma
torniamo ai prigionieri del 1848 per notare, fin da ora, alcune costanti di
tutto quel viaggio: innanzitutto la comunanza fraterna fra i volontari “civici”
provenienti da varie città toscane ed i volontari universitari, studenti e
professori, quasi tutti (389) dell’Ateneo pisano (allora il maggiore del
Granducato, infatti con Lorenzo il Magnifico, dal 1473l o Studium fiorentino
era stato trasferito a Pisa e l’Università di Firenze verrà ripristinata solo
nel 1923), con l’apporto di 74 allievi dell’Università di Siena.
A
questa sincera compartecipazione frai volontari prigionieri toscani, cosa
insolita per una regione da sempre rósa da dispute campanilistiche, durante il
viaggio faranno da contrappunto i non facili rapporti fra gli studenti ed i
soldati granducali, i “così detti bianchini… che – nota Tarugi – è bello tacere cosa fossero di
scellerato”(7).
Quest’ultimi,
inviati obtorto collo da Leopoldo II
in Lombardia, già prima della battaglia avevano mostrato insofferenza verso i
“signorini” studenti, ritenendosi
trascinati dal loro idealismo nei pericoli di una guerra alla quale,
evidentemente, avrebbero preferito sottrarsi. Tuttavia i “bianchini” (dal
colore della loro divisa spesso confusa sul campo con quella degli austriaci)
poi si batterono bene, ed anzi, quando “a caldo” alcuni studenti prigionieri
furono minacciati, in quanto “irregolari”, di fucilazione, essi offrirono di
ceder loro alcuni capi del proprio vestiario affinché potessero camuffarsi da
soldati dei reggimenti di Linea.
Dal
3 al 5 giugno i prigionieri intraprendono la marcia da “Mantova a Verona…la più
penosa di tutte le altre fino a Theresienstadt” (8).
Nella
città scaligera possono finalmente dissetarsi, sfamarsi e pensare alle famiglie
lontane, ma i contatti postali con la Toscana sono interrotti e bisogna
arrangiarsi: il pistoiese Pietro Fanfani, poi celebre vocabolarista, prova ad es. ad avvertire
il collaboratore veronese della sua rivista “Ricordi filologici e letterari”, P. Bartolomeo Sorio, affinché questi
successivamente scriva a Pistoia che lui ed altri concittadini come Francesco
Bianchini, Giuseppe Bracciolini, Icilio Capecchi , Francesco Vannetti, ecc.,
sono vivi, ma prigionieri (9).
Ripresa la marcia i prigionieri entrano nell’allora
denominato “Tirolo italiano”, che in sostanza corrisponde all’attuale Trentino,
giungendo il 7 ad Ala, poco sopra il Lago di Garda, anche questo poi “luogo
significativo” perché qui dal 1866 fino alla prima guerra mondiale sarà stabilito
il posto di confine, sulla strada del Brennero, fra Italia ed Impero
Austroungarico, confine poi ristabilito da Hitler nel 1943-44 durante
l’effimera Repubblica di Salò (10).
In questa zona i “nostri” hanno per un tratto di
strada come guardiani un reparto di studenti viennesi militarizzati con i
quali, ricordano, era possibile fraternizzare: “ …in ogni paese Italiano o
Tedesco …gli Studenti erano i primi ad avvicinarsi a noi…uno Studente era
riguardato come un vecchio amico”(8). Saranno via via poi presi in consegna da
soldati delle varie nazionalità componenti quel gran mosaico che era l’Impero
Asburgico: rigidi, ma corretti gli austriaci, con l’eccezione però dei
tirolesi, insieme ai croati sempre particolarmente duri verso gli italiani,
spesso gentili invece gli ungheresi, quasi complici infine i triveneti che
spesso, ma sottovoce, li saluteranno con un “Viva l’Italia”. A Trento infatti i
“nostri” trovano eccezionale accoglienza: “Le…persone …gettavano pezzi di pane,
danari …e…ci abbracciavano piangendo” (11).
La situazione cambierà ben presto nel “Tirolo
tedesco”, che andava dalla zona di Bolzano (10) a quella di Innsbruck, dove
invece i prigionieri registreranno “segni di odio da quella popolazione” tanto
che riterranno “prudenziale” serrare i ranghi e “non dividersi” (12).
Significativo, nella giornata del 14, il passaggio per il Brennero “con…in cuore la
speranza che un giorno la nostra patria avrebbe raggiunto quel suo confine
naturale” (13).
