domenica 24 marzo 2013

C.O. Gori. Politica. Sondaggi elettorali.

Elezioni 2013 e sondaggi elettorali: ricordo di Celso Ghini...


A...ripensarci...sondaggisti elettorali...ieri e oggi. Che dire, per inciso, degli, spesso diversamente schierati, ma tutti strapagati, odierni sondaggisti elettorali? 
Al loro confronto i responsi dell'Oracolo di Delfi erano....una certezza! 
Chi si ricorda più che il vecchio PCI (partito anche criticabile, secondo i punti di vista politici di ciascuno, comunque a giudizio unanime, partito "serio"...pensando ai suoi epigoni...),  aveva al suo servizio Celso Ghini, nato a Bologna il 6 dicembre 1907, deceduto a Roma il 13 dicembre 1981, che malgrado prendesse, rispetto ai canoni attuali,  uno stipendio da fame e non avesse a sua disposizione i mezzi informatici che abbiamo oggi, le tendenze elettorali le azzeccava regolarmente, ed in base a quelle il suo partito poteva ben calibrare per la bisogna le strategie del momento. 
Non solo! A urne chiuse i giornalisti di qualsiasi colore, quando i dati del Viminale erano di là da venire, andavano a Botteghe Oscure per avere primi risultati e, attendibili, proiezioni.
Qui sotto una sua biografia a cura di www.studielettorali.it:
"Celso Ghini morì alla vigilia del I convegno internazionale della SISE (Società Italiana Studi Elettorali), che si svolse a Pavia dal 7 al 9 gennaio 1982. Dopo aver seguito con entusiasmo e partecipazione la nascita della Società, non poté assistere alla sua prima importante manifestazione. L’anno dopo, quando stabilì di bandire un premio per tesi di laurea su argomenti elettorali, il Comitato Scientifico della SISE decise di intitolarglielo. Dal 1986 il “Premio Celso Ghini” è stato assegnato regolarmente ogni due anni ed è arrivato nel 2009-2010 alla tredicesima tornata. Celso Ghini aveva acquisito molti meriti nel campo degli studi elettorali in Italia, in qualità di responsabile dell’Ufficio Elettorale del PCI. Il suo archivio dati, aggiornatissimo ad ogni scadenza elettorale, era a disposizione di tutti coloro che ne avessero bisogno. Costante e proficua era stata perciò la sua collaborazione con tutti gli studiosi che lavoravano nelle università e nei centri studi, nonché con gli esperti del Ministero degli interni e dell’Istat. Ghini fu il responsabile di quell’Ufficio, creato a Botteghe Oscure per lui nel 1963, fino alla sua morte, quindi per quasi un ventennio. Ghini era nato a Bologna nel 1907, tredicesimo figlio di una famiglia operaia. Autodidatta, dopo aver conseguito la licenza elementare nella scuola serale, si appassionò allo studio e alla lotta politica. Nel 1924, dopo aver subito un primo arresto, entrò a far parte della Gioventù comunista e nel 1926 del Comitato federale del partito a Bologna. Dopo aver subito un altro arresto, fu a Mosca alla scuola di partito, dal 1927 al 1929. Da Parigi, dove si trasferì, compì varie missioni clandestine in Italia finché venne arrestato di nuovo nel 1931 e condannato dal Tribunale Speciale a 17 anni di carcere. Fu durante il confino a Ventotene che cominciò ad occuparsi di statistica. Dopo la lotta partigiana e dopo la Liberazione divenne membro della Commissione Centrale di Organizzazione del PCI, essendone vice responsabile dal 1947 al 1955. Fra gli altri incarichi nel partito, particolarmente importante fu quello di segretario della Federazione di Bologna dal 1957 al 1959. Più volte membro del Comitato Centrale fu anche segretario della Commissione Centrale di Controllo dal 1960 al 1963 prima di assumere l’incarico di responsabile dell’Ufficio Elettorale. Alle elezioni Celso Ghini dedicò numerosi articoli e saggi e alcuni importanti libri, fra i quali continuano a mantenere immutato il loro valore Il voto degli italiani (1975) e Il terremoto del 15 giugno (1976). 
Postuma uscì la raccolta Itinerari elettorali (1946-1976) (1986)."

                                                                        
                                                              

