sabato 25 maggio 2013

Carlo O. Gori. Il lungo viaggio dei prigionieri toscani del 1848 da Curtatone e Montanara a Theresienstadt-Terezin



Il lungo viaggio dei prigionieri toscani del 1848 da Curtatone e Montanara a Theresienstadt-Terezin


“L’ordine di ritirata…a noi…non pervenne...il momento era critico…” (1), “…gli austriaci sbucavano da tutte le parti in fitte squadre...facemmo un'ultima prova di resistenza”(2), “…il numero dei nemici aumentando fu gioco forza cedere le armi alle ingiunzioni di un Uffiziale” (3), “…buttai ... il mio fucile e la mia sciabola, e il mio esempio fu imitato dagli altri...poi consegnati ad un sargente, fummo incamminati alla volta di Mantova”(4).
Così Alfonso Ademollo, fiorentino, Felice Stocchi da Sinalunga ed montepulcianese Tarugio Tarugi descrivono nel libro Ricordi storici del battaglione universitario toscano, curato e pubblicato nel 1891 dal reduce pistoiese Gherardo Nerucci, , noto anche come autore delle Sessanta novelle popolari montalesi, l'inizio della loro  prigionia dopo la battaglia di Curtatone e Montanara.
Alla fine di quella giornata non tutti i combattenti italiani ebbero il tempo di ritirarsi: rimasero infatti nelle mani degli austriaci ben 1276 prigionieri, toscani in massima parte e fra questi 29 pistoiesi che avevano avuto tra le loro fila 6 caduti e 12 feriti (5).
E’ ampiamente noto che a Curtatone e Montanara, il 29 maggio 1848, i toscani, insieme ad un piccolo contingente napoletano, sotto la guida del generale granducale Cesare De Laugier conte de Bellecour, si batterono con valore contro un nemico esperto, agguerrito e preponderante, e pur dovendo alla fine ripiegare diedero il tempo ai sardo-piemontesi di prepararsi ad affrontare vittoriosamente, il giorno seguente, il grosso dell'armata austriaca a Goito: successo purtroppo poi non sfruttato (6).
A noi infatti, più che sulle fasi, sui protagonisti o sul significato di quell’evento, e che al di là di ogni retorica riteniamo fondamentale per la riscoperta delle radici dell’identità toscana e nazionale, sembra stimolante soffermarsi qui sulle vicissitudini di quei prigionieri, anche perché essi, dopo una marcia forzata di 15-20 miglia giornaliere, vennero poi internati a Theresienstadt, una città-fortezza boema, dedicata all’Imperatrice Maria Teresa, luogo che ospiterà prigionieri italiani anche durante la prima guerra mondiale, ma divenuto universalmente e tragicamente noto soprattutto dopo l’ultima guerra mondiale col nome cèco di Terezin.
Terezin fu infatti l’unico lager nazista in cui vennero concentrati solo bambini ebrei (15.000) nel  passaggio verso Auschwitz e la “soluzione finale” alla quale appena un centinaio sopravvisse: Theresienstadt-Terezin, oggi “luogo della memoria”, da sempre luogo di terrore?  Vedremo.
Ma torniamo ai prigionieri del 1848 per notare, fin da ora, alcune costanti di tutto quel viaggio: innanzitutto la comunanza fraterna fra i volontari “civici” provenienti da varie città toscane ed i volontari universitari, studenti e professori, quasi tutti (389) dell’Ateneo pisano (allora il maggiore del Granducato, infatti con Lorenzo il Magnifico, dal 1473l o Studium fiorentino era stato trasferito a Pisa e l’Università di Firenze verrà ripristinata solo nel 1923), con l’apporto di 74 allievi dell’Università di Siena.