Dopo Innsbruck, spesso pernottando all’aperto e
mangiando “poco e pessimo pane intriso nel latte inacidito” (14), i prigionieri passano per Salisburgo e
giungono a Linz, città che ricorderanno con nostalgia: “Il suo bel
Lungo-Danubio – scrive Tarugi - mi rammentava il Lungarno di Pisa” (14), mentre
Ademollo nota: “…una delle più belle città dell’Austria…fornita di vapori
fluviali per Vienna e l’Ungheria …[con] i loro equipaggi composti quasi
totalmente da Livornesi” (15).
Ripreso il cammino i “nostri” entrano in Boemia ed
il 5 luglio, giunti a Budweiss, vengono divisi: i “regolari” sono inviati verso
le fortezze di Koenigsgratz e di Josephstadt, mentre i volontari, studenti e
non, compresi una ventina di soldati napoletani, verso Theresienstadt.
E’ con gli studenti boemi che ora i “nostri”
riescono a stringere forti legami di simpatia anche perché pochi giorni prima
nella vicina Praga si era verificata una rivolta antiasburgica:
“c’intendevamo…più di tutto con la lingua latina, nella quale…potevano dirsi
maestri” (16) – ed essi – “subito
chiedevano all’Uffiziale di scorta…di portarci nelle loro case a pranzo” (17).
Giungono finalmente a Theresienstadt “che fece
l’ingegnere Pellegrini di Milano, a’ suoi tempi…In fondo di questa fortezza
esisteva un ampio seguito a ferro di cavallo di casematte di due piani e in una
parte di queste i prigionieri furono collocati…dinanzi ad un alto impalancato
di legno” (18).
Sui “nostri” gravano ora la “monotonia della vita di
caserma” unita alla preoccupazione per non poter ricevere o spedire notizie ai
familiari. “In seguito le lettere arrivarono, l’animo tornò più tranquillo ed
allora cominciammo ad arrabattarci per passare meglio che si poteva il nostro
tempo” (19).
Si prova a dipingere avendo come maestro il pittore
pistoiese Demostene Macciò, ma soprattutto si organizzano concerti d’ opera
italiana “sotto la direzione di Baco Canovai, di Gherardi del Testa e di altri
prigionieri…melodie…da noi tanto bene riprodotte…che le famiglie degli
Uffiziali, rotte le consegne delle sentinelle…vollero entrare nel piazzale riservato
per vederci e udirci da vicino. Lo stesso nostro burbero comandante dismise i
suoi rigori e concesse che alcuni di noi tutti i giorni potessero …uscire
dalla fortezza …e anche facoltà di condursi in qualche città
della finitima Sassonia” (20).
I “nostri” possono così “gustare dei discreti
manicaretti, fra’ quali la lepre cotta in più modi” (21), ma non solo: “a
Leitmoritz…sull’Elba – ricorda Ademollo –
città…fornita di una copiosissima libreria potemmo abbellirci di quanti
libri Francesi e Tedeschi volevamo…unico e solo libro Italiano che ci trovavamo
fu la raccolta delle Poesie del Giusti
[la cui fama]…si era spinta per un buon tratto nel settentrione”(22).
In sostanza la permanenza a Theresienstad sarà via
via per i “nostri” talmente piacevole che Tarugi noterà: “Se non mi avessero
fatto difetto i soldi quel periodo di prigionia sarebbe stato per me una vera
villeggiatura” (23).
Tutto ciò oltre ad un istintivo di nostalgia per i
modi cavallereschi dei “bei tempi andati” non può che provocare oggi in noi una
profonda angoscia ben sapendo cosa accadrà proprio in quel luogo quasi
cent’anni dopo.
Finalmente il 24 agosto i toscani apprendono
dell’Armistizio di Salasco e dopo poco vengono liberati.
Non più prigionieri, potranno ripercorrere con comodo
(addirittura a Linz troveranno l’inviato del governo toscano Ubaldino Peruzzi
che fornirà loro gli arretrati della paga!) la strada dell’andata, per rientrare
finalmente, a settembre inoltrato, in Patria.
Carlo Onofrio Gori
Note:
1)
G. Nerucci (per cura di), Ricordi
storici del Battaglione Universitario Toscano alla guerra dell’Indipendenza
Italiana del 1848, Prato, Stabilimento Litotipografico G. Salvi, 1891, pp.
486-487.
2)
Ivi,
p. 409.
3)
Ivi, p. 404.
4)
Ivi, p. 410.