                                                      COG







sabato 23 marzo 2013

Renato Risaliti. I Demidov a Firenze


I Demidov a Firenze *

La presenza dei Demidov a Firenze è una delle pagine più affascinanti di un rapporto d’amore che si è protratto per diverse generazioni: quattro o cinque, a seconda che il principe Karageorgevič possa essere considerato un mezzo Demidov con cui il ciclo si è concluso definitivamente.
La serie inizia con Nikolaj (Niccolò) che si stabilisce a Firenze verso la metà degli anni Venti dell’Ottocento dopo che aveva tentato di stabilirsi prima a Roma e poi a Lucca. Questi tentativi furono frustrati dal Papa per  motivi confessionali essendo di Demidov i rappresentanti di una aborrita potenza globale, sì, ma eretica come era considerata dai cattolici fondamentalisti dell’epoca della Restaurazione.
Il Borbone di Lucca non poteva minimamente competere in ricchezza con i grandi industriali metallurgici della Siberia e quindi dissero un secco no al tentativo di Niccolò (Nikolaj) Demidov di stabilirsi a Lucca o nei suoi dintorni.
Rimaneva la carta di Firenze e Niccolò seppe giocarla bene. Riuscì a stabilirsi a Firenze costruendo una villa nei dintorni (allora) della città nei pressi di Ponte alle Mosse, a San Donato in Polverosa. Subito Niccolò si distinse perché promosse della beneficenza in grande stile che avveniva nei dintorni di Palazzo Serristori che era dislocato sul Lungarno. La mattina si vedevano lunghe file di poveri che chiedevano l’elemosina che veniva dispensata a piene mani. Questo finì per creare il mito dei Demidov, dei ricconi russi presso cui era sempre possibile trovare un pezzo di pane per tutti i bisogni.
Sotto uno dei figli di Niccolò, Anatolio che era nato a Firenze nel 1812 e per questo deve essere considerato a tutti gli effetti il primo russo fiorentino della storia e non solo della casata, si crearono nuove opportunità di lavoro. Negli anni Trenta Anatolio aprì delle industrie tessili che svilupparono i primi processi di industrializzazione nel fiorentino. Questo tentativo non ebbe successo perché finì per essere abbandonato, tuttavia ad Anatolio va attribuito anche il tentativo assieme a Poniatowski di aprire una linea ferroviaria verso la Romagna. Ma le benemerenze di Anatolio si estendono alla Toscana tutta perché quando si sposò con Matilde, una nipote di Napoleone Bonaparte, fece aprire un grande museo nell’Isola d’Elba per ricordare il grande imperatore e zio della moglie. Questo matrimonio finì male perché Anatolio quando si ubriacava arrivava a picchiare la moglie. Nel 1839 in occasione della visita al Papa dell’Imperatore delle Russie Nicola I, dopo essersi accordato con il Papa, in un ricevimento a Firenze disse ad Anatolio sbalordito: “In merito alla vostra richiesta di divorzio con Matilde Bonaparte ho deciso di accoglierla!”.
Anatolio dovette accettare l’imposizione del suo sovrano senza poter profferire parola.
Ma le benemerenze di Anatolio verso Firenze e la Toscana vengono vanificate per il suo atteggiamento verso il  moto di unificazione nazionale dell’Italia che lo portano a sostenere la causa dei Lorena nel fatidico 1848-49 anche perché il Granduca lorenese lo aveva gratificato del titolo di Principe di S. Donato, titolo che non sarà mai riconosciuto ufficialmente nella Russia dei Romanov (se non al nipote Pavel Pavlovič). Questo passo fatale lo porterà ad emigrare a Parigi dopo il 1861, dove morirà dieci anni dopo.
Negli anni Settanta a Firenze giungerà suo nipote Pavel Pavlovič, figlio di un fratello e di una nobildonna finlandese che si era risposata con il figlio del grande storico russo Karamzin, morto durante la guerra di Crimea.
Pavel Pavlovič, però, abbandonerà la villa di S. Donato e comprerà la tenuta di Pratolino che era stata dei Medici. Naturalmente la sottoporrà ad una profonda ristrutturazione. La villa di S. Donato non gli andava bene perché lo sviluppo urbano aveva tolto a quella che era stata la “seconda reggia” di Firenze, dopo quella dei Lorena, il senso della lontananza dalla città  e della unicità della vita campagnola in auge nella aristocrazia.
La presenza di Pavel Pavlovič a Firenze va associata a diversi fatti positivi: il primo fra tutti è che costui fece una donazione senza precedenti: il rivestimento di marmo al Duomo nel momento in cui la città dopo i grandi lavori eseguiti per Firenze capitale era in grave crisi finanziaria. Non solo! Questo atto avvicinò di nuovo le sorti di queste due città: Kiev, capitale dell’Ucraina dove Pavel Pavlovič era stato governatore e aveva operato numerose donazioni, dopo che Firenze e Kiev avevano visto svolgersi il successo e il fallimento del grande Concilio ecumenico fra la Chiesa cattolica e ortodossa e erano state le sedi privilegiate di Massimo il Greco (dichiarato santo dalla Chiesa Ortodossa) e a Firenze conosciuto come Michele Trivolis, umanista allievo di Poliziano.
Naturalmente Pavel Pavlovič prosegue l’attività di beneficenza dei suoi parenti fra i poveri della città, perpetuando la fama dei Demidov come benefattori.
Fra i numerosi figli di Pavel Pavlovič c’è Marija Pavlovna Demidova che erediterà la villa di Pratolino e che con il tempo si stabilirà quasi esclusivamente nella nostra città.
Nel fiore degli anni Maija Pavlovna sposerà un altro grande fabbricante, di origine armena, il principe Abamelek Lazarev  che con la morte avvenuta nel 1916 in circostanze oscure gli lascerà la sua grande villa romana che diventerà con il tempo la sede romana della principessa e poi dell’Ambasciata sovietica e oggi di quella russa.
Nell’attività di Maria Pavlovna oltre alla beneficenza diventata ormai tradizionale in questo ramo della casata Demidov, si aggiunge un nuovo tipo di attività: l’aiuto e l’assistenza a molti emigranti politici russi antisovietici caduti in povertà e soprattutto per l’aiuto ai centri ortodossi sparsi per l’Europa: da Parigi a Sofia, da Belgrado a Roma. Molti centri di cultura russa all’estero sono sopravvissuti grazie alle abbondanti donazioni di questa principessa russo fiorentina.
Anche suo nipote il principe Karageorgevič, ex reggente il trono jugoslavo volle donare numerosi libri antichi alle istituzioni culturali fiorentine e vendette nel 1980 la villa di Pratolino alla Provincia di Firenze per un miliardo di lire. Con questo atto la villa e il parco di Pratolino rimasero un bene pubblico di cui può vantarsi Firenze.


                                                


                                Renato Risaliti  














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Intervista al Prof. Renato Risaliti