A questa sincera compartecipazione frai volontari prigionieri toscani, cosa insolita per una regione da sempre rósa da dispute campanilistiche, durante il viaggio faranno da contrappunto i non facili rapporti fra gli studenti ed i soldati granducali, i “così detti  bianchini… che –  nota Tarugi – è bello tacere cosa fossero di scellerato”(7).
Quest’ultimi, inviati obtorto collo da Leopoldo II in Lombardia, già prima della battaglia avevano mostrato insofferenza verso i “signorini” studenti,  ritenendosi trascinati dal loro idealismo nei pericoli di una guerra alla quale, evidentemente, avrebbero preferito sottrarsi. Tuttavia i “bianchini” (dal colore della loro divisa spesso confusa sul campo con quella degli austriaci) poi si batterono bene, ed anzi, quando “a caldo” alcuni studenti prigionieri furono minacciati, in quanto “irregolari”, di fucilazione, essi offrirono di ceder loro alcuni capi del proprio vestiario affinché potessero camuffarsi da soldati dei reggimenti di Linea. 
Dal 3 al 5 giugno i prigionieri intraprendono la marcia da “Mantova a Verona…la più penosa di tutte le altre fino a Theresienstadt” (8).
Nella città scaligera possono finalmente dissetarsi, sfamarsi e pensare alle famiglie lontane, ma i contatti postali con la Toscana sono interrotti e bisogna arrangiarsi: il pistoiese Pietro Fanfani, poi celebre vocabolarista, prova ad es. ad avvertire il collaboratore veronese della sua rivista “Ricordi filologici e letterari”,  P. Bartolomeo Sorio, affinché questi successivamente scriva a Pistoia che lui ed altri concittadini come Francesco Bianchini, Giuseppe Bracciolini, Icilio Capecchi , Francesco Vannetti, ecc., sono vivi, ma prigionieri (9).
Ripresa la marcia i prigionieri entrano nell’allora denominato “Tirolo italiano”, che in sostanza corrisponde all’attuale Trentino, giungendo il 7 ad Ala, poco sopra il Lago di Garda, anche questo poi “luogo significativo” perché qui dal 1866 fino alla prima guerra mondiale sarà stabilito il posto di confine, sulla strada del Brennero, fra Italia ed Impero Austroungarico, confine poi ristabilito da Hitler nel 1943-44 durante l’effimera Repubblica di Salò (10). 
In questa zona i “nostri” hanno per un tratto di strada come guardiani un reparto di studenti viennesi militarizzati con i quali, ricordano, era possibile fraternizzare: “ …in ogni paese Italiano o Tedesco …gli Studenti erano i primi ad avvicinarsi a noi…uno Studente era riguardato come un vecchio amico”(8). Saranno via via poi presi in consegna da soldati delle varie nazionalità componenti quel gran mosaico che era l’Impero Asburgico: rigidi, ma corretti gli austriaci, con l’eccezione però dei tirolesi, insieme ai croati sempre particolarmente duri verso gli italiani, spesso gentili invece gli ungheresi, quasi complici infine i triveneti che spesso, ma sottovoce, li saluteranno con un “Viva l’Italia”. A Trento infatti i “nostri” trovano eccezionale accoglienza: “Le…persone …gettavano pezzi di pane, danari …e…ci abbracciavano piangendo” (11).
La situazione cambierà ben presto nel “Tirolo tedesco”, che andava dalla zona di Bolzano (10) a quella di Innsbruck, dove invece i prigionieri registreranno “segni di odio da quella popolazione” tanto che riterranno “prudenziale” serrare i ranghi e “non dividersi” (12).
Significativo, nella giornata del 14,  il passaggio per il Brennero “con…in cuore la speranza che un giorno la nostra patria avrebbe raggiunto quel suo confine naturale” (13).
