Due
lapidi dedicate alla breve permanenza pistoiese di Giosuè Carducci nel 1860,
una posta a lato dell'ingresso del Palazzo della Sapienza (oggi sede della
Biblioteca Forteguerriana) dove il poeta insegnò e l'altra all'altezza del n.
23 dell'omonima via (a suo tempo via dell'Amore) dove abitò con la famiglia, ci
ricordano che si svolgono quest'anno, per la verità finora un po' in sordina,
le manifestazioni per il centenario della sua
morte avvenuta a Bologna il 16
febbraio 1907.
E'
il 10 gennaio 1860 quando il venticinquenne insegnante toscano arriva a Pistoia per prendere
servizio il giorno successivo: è poeta e
gode già di una discreta fama negli ambienti letterari. Aveva infatti
pubblicato la sua prima raccolta di Rime
nel 1857 a S. Miniato al Tedesco dove aveva insegnato retorica al locale
Ginnasio.
Nel dicembre 1859 era poi arrivata la nomina che per l'anno
scolastico 1859-60 lo destinava, per trasferimento da Arezzo, alla
cattedra di lingua e lettere greche al Liceo Forteguerri. Un po' di respiro
economico per Giosuè che in seguito alla
tragica morte del fratello Dante (1857) e del padre, medico a S. Maria a Monte
(1858), aveva ormai sulle spalle tutta la famiglia che campava soprattutto
lavorando alla collezione Diamante dell'editore fiorentino Barbèra.
Inizialmente in Pistoia abitò da solo, tornando il venerdì dopo le lezioni a
Firenze.
La città di Cino gli piacque subito come testimonia una lettera alla moglie del 10 gennaio: “... più che si vede, più apparisce bella
città: magnifiche, larghe vie, bei fabbricati, monumenti d'architettura e d'arte
non punto volgari”, ed un'altra, inviata
il 12, ad un amico pisano: “In Pistoia spero star bene; bella città ariosa, di
larghe vie, toscana di monumenti, ricordanze e lingua”.
Tuttavia i motivi pratici prevalsero ed il poeta, già il 24 gennaio, si raccomandava al Salvagnoli (allora ministro dei Culti nel Governo provvisorio toscano) ed al Gotti invocando i loro buoni uffici per un trasferimento al Liceo di Firenze: “...ciò più di ogni altra cosa, varrebbe ai miei studi..., che in Firenze potrei meglio seguitare per le facoltà grandi che dà la città”; “lo stipendio che ora ho, in città di provincia, priva per me d'ogni altro modo di guadagno, non basta alla famiglia mia”.
Le raccomandazioni, evidentemente, non funzionarono, pertanto nel febbraio lo raggiunse a Pistoia la famiglia, allora composta dalla moglie Elvira, dalla madre Ildegonda, dal fratello Valfredo e dalla piccola figlia Bice.
Tuttavia i motivi pratici prevalsero ed il poeta, già il 24 gennaio, si raccomandava al Salvagnoli (allora ministro dei Culti nel Governo provvisorio toscano) ed al Gotti invocando i loro buoni uffici per un trasferimento al Liceo di Firenze: “...ciò più di ogni altra cosa, varrebbe ai miei studi..., che in Firenze potrei meglio seguitare per le facoltà grandi che dà la città”; “lo stipendio che ora ho, in città di provincia, priva per me d'ogni altro modo di guadagno, non basta alla famiglia mia”.
Le raccomandazioni, evidentemente, non funzionarono, pertanto nel febbraio lo raggiunse a Pistoia la famiglia, allora composta dalla moglie Elvira, dalla madre Ildegonda, dal fratello Valfredo e dalla piccola figlia Bice.