D. -      Mikailenko: può raccontarmi la sua storia?
R. -      Sì, con grande piacere!
D. -  Chi sono i suoi genitori?
R. - Mio padre, Alfredo, era un lavoratore di origine contadina. Partecipò alla prima guerra mondiale durante la quale fu ferito due volte. Nel 1919, smobilitato, si sposò, si sposò quasi subito con Brunetta Biagioni sua coetanea. Ebbero cinque figli: quattro maschi e una femmina. La femmina e un maschio morirono ancora bambini.
Rimanemmo tre maschi, ma fra me e i due fratelli maggiori c’era notevole differenza di età: 14 e 12 anni, essendo io nato il 20 maggio 1935 ad Agliana; all’epoca una zona prevalentemente agricola che stava facendo i primi passi sulla via della industrializzazione.
D. -  Come è stata la sua giovinezza?
R. - Essendo l’ultimo nato, ero il beniamino della famiglia, che era eminentemente operaia, con due campielli in affitto da cui mio padre ricavava vino, ortaggi e un po’ di grano che divennero l’ancora di salvezza durante la Seconda Guerra Mondiale, cioè quando i miei fratelli erano mobilitati nell’esercito italiano. Mio padre lavorava come muratore a  Prato e mia madre aveva un piccolo negozio di chincaglieria. Il mio compito oltre la scuola era di trovare l’erba per dare da mangiare ai conigli. La nostra provvigione di carne durante la guerra era esclusivamente carne di coniglio. Da allora non l’ho più potuto sopportare perché il coniglio mi ricorda le distruzioni, i bombardamenti, i mitragliamenti sotto i quali spesso sono incappato da parte degli aerei anglo americani.
Con l’8 settembre 1943 l’Italia fu occupata dai nazisti tedeschi. I miei due fratelli riuscirono  a non essere catturati e deportati in Germania, tanto più che Bruno aveva partecipato alla sfortunata difesa di Roma. La famigerata Repubblica Sociale Italiana nella nostra zona fu rifiutata dalla quasi totalità della popolazione. Ma il bando per il richiamo alle armi della RSI fu respinto da quasi tutti i giovani che conoscevo. Dovettero nascondersi anche i miei fratelli perché sarebbero stati fucilati, come avvenne anche nella nostra zona, dalle autorità nazifasciste. Entrarono nelle file delle gloriose brigate “Garibaldi”, nel reparto di pianura “Agliana” dove militavano anche alcuni ex prigionieri di guerra sovietici. Uno di loro, Paolo Ivan Baranovskij, originario di Nal’cik (Kabardino-Balkarija) fu ucciso dai fascisti durante l’assalto alla caserma della polizia fascista di Agliana.
Nel settembre 1944 Agliana fu liberata dagli Alleati dopo quindici giorni che l’avevano già fatto i partigiani locali.
Iniziò la nuova vita democratica che di lì a poco portò alla Costituente, alla Repubblica democratica.. Grazie al fatto che tutti in famiglia lavoravano mi iscrissi alle scuole medie e poi alle scuole medie superiori e mi diplomai ragioniere, malgrado gli ostacoli e le persecuzioni cui fui oggetto per essere passato dall’Azione Cattolica nelle file della gioventù comunista che mi vide presto dirigente a livello provinciale.
D. -  Da dove nasce il suo interesse per la Russia?
R. -  Il mio interesse nasce, in primo luogo, dalla morte eroica del sovietico Ivan (Paolo) Baranovskij e dalle grandi vittorie nella lotta antifascista dell’Armata Rossa, la sua conquista del Reichstog e di Berlino. E anche dalle successive vittorie contro il Giappone e i progressi nella ricostruzione dell’URSS.
Certamente sono nato e cresciuto nell’ammirazione della grande letteratura russa a partire da L. Tolstoj, F. Dostoevskij e M. Gor’kij. Un terzo elemento di simpatia per la Russia nasceva dai racconti dei nostri soldati che erano stati inviati a combattere in Russia che parlavano del grande eroismo dimostrato dai soldati e da tutta la gente russa.
D. -  Lei è stato in Russia. Quante volte e per quanto tempo?
R. -  Sì, sono stato in Russia ininterrottamente dal 1956 al 1961, per quasi sei anni durante i quali frequentai la Facoltà di Storia dell’Università di Mosca, dove poi terminai i miei studi superiori.
Successivamente sono ritornato in URSS (Russia) una o due volte all’anno. Durante questi periodi ho partecipato ai convegni degli storici italo-russi o anche dei filologi. Ho intrattenuto per decenni i rapporti prima di tutto coi colleghi del mio corso, coi miei docenti (ora quasi tutti definiti) e con altre amicizie che via via ho intessuto secondo il mutare dei miei interessi scientifici e culturali.
D. - Come può paragonare la situazione sovietica e contemporanea?
R. - E’ sempre lo stesso paese, lo stesso popolo, ma balzano agli occhi numerose diversità, prima di tutto, nella psicologia sociale generale che è molto, profondamente mutata. Un tempo era impossibile vedere prostitute per le strade, oggi si. Un tempo si vedevano molti milicionery, oggi molti meno, in compenso si vedono dietro le cancellate dei nuovi grattacieli molte guardie armate private. Non c’erano i supermercati, c’era una persistente rarefazione di merci nei negozi, infinitamente meno automobili e un traffico abbastanza modesto, molte meno luci al neon, edifici dall’aspetto trasandato sia all’esterno che all’interno, non esisteva la polarizzazione nei vestiti della gente comune etc., si faceva molta più attenzione all’acquisto dei libri e dei giornali, molte più persone leggevano sui mezzi di trasporto pubblico etc. Qui non voglio entrare in temi assai più grandi come quello  che si riferisce al modo con cui è stata ristabilita la proprietà privata sui mezzi di produzione e sulla proprietà in generale, per non parlare dei limiti politici che sono stati posti all’esercizio pratico di questa proprietà, come anche sul ripristino del libero mercato. Infatti, da quel poco che dall’estero si riesce a sapere ci sono importanti punti interrogativi su questo aspetto a partire dal settore primario cioè la produzione agricola. Spero di essere stato chiaro e comprensibile a tutti.
D. - In Russia Lei ha avuto e conosciuto tanti storici. Che cosa può raccontare? Con chi continua la collaborazione?
R. - Sono arrivato nella Russia sovietica nel febbraio 1956 e sono ripartito il 29 giugno 1961. Ho vissuto in Russia i miei anni più formativi da ogni punto di vista. Seguendo i corsi normali ho avuto e conosciuto da vicino illustri accademici B.A. Rybakov, L.V. Čerepnin, Koval’čenko.
Il seminario di storia russa antica era sotto la direzione di Rybakov che ci guidò anche a gite di istruzione dentro il Kremlino, gite che mi sono servite molto nel corso successivo degli studi, e per i racconti sugli anni di studentato, all’inizio degli anni Venti, ma è soprattutto la profonda conoscenza dei letopisi che mi colpì. Rybakov era capace di correggere gli errori o le omissioni che facevamo mentre leggevamo i testi. Mi colpì molto il suo libro Remeslo na drevnej Rusi.
L’accademico Čerepnin l’ho seguito molto, stavo molto attento alla ricostruzione che lui faceva della formazione dello stato centralizzato russo. Pendevo letteralmente dalle sue labbra, come fosse una sorgente di acqua fresca e pura. Ebbi modo di conoscerlo da vicino in numerose occasioni con il quale mi incontravo al buffet. Quello che mi colpiva era la sua semplicità nei modi di atteggiarsi verso gli studenti.
L’ho rivisto poi in due occasioni a due convegni degli storici italiani e sovietici a Roma e Firenze e a Mosca. Ebbe modo di elogiare un mio libro. Mi regalò il volume sulle concezioni storiche dei classici della letteratura russa  con la sua dedica che conservo ancora.
Il terzo accademico che ha lasciato una traccia ancora più profonda nei miei interessi scientifici è Kovalčenko. Seguii il suo corso speciale sui dibattiti storico sociali nella Russia degli anni Venti e Trenta dell’Ottocento. Con me c’erano anche due studentesse cinesi. La storia di questo periodo cioè la nascita de decabrismo e la sua sconfitta e quella del populismo è sempre stata una costante delle mie ricerche su cui sono riuscito a trovare elementi di connessione diretta fra i carbonari italiani, i patrioti polacchi (Lelewel) e i decabristi russi.