Dopo Innsbruck, spesso pernottando all’aperto e mangiando “poco e pessimo pane intriso nel latte inacidito” (14),  i prigionieri passano per Salisburgo e giungono a Linz, città che ricorderanno con nostalgia: “Il suo bel Lungo-Danubio – scrive Tarugi - mi rammentava il Lungarno di Pisa” (14), mentre Ademollo nota: “…una delle più belle città dell’Austria…fornita di vapori fluviali per Vienna e l’Ungheria …[con] i loro equipaggi composti quasi totalmente da Livornesi” (15).
Ripreso il cammino i “nostri” entrano in Boemia ed il 5 luglio, giunti a Budweiss, vengono divisi: i “regolari” sono inviati verso le fortezze di Koenigsgratz e di Josephstadt, mentre i volontari, studenti e non, compresi una ventina di soldati napoletani, verso Theresienstadt.
E’ con gli studenti boemi che ora i “nostri” riescono a stringere forti legami di simpatia anche perché pochi giorni prima nella vicina Praga si era verificata una rivolta antiasburgica: “c’intendevamo…più di tutto con la lingua latina, nella quale…potevano dirsi maestri” (16) – ed essi –  “subito chiedevano all’Uffiziale di scorta…di portarci nelle loro case a pranzo” (17).
Giungono finalmente a Theresienstadt “che fece l’ingegnere Pellegrini di Milano, a’ suoi tempi…In fondo di questa fortezza esisteva un ampio seguito a ferro di cavallo di casematte di due piani e in una parte di queste i prigionieri furono collocati…dinanzi ad un alto impalancato di legno” (18).
Sui “nostri” gravano ora la “monotonia della vita di caserma” unita alla preoccupazione per non poter ricevere o spedire notizie ai familiari. “In seguito le lettere arrivarono, l’animo tornò più tranquillo ed allora cominciammo ad arrabattarci per passare meglio che si poteva il nostro tempo” (19).
Si prova a dipingere avendo come maestro il pittore pistoiese Demostene Macciò, ma soprattutto si organizzano concerti d’ opera italiana “sotto la direzione di Baco Canovai, di Gherardi del Testa e di altri prigionieri…melodie…da noi tanto bene riprodotte…che le famiglie degli Uffiziali, rotte le consegne delle sentinelle…vollero entrare nel piazzale riservato per vederci e udirci da vicino. Lo stesso nostro burbero comandante dismise i suoi rigori e concesse che alcuni di noi tutti i giorni potessero …uscire dalla  fortezza  …e anche facoltà di condursi in qualche città della finitima Sassonia” (20).
I “nostri” possono così “gustare dei discreti manicaretti, fra’ quali la lepre cotta in più modi” (21), ma non solo: “a Leitmoritz…sull’Elba – ricorda Ademollo –  città…fornita di una copiosissima libreria potemmo abbellirci di quanti libri Francesi e Tedeschi volevamo…unico e solo libro Italiano che ci trovavamo fu la raccolta delle Poesie del Giusti  [la cui fama]…si era spinta per un buon tratto nel settentrione”(22).
In sostanza la permanenza a Theresienstad sarà via via per i “nostri” talmente piacevole che Tarugi noterà: “Se non mi avessero fatto difetto i soldi quel periodo di prigionia sarebbe stato per me una vera villeggiatura” (23).
Tutto ciò oltre ad un istintivo di nostalgia per i modi cavallereschi dei “bei tempi andati” non può che provocare oggi in noi una profonda angoscia ben sapendo cosa accadrà proprio in quel luogo quasi cent’anni dopo.
Finalmente il 24 agosto i toscani apprendono dell’Armistizio di Salasco e dopo poco vengono liberati.
Non più prigionieri, potranno ripercorrere con comodo (addirittura a Linz troveranno l’inviato del governo toscano Ubaldino Peruzzi che fornirà loro gli arretrati della paga!) la strada dell’andata, per rientrare finalmente, a settembre inoltrato, in Patria.