5)
Sulla
partecipazione dei pistoiesi a quell’evento Cfr.: L. Mazzei, Carteggio
familiare dal marzo 1848 di un milite del 2° Batt.ne Fiorentino, Pistoia,
Giuseppe Flori, 1903; B.Bruni, I
combattenti pistoiesi a Curtatone e Montanara il XXIX maggio 1848, in
“Bullettino storico pistoiese”, n. 2, 1958;
B.Bruni, I militi pistoiesi del Battaglione Universitario Toscano a
Curtatone, in “Rassegna storica del Risorgimento”, n. 1, 1936; A. Chiti,
6)
Tra
gli studenti toscani che presero parte alla battaglia ricordiamo, tra gli
altri, quello che sarà l’autore di Pinocchio,
il fiorentino Carlo Lorenzini, alias
Collodi, i pisani Giuseppe Montanelli e
Tommaso Gherardi del Testa, successivamente noto commediografo, il
pratese Carlo Livi, poi noto medico, fra i
pistoiesi Enrico Betti, successivamente
grande matematico, Francesco
Franchini, poi ministro dell'istruzione nel Governo Guerrazzi, Atto Tigri, in seguito noto medico e scienziato, Luigi Pacinotti,
poi grande fisico, Pietro
Fanfani, montalese, uno dei più noti studiosi ottocenteschi della lingua
italiana, ecc. ecc.
7)
Ricordi storici…cit., p. 418
8)
Ivi,
p. 416
9)
Cfr.
G. Biadego, I prigionieri toscani di Curtatone a Verona, in “Arte e
Scienza”, n. 6, 1904. Oltre quelli qui ricordati, B. Bruni, I combattenti…cit., elenca
fra i prigionieri pistoiesi: Costantino Banci, Milziade Battaglini, Enrico
Bechelli, Andrea Bertelli, Egisto Biagini, Francesco Biagini, Bonifazio
Borracchini, Leopoldo Calzolari Morelli,
Italo Carradori, Mario Carradori, Macario Cecchini, Giuseppe Cheli,
Pietro Chiti, Raffaello Fedi, Aldobrando Frosini, Alessandro Giunti, Ezio
Giusfredi, Raffaello Iovi, Demostene Macciò, Vincenzo Parenti, Gustavo Petrini,
Ottavio Quarteroni Baldesi, Eugenio Rossi, Giuseppe Selvaggi.
10)
Cfr. G. Cirillo, Casi e cose, Ala, Arti Grafiche , 1948, p. 295. Dice l’A.,
un resistente tratto prigioniero dai tedeschi, passato da Ala e diretto in
Germania: “Dopo l’8 settembre 1943 i tedeschi avevano
…rimesso il confine al posto dove era prima del 24 maggio 1915. In quel punto avemmo la grata sorpresa di
rivedere le vecchie divise dei nostri Carabinieri…Essi ci rivolsero
incoraggiamenti e parole di speranza durante la breve sosta per le formalità di
confine..[della]..Repubblica Sociale Italiana …alleata del Grande Reich
Tedesco…[ciò] stava a significare che, anche vincendo la guerra il blocco
nazifascista, gli italiani dovevano cedere territori….I carabinieri del posto
di Ala reagivano come potevano a quello stato di cose…”
11)
Ricordi
storici…cit.,
p. 426.
12)
Ivi, p. 423.
13)
A. Chiti, I prigionieri pistoiesi di
Curtatone a Bolzano, in “Bullettino storico pistoiese”, n. 1/4, 1948.
14)
Ricordi
storici…cit.,
p. 497.
15)
Ivi, p. 425.
16)
Ivi, p. 497.
17)
Ivi, p. 425.
18)
Ivi, p. 499.
19)
Ibidem.
20)
Ivi, p.
426.
21)
Ivi, p.
502.
22)
Ivi, p. 429.
23)
Ivi, p. 503.
Theresienstadt, prigione d’eroi. L’internamento in Boemia dei volontari toscani del 1848 nel ricordo di alcuni patrioti pistoiesi, in “Microstoria”, n. 47 (mag.-giu. 2006);
Da Curtatone e Montanara a Terezin: il lungo viaggio dei prigionieri toscani del 1848, in "Camicia rossa", n. 2/3 (mag./set. 2010).
già pubblicato in: http://goriblogstoria.blogspot.it/2011/04/carlo-onofrio-gori-risorgimento-i_30.html
Questo articolo è riproducibile, del tutto o in parte, avendo però cura di citare chiaramente l'autore e le fonti.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.