Altri storici che hanno avuto una notevole influenza sono stati: N.E. Zastenker, un vecchio bolscevico studioso delle idee anarchiche. Ogni volta che andavo a Mosca lo vedevo a casa sua. Fu sempre largo di aiuti e consigli. Mi sostenne moralmente quando gli riferii che ad eccezione di Ernesto Ragionieri e pochi altri baroni rossi trovavo difficoltà ad inserirmi nel mondo accademico italiano.
Un altro docente con cui avevo fatto amicizia era V. Samarkin, allievo di Skazkin, studioso dei fenomeni ereticali italiani e della geografia storica. La nostra collaborazione scientifica stava sviluppandosi molto favorevolmente quando ebbe i primi sintomi di insufficienza cardiaca.
Arrivai a Mosca per un incontro degli storici italiani e sovietici. La mattina alle otto gli telefonai come ero solito fare. Mi rispose la moglie. Quando le dissi “Prego mi chiami Vjačeslav”, scoppiò in lacrime e mi disse: “Vjačeslav è morto due ore fa!” Rimasi fulminato. Non seppi proferir parola. Arrivai al luogo del convegno. Nessuno sapeva ancora nulla. Riferii  l’accaduto. Tutti mi guardarono con incredulità, pensarono che fosse la conseguenza di un mio fraintendimento. Purtroppo, era la pura verità. Era la prima grave perdita fra le mie amicizie fra gli storici russi. La scienza storica russa ha perso una grossa speranza.
Grazie a Zastenker feci la conoscenza diretta di due-tre storici: Dalin, Rolova e, mi pare, Ososkova (anche se forse la conobbi ad un convegno di storici).
Durante gli anni studenteschi avevo conosciuto ed apprezzato, anche per averne seguito un seminario, il Prof. Lavrovskij, un medievalista che aveva studiato in Inghilterra negli Anni Venti. Con lui ebbi modo di seguire dettagliatamente il problema dell’espropriazione progressiva dei piccoli contadini dall’agricoltura inglese, un problema che mi interessava alla luce di quanto stava avvenendo in Italia alla fine degli anni Cinquanta. Ricordo che leggevo con passione, tutti i giorni, “Sel’skaja žizn’” che mi dava molti elementi della crisi insanabile in cui versava l’agricoltura sovietica malgrado le riforme di Krušev. A questo proposito durante la mia permanenza nella DDR alla fiera di Lipsia ebbi su questo tema un memorabile scontro con un diplomatico sovietico che negava alla radice la mia analisi. Ma le importazioni successive di grano da USA, Argentina, Australia e Canada mostravano la profondità della crisi sovietica.
Chiesi a Zastenker di farmi conoscere Dalin perché in Italia Armando Saitta mi aveva chiesto di tradurgli la monografia su Babeuf, traduzione che io ho perso perché una copia fu trasmessa a Saitta e l’altra a Nicola Badaloni che non mi restituì mai.
La conoscenza di Dalin mi ha molto aiutato a capire meglio la contraddittorietà della genesi di una delle basi del marxismo, il concetto di lotta di classe ereditato dagli storici della Restaurazione.
A.D. Rolova l’ho conosciuta su sollecitazione di Giorgio Spini perché la Rolova aveva conosciuto Spini ad un congresso mondiale degli storici a Mosca e gli aveva dato le sue pubblicazioni sulla storia di Firenze nel Cinque-Seicento. Giorgio mi aveva chiesto di tradurgliele, cosa che io avevo fatto di buon grado. Fu così che chiesi a Zastenker di segnalarmi come suo traduttore. I rapporti con la Rolova rimasero anche dopo il crollo dell’URSS ed il suo trasferimento ad Acquisgrana in Germania. Anzi, approfittando dell’occasione è venuta in Italia ed è stata mia ospite.
Infine Inna Ososkova mi pare, mi chiese di far conoscere a Giorgio Spini non solo i suoi scritti ma anche quelli del suo maestro, il noto storico sovietico V.I. Pašuto. Quando, però, a Spini feci conoscere  quali erano le tesi storiografiche del prof. Pašuto si rifiutò di intrattenere rapporti con lui ragion per cui i rapporti con l’Ososkova finirono.
All’inizio degli anni Settanta nei miei rapporti con gli storici russi comincia a delinearsi un certo cambiamento perché, in primo luogo, si indeboliscono certi rapporti coi vecchi maestri, ma se ne rafforzano altri. Si interrompono i contatti con gli accademici sopraccitati e coi germanisti come I.S. Galkin e M.I. Orlova perché continuavano a seguire i vecchi orientamenti della storiografia russa. Si ravviva per un momento il mio contatto con F. Misiano e I.V. Grigorieva per i loro studi e interessi sul pensiero di Gramsci, ma fu un momento che non si protrasse a lungo. Terminò il contatto con un allievo di Čerepnin, Vladyslav Nazarov, dopo un promettente avvio per i suoi articoli apparsi sull’Enciclopedia Storica Sovietica, mentre si rafforzavano notevolmente con due ex colleghe della “Lomonosov”: Valerija Koss (poi Tichonova) e Nelli Beringova che era entrata come ricercatrice all’IMEL (Istituto Marx Engels Lenin). Con questa ultima allacciai una intensissima relazione. Fu molto abile e fortunata per tutta una serie di ricerche sulla storia e letteratura russa, persino mi procurò materiali inediti sulla fortuna di Pinocchio in Russia. Grazie a lei e ad un ex studente della facoltà di Economia mi procurai importanti libri sulla storia e la cultura russa.
La morte improvvisa a causa di un blocco renale di Nelli Beringova fu la perdita più dolorosa che abbia subito negli anni della transizione dall’URSS alla nuova Russia: una perdita scientifica, culturale e sentimentale parzialmente riempita dalla nascita di nuove amicizie che nacquero soprattutto durante i convegni degli storici italiani e russi e la Settimana del Datini a Prato.
All’inizio degli anni Settanta si sviluppano nuove amicizie, soprattutto fra i medievalisti e i contemporaneisti.
Negli anni universitari avevo conosciuto Ljubov Aleksandrovna Kotel’nikova, ma non ero mai entrato in dimestichezza con lei. Solo dal 1972 si stabilisce un contatto continuo e costante con questa valente studiosa dell’Italia medievale. Il convegno di Mosca del 1972 fu l’occasione di ristabilire questa conoscenza.. Poi L.A. Kotel’nikova cominciò a venire di frequente in Italia, sia in occasione del Datini sia perché era stata invitata in “komandirovka” a studiare nei nostri archivi. Si stabilì subito un vasto settore di reciproco interesse. Lei sceglieva le filze nell’ASF da microfilmare e dopo la sua partenza io ordinavo o ottenevo i microfilm prima di un mio viaggio a Mosca.
La studiosa russa, una volta giunto a Mosca, mi ripagava più che abbondantemente delle spese che avevo sostenuto per lei, comprando e spesso spedendo a sue spese decine di volumi che lei generosamente mi donava. Questa trafila è durata fino alla morte della studiosa nel 1989. Così con il tempo ho potuto accumulare una biblioteca di oltre ventimila volumi di libri di storia e letteratura russa. Non solo! Mi ha scritto fra lettere, cartoline e biglietti di auguri un corpus di 55 documenti molto interessanti  perché sono una fotografia delle tendenze storiografiche nuove che maturavano nella storiografia russo sovietica e quali erano gli interessi storiografici che l’alimentavano a contatto con la storiografia italiana e gli storici medievalisti italiani. Presto questi scritti saranno pubblicati in italiano sulla rivista “Slavia”. Purtroppo non ho le copie delle lettere che le scrivevo, mentre ho conservato quasi tutte quelle che mandavo a Nelli Beringova.
L.A. Kotel’nikova mi fece conoscere anche un giovane medievalista russo Kaštanov, con cui avevo iniziato una proficua collaborazione, purtroppo interrotta bruscamente da un male repentino e incurabile. Se fosse vissuto forse i miei studi avrebbero seguito altre vie.