                         Carlo Onofrio Gori



                                                                                                                                                            


Note:

1)                       G. Nerucci (per cura di), Ricordi storici del Battaglione Universitario Toscano alla guerra dell’Indipendenza Italiana del 1848, Prato, Stabilimento Litotipografico G. Salvi, 1891, pp. 486-487.
2)                       Ivi,  p. 409.
3)                       Ivi, p. 404.
4)                       Ivi, p. 410.
5)                       Sulla partecipazione dei pistoiesi a quell’evento Cfr.: L. Mazzei, Carteggio familiare dal marzo 1848 di un milite del 2° Batt.ne Fiorentino, Pistoia, Giuseppe Flori, 1903;  B.Bruni, I combattenti pistoiesi a Curtatone e Montanara il XXIX maggio 1848, in “Bullettino storico pistoiese”, n. 2, 1958;  B.Bruni, I militi pistoiesi del Battaglione Universitario Toscano a Curtatone, in “Rassegna storica del Risorgimento”, n. 1, 1936; A. Chiti,
6)                       Tra gli studenti toscani che presero parte alla battaglia ricordiamo, tra gli altri, quello che sarà l’autore di Pinocchio,  il fiorentino Carlo Lorenzini, alias Collodi, i pisani Giuseppe Montanelli e  Tommaso Gherardi del Testa, successivamente noto commediografo, il pratese Carlo Livi, poi noto medico, fra i  pistoiesi Enrico Betti, successivamente  grande matematico, Francesco Franchini, poi ministro dell'istruzione nel Governo Guerrazzi,  Atto Tigri, in seguito  noto medico e scienziato, Luigi Pacinotti, poi grande fisico,  Pietro Fanfani, montalese, uno dei più noti studiosi ottocenteschi della lingua italiana, ecc. ecc.
7)                       Ricordi storici…cit., p. 418
8)                       Ivi, p. 416
9)                       Cfr. G. Biadego, I prigionieri toscani di Curtatone a Verona, in “Arte e Scienza”, n. 6, 1904. Oltre quelli qui ricordati,  B. Bruni, I combattenti…cit., elenca fra i prigionieri pistoiesi: Costantino Banci, Milziade Battaglini, Enrico Bechelli, Andrea Bertelli, Egisto Biagini, Francesco Biagini, Bonifazio Borracchini, Leopoldo Calzolari Morelli,  Italo Carradori, Mario Carradori, Macario Cecchini, Giuseppe Cheli, Pietro Chiti, Raffaello Fedi, Aldobrando Frosini, Alessandro Giunti, Ezio Giusfredi, Raffaello Iovi, Demostene Macciò, Vincenzo Parenti, Gustavo Petrini, Ottavio Quarteroni Baldesi, Eugenio Rossi, Giuseppe Selvaggi.
10)                    Cfr. G. Cirillo, Casi e cose,  Ala, Arti Grafiche , 1948, p. 295. Dice l’A., un resistente tratto prigioniero dai tedeschi, passato da Ala e diretto in Germania:  “Dopo  l’8 settembre 1943 i tedeschi avevano …rimesso il confine al posto dove era prima del 24 maggio 1915.   In quel punto avemmo la grata sorpresa di rivedere le vecchie divise dei nostri Carabinieri…Essi ci rivolsero incoraggiamenti e parole di speranza durante la breve sosta per le formalità di confine..[della]..Repubblica Sociale Italiana …alleata del Grande Reich Tedesco…[ciò] stava a significare che, anche vincendo la guerra il blocco nazifascista, gli italiani dovevano cedere territori….I carabinieri del posto di Ala reagivano come potevano a quello stato di cose…”
11)                    Ricordi storici…cit., p. 426.
12)                    Ivi, p. 423.
13)                    A. Chiti, I prigionieri pistoiesi di Curtatone a Bolzano, in “Bullettino storico pistoiese”, n. 1/4, 1948.
14)                    Ricordi storici…cit., p. 497.
15)                    Ivi, p. 425.
16)                    Ivi, p. 497.
17)                    Ivi, p. 425.
18)                    Ivi, p. 499.
19)                    Ibidem.
20)                    Ivi, p.  426.
21)                    Ivi, p.  502.
22)                    Ivi, p. 429.
23)                    Ivi, p. 503.


Sintesi e rielaborazione degli articoli di Carlo O. Gori:
Theresienstadt,  prigione d’eroi. L’internamento in Boemia dei volontari toscani del 1848 nel ricordo di alcuni patrioti pistoiesi, in “Microstoria”, n. 47 (mag.-giu. 2006);
Da Curtatone e Montanara a Terezin: il lungo viaggio dei prigionieri toscani del 1848, in "Camicia rossa", n. 2/3 (mag./set. 2010).

già pubblicato in: http://goriblogstoria.blogspot.it/2011/04/carlo-onofrio-gori-risorgimento-i_30.html


  Questo articolo è riproducibile, del tutto o in parte, avendo però cura di citare chiaramente l'autore e le fonti.











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