Al Forteguerri Carducci ebbe come direttore Francesco Franchini,
rappresentante tangibile dei grandi cambiamenti che stavano avvenendo in quel
periodo in Toscana ed in Italia: già
combattente a Montanara, in seguito alla prima defenestrazione dei Lorena era
stato nel 1848 ministro dell'Istruzione Pubblica sotto il triumvirato Guerrazzi-Mazzoni-Montanelli,
poi con la restaurazione granducale era riparato a Genova, per tornare
finalmente a Pistoia richiamato nel maggio 1859 dal nuovo governo provvisorio
toscano che gli aveva affidato la direzione del Liceo cittadino.
Qui Carducci
trovò altri validi colleghi come ad esempio
Giuseppe Tigri, direttore della Biblioteca Forteguerriana, (a quei tempi unita
al Liceo) che nel 1856 aveva pubblicato i Canti popolari toscani, e
Pietro Bozzi, ordinario di diritto romano e patrio.
Il poeta tuttavia sembrò mostrare scarsa stima per il mondo culturale pistoiese, (descrisse il 3 maggio all'amico Chiarini una sua pubblica prolusione come “ ...troppo dotta per i dotti pistoiesi”), ma ciò non gli impedì di frequentare il salotto letterario di Louisa Grace.Pittrice, letterata, traduttrice, l'aristocratica irlandese innamorata dell'Italia, seguendo i consigli della sua guida spirituale, il patriota e letterato pistoiese don Angelico Marini, fin dal 1841 aveva scelto di abitare in città e, volendo proseguire la tradizione culturale di Niccolò Puccini (presso la cui casa aveva inizialmente abitato), aveva fatto della sua dimora di via della Madonna il ritrovo più dotto della città.
Dalla matura, ma affascinante Louisa, Carducci, oltre al Marini, incontrò personaggi come Giovanni Procacci, Mariano Bargellini e vi invitò poi i suoi giovani “Amici pedanti”, il Chiarini e il Gargani, Fra Giosué e Louisa nacque una amicizia che rimarrà sempre forte anche dopo che questa, il 17 febbraio 1860, sposerà l'ing. Francesco Bartolini, di tredici anni più giovane, e dopo che, “auspice Terenzio Mamiani”, il poeta otterrà nell'agosto la prestigiosa cattedra di eloquenza italiana all'Università di Bologna iniziando dal novembre un lunghissimo periodo di insegnamento che durerà fino al 1904.
Il poeta tuttavia sembrò mostrare scarsa stima per il mondo culturale pistoiese, (descrisse il 3 maggio all'amico Chiarini una sua pubblica prolusione come “ ...troppo dotta per i dotti pistoiesi”), ma ciò non gli impedì di frequentare il salotto letterario di Louisa Grace.Pittrice, letterata, traduttrice, l'aristocratica irlandese innamorata dell'Italia, seguendo i consigli della sua guida spirituale, il patriota e letterato pistoiese don Angelico Marini, fin dal 1841 aveva scelto di abitare in città e, volendo proseguire la tradizione culturale di Niccolò Puccini (presso la cui casa aveva inizialmente abitato), aveva fatto della sua dimora di via della Madonna il ritrovo più dotto della città.
Dalla matura, ma affascinante Louisa, Carducci, oltre al Marini, incontrò personaggi come Giovanni Procacci, Mariano Bargellini e vi invitò poi i suoi giovani “Amici pedanti”, il Chiarini e il Gargani, Fra Giosué e Louisa nacque una amicizia che rimarrà sempre forte anche dopo che questa, il 17 febbraio 1860, sposerà l'ing. Francesco Bartolini, di tredici anni più giovane, e dopo che, “auspice Terenzio Mamiani”, il poeta otterrà nell'agosto la prestigiosa cattedra di eloquenza italiana all'Università di Bologna iniziando dal novembre un lunghissimo periodo di insegnamento che durerà fino al 1904.
I successivi incontri fra i
due finirono per alimentare anche voci pettegole circa una loro “storia” densa
di particolari piccanti, ma niente sembra trasparire dal loro fitto carteggio che si interruppe solo
con morte di lei avvenuta il 3 maggio
1865.