Nella seconda metà degli anni Ottanta L.A. Kotel’nikova mi fece conoscere il prof. Koleneko, učenyj secretar dell’Accademia delle Scienze dell’URSS e docente di storia canadese perché lo mettessi in contatto con docenti italiani della stessa disciplina, cosa che io mi affrettai ad assolvere. Non so, però, con quanto successo.
L.A. Kotel’nikova verso la metà degli anni Settanta mi presentò a I. Šarkova, studiosa dei rapporti italo russi, con cui intrattenni proficui rapporti di collaborazione fino al crollo dell’URSS. Poi sparì dal mio sguardo.
Lo storico Nevler si presentò da solo. La collaborazione durò un po’ di tempo, poi finì per alcuni malintesi.
La collaborazione con L.A. Kotel’nikova fu proficua anche sotto altri punti di vista perché Lei scrisse un articolo su “Problemy ital’janskaj istorii” su Renato Risaliti, storico dei rapporti italo russi che mi fece conoscere ad un vasto pubblico russo.
E.V. Gutnova, una docente dell’MGU, di cui avevo seguito il corso sulla formazione del parlamentarismo inglese. Dopo la fine dei miei studi universitari a Mosca le persi di vista per alcuni anni. Questi rapporti ripresero quando lei venne alla Settimana del Datini a Prato. In quel periodo, nella seconda metà degli anni Settanta, ero sindaco del mio paese natale, Agliana che confina con Prato e Pistoia. In questa occasione mi presentai a lei, malgrado fossero trascorsi diversi ani, si stabilì la vecchia sintonia anche perché io ero diventato professore incaricato di Letteratura russa all’Università di Pisa e di Storia dell’Europa Orientale all’Università di Firenze. Fu così, come E.V. Gutnova riferisce nel suo libro di memorie Perežitoe, che trascorremmo un’intera giornata tra Agliana e Pistoia.
Ma la studiosa che si era salvata dalle repressioni staliniane grazie alla protezione dell’accademico Kosminskij era figlia del primo oppositore di Lenin, Cederbaum e nipote degli altri due fratelli, Martov, capo del menscevismo e di Ežov, il tremendo ministro di polizia durante gli anni delle grandi repressioni del 1937-38. E.V. Gutnova solo alla fine degli anni Ottanta mi rivelò di essere la nipote di Martov, ma non mi disse mai di essere anche la nipote di Ežov. Non gliene faccio una colpa. E come potrei? I consanguinei non si scelgono, sono dati dalla natura. Rimane, comunque, un caso emblematico: nella tragedia della sua famiglia si riflette la tragedia di tutto un popolo.
Nello stesso periodo – anni Settanta/Ottanta del XX secolo nacque, si sviluppò ed andò consolidandosi l’amicizia e la collaborazione scientifico culturale con due storici di storia contemporanea: G. Filatov e N.P. Komolova.
Prima conobbi Filatov che ebbi modo di difendere sul “Corriere della Sera” perché le autorità italiane non gli volevano rilasciare il visto d’entrata in Italia. Alla fine furono costrette a rilasciarglielo. Fu una vittoria che considerai come una mia grande vittoria personale. Fu durante un incontro di storici che mi presentò la sua cara collega ed amica Nelli Pavlovna Komolova. Fu un incontro felice, anzi doppiamente felice perché i due storici erano legati da profondo affetto. L’idillio, purtroppo, non durò a lungo perché Georgij di lì a poco fu colpito da un male incurabile nel fiore dei suoi anni creativi, che lo spense in poco tempo.. Tuttavia, alcuni saggi suoi furono pubblicati in Italia da grosse case editrici ed ebbero larga diffusione.
Nelli Pavlovna si dovette far carico anche di difendere e diffondere la memoria storica dell’amico immaturamente scomparso. Io feci la mia parte recensendo alcuni loro libri compreso quello su Palmiro Togliatti. Qualche tempo dopo Nelli Pavlovna stampò le lettere che G.S. Filatov aveva mandato ai suoi familiari quando ebbe la ventura di essere inviato in Italia nel 1944-46 in cui ebbe modo di descrivere in maniera succinta le tremende condizioni in cui si trovava l’Italia nell’immediato secondo dopoguerra. Io mi affrettai a tradurre quel prezioso epistolario su “Rassegna sovietica” poi ripubblicato nel mio libro conclusivo, Russi in Italia, sui rapporti italo russi.
La conoscenza, con Nelli Pavlovna, ha avuto una grande importanza per accedere agli archivi russi dopo il crollo dell’URSS, fatto che mi ha permesso di approfondire la conoscenza dei rapporti italo russi nell’epoca zarista e sovietica e di trarne determinate conclusioni in numerosi miei scritti su questo tema o sul tema di storia della Russia su cui sono apparsi ben due libri composti con una serie di saggi in cui approfondisco temi specifici, e, secondo la mia opinione, decisivi della storia russa: dalla formazione dello stato centralizzato alla conquista della Siberia, il rapporto fra colonizzazione interna e decabrismo e fra questo e i movimenti carbonari in Italia e Polonia, dal problema delle guerre espansionistiche condotte dallo zarismo per la conquista del Caucaso e dell’Asia centrale e dell’Estremo Oriente, temi che sono poi connessi con la moderna formazione della nazione russa e dello stato russo. Fra questi elementi interni ho dato particolare rilevanza al džadidismo in Tataria e nelle altre isoglosse etniche del Volga e della Siberia, problemi ben presenti anche nella impalcatura istituzionale della nuova Russia attuale.
L’amicizia con Nelli Komalova  mi permise diversi periodi di permanenza in Russia subito dopo il crollo dell’URSS e di essere presente a Mosca quando El’cyn intervenne militarmente contro il Soviet Supremo nel 1993 e di trarne le opportune conseguenze storico sociali, così come notai la nuova ascesa del sentimento etnico - religioso fra una parte notevole della popolazione russa e non russa , osservando le inevitabili conseguenze anche con permanenze dirette e prolungate a Kiev e in Ucraina. Da questo punto di vista guardando la realtà russa e ucraina con occhi bifocali mi ha permesso di capire meglio i motivi del crollo dell’URSS. Non solo! A Kiev, nelle sue biblioteche, grazie ai buoni uffici dello storico ucraino M.M. Varvartsev, ho spesso trovato materiale prezioso per approfondire i rapporti italo russi come ad esempio la raccolta quasi completa degli scritti di un populista come L.I. Mečnikov, ufficiale garibaldino nella spedizione dei Mille, testimone prezioso di tanti fatti storico sociali del primo periodo unitario e fratello maggiore del Premio0 Nobel per la medicina anno 1908.
I fratelli Mečnikov erano stati assai sottovalutati dalla storiografia sovietica e anche dal nostro Franco Venturi e invece Lev Mečnikov ha avuto una importanza straordinaria nella formazione delle idee populiste in gran parte tradotte creativamente dai suoi scritti sul Risorgimento italiano. Nessuno scrittore russo, persino Dobroljubov e/o Bakunin, ha contribuito quanto Lev Mečnikov alla conoscenza di Garibaldi e il garibaldinismo  e in generale della sinistra italiana in Russia.
La collaborazione con Nelli Pavlovnma Komolova è durata fino alla sua morte nell’agosto 2010. Ricordo di averci parlato il giorno prima che morisse. A Lei debbo la pubblicazione, oltre che la traduzione, di diversi saggi sui rapporti italo russi nel periodico “Problemy ital’janskoj istorii” e un saggio su di me in “Problemy istorii russkogo zarubež’ja”, 1, Nauka, 2005.
Tuttavia, Nelli Komolova, durante i miei soggiorni a Mosca nel suo appartamento, aveva organizzato pranzi e cene a cui avevano partecipato i coniugi Bačarov, ambedue specialisti dell’Italia risorgimentale e contemporanea e Lidya M. Bragina, specialista del Rinascimento italiano, autrice di molti saggi sugli umanisti italiani e un’altra specialista di storia dell’Italia, la signora Naumova che poi ospitai a casa mia per un certo periodo di tempo in cui frequentava gli archivi e le biblioteche di Firenze.
Va inoltre aggiunto che fra i miei compagni di Università ho intrattenuto rapporti, per tutta la durata della sua vita, con Stroganov, specialista di storia dell’America Latina. Per me fu una fonte preziosa per conoscere le novità sugli studi storiografici russi sul nuovo mondo e in particolare sull’America Latina. La sua morte fu un altro tremendo colpo al mondo della mia giovinezza, al mondo che mi aveva formato, il grande mondo russo.