Il Carducci le rese poi omaggio
col saggio critico Louisa Grace Bartolini esaltandone più che le doti di
pittrice o di letterata, quelle di esperta traduttrice e di divulgatrice in
Italia del poeta statunitense Henry W. Longfellow e dello storico Thomas B.
Macaulay autore dei Canti di Roma antica.
Un
altro noto personaggio pistoiese che successivamente intrattenne rapporti di
amicizia con Carducci fu il letterato e lessicografo Policarpo Petrocchi, oggi
ricordato soprattutto come autore del celebre Novo dizionario della lingua
italiana.
E' a Bologna, nel luglio 1881, che avviene il loro primo incontro.
Il
quarantaseienne accademico ha
definitivamente gettato alla spalle le inquietudini anarchicheggianti di
una giovinezza in cui, forse meglio di chiunque altro, con lo pseudonimo di
Enotrio Romano aveva saputo interpretare l'anima democratico-giacobina,
repubblicana e laica del Risorgimento e sta ora approdando a posizioni
conservatrici (con l’Ode alla regina d’Italia, 1878 era ormai considerato poeta
“ufficiale” di Casa Savoia), mentre il ventinovenne Petrocchi, che compirà poi un percorso politico inverso al “poeta vate della nuova Italia”, si è fatto
notare per una brillante traduzione dell'Assommoir di Zola, lodata dallo stesso
grande autore francese, ed è ancora un ammiratore della monarchia. Petrocchi,
invitato dal poeta, riceve le lodi del
padrone di casa per i suoi scritti e riporta una buona impressione di Bologna,
che vede per la prima volta, dei suoi abitanti e della vita che vi si svolge.
La visita venne ricambiata il 4 agosto seguente, quando fu Carducci ad andare a
trovare il giovane amico nel natio ridente paese montano di Castello di
Cireglio.
Carducci, in compagnia dell'avvocato Giuseppe Barbanti Brodano, scese dal treno a Pracchia e fu accompagnato in calesse a Cireglio dal Petrocchi. Dopo una visita al paese, vi fu una escursione su un colle vicino seguita dal pranzo al Castello, il tutto ravvivato da recitazione di poesie del Fucini, del Rizzi e dello stesso Carducci, discussioni letterarie sul Manzoni e sulla lingua italiana, spiritose conversazioni riguardanti “mille cose”. Gli ospiti passarono la notte nella modesta casa petrocchiana, per ripartire l'indomani mattina, in un legno condotto da Policarpo, alla volta dell'Abetone, dove si incontrarono con Renato Fucini.
Carducci, in compagnia dell'avvocato Giuseppe Barbanti Brodano, scese dal treno a Pracchia e fu accompagnato in calesse a Cireglio dal Petrocchi. Dopo una visita al paese, vi fu una escursione su un colle vicino seguita dal pranzo al Castello, il tutto ravvivato da recitazione di poesie del Fucini, del Rizzi e dello stesso Carducci, discussioni letterarie sul Manzoni e sulla lingua italiana, spiritose conversazioni riguardanti “mille cose”. Gli ospiti passarono la notte nella modesta casa petrocchiana, per ripartire l'indomani mattina, in un legno condotto da Policarpo, alla volta dell'Abetone, dove si incontrarono con Renato Fucini.
I contatti fra Carducci e Petrocchi
continuarono cordiali ed abbastanza intensi (nel 1890, per la nomina del poeta
a senatore del Regno, Policarpo gli dedicò un'ode buon augurio) fino al 1895
quando un diverbio per motivi politici raffreddò alquanto, da allora in poi, i
loro rapporti.