Nelli Pavlovna mi mise in contatto con altri storici come A.L. Jastrebickaja, S.P. Karpov, V.P. Ljubin, E.S. Tokareva, coi quali intrattengo ancora rapporti collaborativi. V.P. Ljubin a sua volta mi mise in contatto con L.K. Škarenkov e altri di cui non ricordo il nome.
Un secondo aspetto delle mie ricerche riguarda i rapporti italo russi. In questo settore ho pubblicato non pochi libri colmando aspetti non ancora indagati da slavisti come Ettore Lo Gatto, Vittorio Strada, Eridano Bazzarelli e Piero Cazzola tanto per citare i maggiori.
In questo settore penso di aver molto contribuito a mettere in luce la vicenda dei viaggiatori russi in Toscana dal Cinquecento al Novecento, mettendo a fuoco la presenza dei Demidov, dei Drutskoj, di Lev Mečnikov o di toscani in Russia come Luigi Serristori, Luigi Cappelli, Niccola Monti, Sebastiano Ciampi, Ercole Gigli o Dino Campana. Presto uscirà per i tipi di “Aleteja” Russkaja Toskana dove molte cose, ma non tutte verranno esposte con note appropriate. Rimando pertanto a questa mia pubblicazione per i lettori russi.
D. - Lei conosce la storia russa molto bene. E ha compiuto tante ricerche sulla Russia e le relazioni italo russe. Qual è il suo contributo più significativo nelle ricerche, come lo può valutare?
R. -  Sono costretto a scindere la domanda in due parti. La prima riguarda la mia Storia della Russia dalle origini all’Ottocento (Ed. Mondadori) recensita ampiamente da Schlafly sulla maggiore rivista slavistica americana (“Kritika” 1908, vol. 9) e La Russia: dalle guerre coloniali alla disgregazione dell’URSS.
In questi due volumi non seguo lo schema tradizionale, ma ho organizzato il materiale secondo gli argomenti che mi sono parsi più significativi (escludo la Russia di Kiev, e per ogni argomento espongo le tesi storiche principali apparse in Russia e all’estero, poi espongo gli avvenimenti e alla fine fornisco il mio giudizio). I temi principali che prendo in esame li ho già esposti e non li ripeto.
Secondo me, il problema centrale della storia russa, sulla scia di Solov’ev, è la colonizzazione interna che va di pari passo con l’acquisizione di nuovi territori, ma il salto di qualità nella storia russa è la conquista della Siberia che sta, come osservò acutamente Braudel, alla storia russa come la conquista dell’America sta alla storia europea. Con una enorme differenza: fra i territori dell’America e dell’Europa non c’è contiguità territoriale, ma fra la Russia medievale e la Siberia esiste questa contiguità e quindi non si forma una nuova nazione, ma la nazione russa nata come quella turca nel XIII secolo si amplia con il tempo fino a diventare come l’impero turco uno stato tricontinentale (Europa, Asia, America) per poi rifluire in uno stato bicontinentale (Europa, Asia). L’espansione russa verso Est prosegue ininterrotta dal Seicento all’Ottocento, alla ricerca del paese felice che non esisteva, per poi confluire nel messianesimo comunista.
Il suo fallimento pone fine al sogno russo e getta le basi per un nuovo rapporto con gli stati vicini e tutto il mondo e fa da pendant alla conquista americana della nuova frontiera che termina con il fallimento del sogno americano di essere arbitro dei destini del mondo. Fra i due fallimenti e le prospettive nuove che si aprono c’è una sintonia sconcertante. Mi riconfermo quindi fautore degli studi sui grandi spazi e sui lunghi periodi storici.
Rimane valida l’intuizione di Gogol che la Russia è come una trojka lanciata nella steppa che corre a tutta velocità verso un ignoto destino. Già, così come lo è per tutti i popoli e tutti i singoli uomini.
D. -  Quali temi è possibile approfondire?
R. - I temi che è possibile approfondire sono infiniti, quantoi temi stessi, anzi,  va detto che l’esperienza storica introduce sempre non solo nuovi argomenti, ma fa sorgere l’esigenza di andare alla ricerca di nuovi temi.
Mi pare che la Russia deve porsi di approfondire tre temi in particolare:
1) il perché della grave crisi demografica attuale e come superarla;
2) il perché nel ritardo di elaborazione di un sistema democratico e le vie per superarlo;
3) la collaborazione interna ed esterna con i popoli non russi.
D. - Lei ha avuto una importante esperienza politica: può raccontare gli avvenimenti più significativi di questa esperienza?
R. - Al mio ritorno dal mio decennio di permanenza all’estero e in altre parti d’Italia (quasi sei anni a Mosca, tre mesi in Cina, due anni nella DDR e due anni di studi all’Orientale di Napoli) per complessivi anni dieci (1956-1965), trovai i miei luoghi natali completamente trasformati dal cosiddetto “miracolo economico” e con l’economia trovai anche la mentalità ed il costume sociale completamente diversi.
Mi misi subito ad insegnare, non feci il funzionario di partito, ma mi immedesimai completamente nell’attività politica del PCI che aveva un regime interno molto diverso dal PCUS.
Tuttavia, anche con quelle diversità, la camicia comunista mi stava stretta perché nei compagni del PCI c’era ancora una fiducia cieca nell’URSS.
Ricordo con un misto di sentimento tragicomico lo scandalo che suscitai quando nella mia prima conferenza pubblica quando rivelai, nel 1961, che i colcosiani (i contadini) russi non avevano la pensione. Suscitai un vero scandalo perché le pensioni, nel PCI del momento, erano la rivendicazione base del partito verso i contadini.
La segreteria di Pistoia si riunì d’urgenza e decise che da quel momento il compagno Risaliti non poteva più parlare in pubblico a nome del PCI!
Successivamente riuscii, nel 1970, a diventare assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Agliana  e responsabile della Commissione Culturale della Federazione del PCI con riunioni cui partecipavano i compagni come M. D’Alema. Presiedeva le riunioni Giorgio Napoletano. Nel 1975 diventai sindaco di Agliana e lo rimasi per cinque anni. Nel 1980 fui eletto consigliere provinciale di Pistoia e poi assessore. La mia carriera politica finì lì perché Enrico Berlinguer fece la scelta del salto generazionale ed escluse dagli avanzamenti i quarantenni di allora. Furono portati avanti i ventenni e quasi sempre studenti. Le persone di origine operaia con Berlinguer furono sistematicamente estromesse dai posti di direzione.
Non mi rimase che seguire la carriera accademica e considerare chiusa la fase politica. Questo mi dette ulteriori elementi per approfondire le mie concezioni e indagini storiche. Col tempo maturò in me una nuova concezione marxista aggiornata secondo le mie esperienze politiche. Avvenne una rottura epistemologica in seguito ai continui viaggi all’estero. Maturai la convinzione che non si può del tutto escludere l’importanza del fattore climatico e geografico come avevano fatto Marx e Engels in opposizione agli illuministi.
D. -  Con quali storici intrattiene rapporti?
R. -  Sostanzialmente con storici dei tre maggiori centri urbani della Russia: a Mosca con Analtolij Krasikov dell’Accademia delle Scienze, con Sergej Filatov, storico delle religioni, a Pietroburgo con Michail Talalaj, un ex allievo di Nelli Komalova e a Ekaterinburg con Ekaterina Arslanova e per ultimo, ma un astro dell’italianistica russa, il prof. Michajlenko, preside della facoltà di Relazioni internazionali dell’Università di Ekaterinburg.
D. -  Quali sono i suoi programmi per il futuro?
R. -  Quali programmi si possono avere a 76 anni con la salute malferma?  Ritengo che ormai non possa farne che a breve termine cercando di colmare le non poche lacune temporali che ci sono nelle mie numerose ricerche soprattutto nei rapporti italo russi.