La scenata avvenne a Roma nel 1895, nella trattoria del sor Enrico in Santa Maria in Via, presso l'angolo di Via dei Crociferi: sedevano a tavola, oltre ai due protagonisti, altri noti commensali, fra cui Cesare Pascarella. Da notare che in questo periodo il sessantenne Carducci ha da poco la pubblicato l’ode per celebrare le nozze di Francesco Crispi mentre invece Petrocchi ha maturato posizioni repubblicane, filosocialiste ed è fieramente anticrispino.
La scenata avvenne a Roma nel 1895, nella trattoria del sor Enrico in Santa Maria in Via, presso l'angolo di Via dei Crociferi: sedevano a tavola, oltre ai due protagonisti, altri noti commensali, fra cui Cesare Pascarella. Da notare che in questo periodo il sessantenne Carducci ha da poco la pubblicato l’ode per celebrare le nozze di Francesco Crispi mentre invece Petrocchi ha maturato posizioni repubblicane, filosocialiste ed è fieramente anticrispino.
Ma vediamo come poi il lessicografo e letterato pistoiese racconterà
l'episodio: «...il Della Porta interloquì, e per provare quanto Crispi fosse un
gran galantuomo e il Cavallotti un birbante, si mise a citare un aneddoto
sciocco. Io sdegnato l'interruppi: “Ma smettetela: codesto Crispi è il più gran
mascalzone che abbia avuto il Regno d'Italia”. Carducci s'alzò invelenito,
prese il coltello, pareva che mi volesse fulminare; io lo guardai imperterrito,
mi disse: “Esci!”. “Eh, se non è per questo non mi par vero!” gli dissi. “Tu
sai come la penso”. “Io so che sono un uomo libero”. E andando via,
m'accompagnò con questa frase sardonica: “Un toscanello che s'è fatto
manzoniano a Milano”. E io di rimando: “Se mi son fatto manzoniano...”. “Che
dici?”. “Se mi son fatto manzoniano è perché non mi son mai fatto servo di
nessuno”. E me n'andai».
Qualche tempo dopo i due ebbero modo di rivedersi grazie al generoso e riuscito tentativo di rappacificazione voluto dal Pascarella e sancito da un lauto pranzo a Frascati. Il Carducci ben accolse Petrocchi scusandosi per lo spiacevole incidente, tuttavia il festoso convivio non bastò a rasserenare del tutto il clima dei loro rapporti.
Seguirono altri incontri, l’ultimo avvenne a Bologna il 2 gennaio del 1902: sette mesi dopo, il 25 agosto, il lessicografo pistoiese moriva a Castello in seguito ad un malore improvviso.
Qualche tempo dopo i due ebbero modo di rivedersi grazie al generoso e riuscito tentativo di rappacificazione voluto dal Pascarella e sancito da un lauto pranzo a Frascati. Il Carducci ben accolse Petrocchi scusandosi per lo spiacevole incidente, tuttavia il festoso convivio non bastò a rasserenare del tutto il clima dei loro rapporti.
Seguirono altri incontri, l’ultimo avvenne a Bologna il 2 gennaio del 1902: sette mesi dopo, il 25 agosto, il lessicografo pistoiese moriva a Castello in seguito ad un malore improvviso.
Il 15 agosto 1905, il
figlio maggiore del Petrocchi, Carlo, riceveva da Alberto Bacchi Della Lega,
collaboratore, amico e segretario di Carducci negli ultimi anni della vita del
poeta, il seguente biglietto riguardante Policarpo: «“Fu un uomo buono e valente ed io l'amai
molto” così mi disse di scriverle il prof. Carducci che della sua mano inferma
non può valersi a risponderle di persona».
Ed il futuro Premio Nobel poteva avere anche tanti difetti, ma non era
uso mentire.
Già da me pubblicato in "Microstoria", n. 52 (apr.-giu. 2007), col tit.: Pistoia “bella città ariosa”. Il soggiorno di Carducci in città, l’amicizia con Policarpo Petrocchi e il circolo di Louisa Grace.
Questo articolo è riproducibile parzialmente o totalmente previo consenso o citazione esplicita dell'Autore
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