                                                                                   R. Risaliti

                                                                                    

giovedì 21 marzo 2013

Giuliano Giovannelli. Un…. pistoiese a Parigi ..1992. Poesia

La "mia" Parigi... *


Un…. pistoiese a Parigi ..1992



Dal metro’
Il metrò sferraglia nella banlieue
affonda e risale
con il carico dei visi
ai finestrini.
Lo sguardo vitreo del parigino
scansa le immagini
dei cenciosi multicolori.
La Babele di fuori
ansima di suoni indistinti.
Eppure tutto è ben ripartito
selezionato..
La Senna di sera
è illuminata dai bateaux
Di giorno è la meccanica dei fluidi.
Quante particelle elementari
sono esplose nel suo ventre!
Sulle facciate
madide di gas carbonati
lunghi displays di pietra
con i nomi di Atene perpetua:
Gay Lussac e Ruffini
giocano a scala quaranta
Cartesio osserva.
Tartaglia… tartaglia.
Non importa che alla Gare de Lyon
un povero nero
ricoperto di cartone
vi abbia dimora
o sia calpestato..
Solo Madre Teresa di Calcutta
aleggia sulla folla multicolore.
In cambio di un posto lassù
promette una tribù di capanne
con il contributo di Dash…


              

                                Giuliano Giovannelli










*

L'amico e socio Giuliano Giovanelli, pistoiese, è un noto architetto
e docente, ha  al suo attivo numerose pubblicazioni in merito, come altri lavori su aspetti storici, politici e sociali, delle quali in seguito daremo conto. Interviene qui con questa sua suggestiva poesia sulla "sua" bella, amata, ma anche "difficile" Parigi.

                                                                              L'Amministratore Blog
                                                                                        COG









martedì 19 marzo 2013

Renato Risaliti: rassegna sulle fonti per lo studio della Resistenza a Pistoia, all'anno 2012


Pistoia: rassegna delle fonti sulla Resistenza (20.1.2012)

Il tema delle fonti della storia locale pistoiese del periodo della II G.M. e della Resistenza non può essere visto in maniera puramente locale, ma il livello locale si interseca come non mai in precedenza con le fonti che si possono rinvenire a livello regionale, nazionale e internazionale.Guai a noi se ci limitassimo a vedere il problema come spesso è stato fatto finora al solo livello locale. Si opererebbe un impoverimento e un restringimento grave e distorto delle fonti.Innanzitutto, va tenuto presente che in Italia nel periodo fascista è esistita una diarchia rappresentata dal Re, capo dello stato e dal Duce del fascismo e siccome il fascismo era così strettamente amalgamato con l’apparato dello stato è spesso assai difficile discernere il grano dall’oglio.La diarchia si ramifica a tutti i livelli: provinciale e comunale. Nelle province esisteva un contrasto sempre latente fra il federale di nomina del Duce e il Prefetto di nomina reale o nei comuni fra Podestà di nomina reale e segretario del fascio nominato dal Federale.Questo generava una continua diatriba sotterranea.Inoltre, a tutti i livelli esistevano le autorità della Chiesa Cattolica che avevano le Diocesi che a loro volta si suddividevano in parrocchie.Ognuno di questi poteri aveva quindi la sua gerarchia e i suoi archivi.Il fascismo italiano non fu mai monolitico come il nazismo.Quando il 25 luglio 1943, il fascismo fortemente indebolito dalle sconfitte militari, cade con un colpo di stato del Re, che approfitta di un ordine del giorno di sfiducia del Gran Consiglio del Fascismo, il popolo scende in piazza, occupa le sedi fasciste,  e comincia a bruciare i documenti delle sedi fasciste. ne fui testimone. Molti gerarchi presi dal panico e nella fretta di cancellare la loro partecipazione a tanti eventi, bruciano documenti…
Il 25 luglio 1943 è la notte dei falò. Ero bambino e ricordo i falò che nella notte del 25 luglio 1943 si accesero ovunque e illuminarono le piazze e le vie di ogni città e paese, di ogni agglomerato urbano e di tutte le montagne. Ricordo incancellabile! Ve lo assicuro.Ho visto i falò che sembrava volessero incendiare tutti e tutto. Sono cose che non si dimenticano, non si possono dimenticare anche se avevo poco più di otto anni.I simboli del regime, cioè i fasci littori che i fascisti avevano affisso ovunque furono distrutti la notte stessa e nei giorni successivi. Diversi simboli è possibile vederli ancora qua e là sui tombini dell’acquedotto comunale di Pistoia. I fasci littori erano incisi su lastre di ferro! Volevano essere documenti imperituri dell’era fascista!Per il momento non furono toccati gli archivi degli organi statali, ma nei mesi successivi verrà la loro volta..Intanto giova volgere lo sguardo al fatto che le famose otto milioni di baionette (e fra queste molti pistoiesi) furono disperse prima dalle superiori autorità in Africa Orientale e settentrionale (Libia, Tunisia, Egitto), in tutta l’Europa (Francia, Jugoslavia, Grecia, Russia).Molti italiani erano andati a lavorare in Germania stimolati dal bisogno. In seguito alle vicende belliche molti stranieri furono condotti anche a Pistoia come prigionieri.Dove sono gli elenchi dei pistoiesi che hanno combattuto sui diversi fronti? E’ un’impresa che non è stata mai neanche tentata. Non si sa quasi nulla delle loro esperienze e che i ricordi hanno portato con sé: da coloro che furono mandati in India dagli inglesi o in Inghilterra o negli USA dagli americani.Ancor prima dell’armistizio dell’8 settembre 1943 inizia una nuova fase per diversi motivi: molti archivi vengono distrutti nel corso dei bombardamenti alleati, e dopo l’otto settembre trafugati dai repubblichini che lo trasferiscono al nord…Ci sono intere branche dell’apparato dello stato fascista che cessano del tutto di funzionare ma in modo graduale man mano che gli alleati avanzano dal Sud. Pensate al ministero delle corporazioni e tutto ciò che aveva a che fare con la bordatura burocratica e accentrata dello stato fascista. Che fine hanno fatto le incalcolabili tonnellate di documenti? Non si sa.Che fine hanno fatto migliaia di tonnellate di documenti non solo a Pistoia, ma a Roma? Ve lo siete mai chiesto?Ricordo che mio fratello Bruno, ora defunto che prese parte alla difesa di Roma raccontava di aver visto le strade di Roma piene di documenti trafugati e dispersi dai ministeri. L’otto settembre significò il crollo dello stato monarchico accentrato, ma anche la perdita di archivi immensi per ricostruire la storia d’Italia dei decenni precedenti. Pensate al Maschio Angioino di Napoli in fiamme! Con la costituzione della RSI Roma rimane la capitale formale ma i ministri della repubblica mussoliniana sono trasferiti al Nord. Quanti e quali documenti siano stati trasferiti non è noto, ma è noto che nei mesi successivi quando il fronte si stabilizzò sugli Appennini molti documenti fuono trasferiti in Germania (2) e poi in gran parte catturati dall’esercito sovietico durante l’avanzata fino a Berlino.L’unico luogo dove si conservò la continuità dello stato monarchico furono solo alcune province della Puglia (Brindisi, Bari, Taranto, etc).Nel resto d’Italia la continuità dello Stato si perse perché in Sicilia e Calabria ci fu l’occupazioni militare alleata precedente alla dissoluzione dello stato monarchico dell’otto settembre 1943.Nel resto d’Italia ci fu il regime della repubblica sociale di Mussolini, escluse le province nord orientali che vennero amministrate dalle autorità militari tedesche senza la parvenza della sovranità della RSI (3).Nei territori amministrati dalla RSI si nota una diversità di situazioni che in larga misura influiscono anche sulla sorte degli archivi pubblici. All’inizio ottobre novembre 1943 si crea un nuovo potere formale, quello della RSI, ma sotto la vigile sorveglianza delle autorità tedesche di occupazione.Durante l’occupazione tedesca con la fuga progressiva dei funzionari fascisti verso il Nord, molti archivi a partire dai picchetti dei carabinieri abbandonati dai militari, furono bruciati. Perché e da chi?Spesso furono gli elementi della malavita che fecero queste prodezze perché cercavano di cancellare le tracce delle inchieste su di loro, le condanne subite, etc. Naturalmente perirono insieme anche tanti dati politici locali su singoli “sovversivi” al regime fascista ma più ancora le rassegne sullo stato dello spirito pubblico locale.Questi mestatori per nostra fortuna (cioè degli storici) non sapevano che i documenti erano fatti in diverse copie e quindi è possibile ricostruire la storia locale attraverso gli archivi romani dei vari corpi dello Stato.E’ quello che ho fatto nel mio volume Antifascismo e Resistenza nel pistoiese (Pistoia, Tellini, 1976).La liberazione dal nazifascismo e l’arrivo dei vittoriosi eserciti alleati segnava una svolta effettiva nella storia d’Italia, compresa Pistoia.Al momento della liberazione di Pistoia il CNL provinciale ordinò e la fece fare, la distribuzione dei vari fascicoli personali agli antifascisti. Alcuni di questi fascicoli dopo averli studiati li consegnai all’Istituto Storico della Resistenza di Firenze (Dino Niccolai e altri) (4).La distribuzione di questi documenti ha avuto un carattere ambiguo perché non tutti furono eroi intemerati, ma vennero a patti con il regime fascista in varie maniere. Distribuendo i fascicoli nascondevano certe debolezze per vari motivi nei lunghi anni delle persecuzioni.Molti documenti della RSI furono trafugati al nord e poi in parte smarriti o nascosti, spesso per fini inconfessabili, ricatti compresi. Basti pensare alla partecipazione di tanti pistoiesi alle azioni delle SS italiane (5).La Resistenza generò la nascita di archivi nati nel corso della lotta. Va detto però che moltissimi documenti che sono stati stampati non sono coevi agli avvenimenti, ma frutto della memorialistica successiva ai fatti.Molto importanti sono stati i documenti trovati negli archivi americani e inglesi e anche quelli negli archivi tedeschi sulla dislocazione delle truppe della Wehrmacht e dei suoi rapporti con le autorità della RSI (6).Gli archivi russi sono importanti solo per l’immediato secondo dopo guerra 1944-1947 (7) essendo i loro rappresentanti membri della Commissione Tripartita di Controllo. Per quanto riguarda i verbali del CNL che io ho proposto ripetutamente di stampare, nessuno lo ha fatto.
Personalmente ne feci una copia a mano che conservo.
Purtroppo i verbali del CNL prima della Liberazione non esistono, sono rimasti solo sprazzi di memoria di Gerardo Bianchi e Italo Carobbi (8).Anche i verbali delle varie formazioni partigiane sono stati pubblicati solo in parte da me. Ma i dirigenti dell’Archivio di Stato hanno diviso le carte della Val d’Ombrone, da quelle della Valdinievole, con il risultato che ora è molto più difficile seguire l’evoluzione della lotta partigiana in tutta la provincia di Pistoia nel complesso.Un’altra fonte storica è quella relativa all’aiuto che le nostre popolazioni dettero agli ex partigiani di guerra alleati. Furono rifocillati, rivestiti, nascosti e poi attraverso le formazioni partigiane furono accompagnati per vie tortuose attraverso le linee del fronte e salvati.Anche in questo campo salvai tutta la documentazione e ne scrissi un saggio (9).Esiste anche un altro tipo di documentazione che per ora è stata poco, per non dire mai, usata. Si tratta dei diari che i nostri soldati hanno tenuto durante la guerra o la Resistenza. Per quello che mi riguarda ho pubblicato quello di Esterasi di Monsummano (non ne ho potuto pubblicare un altro per l’opposizione dei congiunti ai miei giudizi dei fatti narrati. Anche questa documentazione assieme alle lettere e cartoline scritte dal fronte possono essere importanti documenti storici (10).Queste sono le fonti archivistiche che si conoscono almeno in parte.Si deve tener presente che è incalcolabile la qualità e la quantità dei documenti distrutti nelle varie fasi della guerra e della lotta antifascista.Molti documenti non sono stati distrutti, ma più spesso dispersi in mille rivoli privati, familiari o personali. Per recuperarli ci vorrebbe una politica capillare, metodica e sistematica che nessun ente fa davvero. Di solito sono i privati che li consegnano agli Istituti provinciali della Resistenza o agli Archivi di Stato. Comunque, poi questi documenti non vengono raccolti e/o raggruppati secondo i temi.Questo finisce per impedire ogni ulteriore ricerca seria sulla Resistenza basata sui documenti.Spero che nessuno se ne abbia a male, non indico nessun colpevole, voglio solo sollevare un problema ormai maturo e che richiede più attenzione.Ma questa è solo una parte, forse la più piccola del problema. Ne esiste un’altro collegato, e che a mio giudizio non è stato neanche sottoposto agli organi competenti.Mi riferisco ai numerosi archivi diocesani, parrocchiali, conventuali e delle varie organizzazioni cattoliche a partire dall’Azione cattolica, che tengono ben stretti e nascosti i loro archivi sul periodo della II Guerra Mondiale e il secondo dopoguerra.Nel passato mi è capitato di sottolineare come a livello pistoiese sono comparsi dei fascicoli che non si sa bene quando e come fossero capitati nel convento di S. Domenico (un centro attivo della Resistenza cattolica pistoiese) delle cartelle della Questura da cui risultavano tutta una serie di antifascisti che poi sono stati dimenticati (11).Potrei anche ricordare la vicenda di Don Mazzei e della storia della parrocchia di Lucciano da cui è sparito il fascicolo relativo alle vicende della II Guerra Mondiale (12).Qualche anno dopo a Firenze ho fatto una esperienza sconcertante quando l’archivista del convengo di S. Marco mi fece vedere e toccare l’archivio personale di P. Lupi di Piccioli e poi mi negò la possibilità di consultare i documento con lo specioso pretesto che i confratelli quei documenti non li avevano ancora esaminati!..Gli archivi parrocchiali a Pistoia almeno sono stati riuniti a cataste separate nei locali del Seminario senza neanche fare un inventario. Nessuno sa cosa contengono. A chi giova tutto questo? Penso a nessuno e meno che mai allo sviluppo della storiografia locale e nazionale.Col tempo sono convinto che per quanto riguarda la storia della Resistenza italiana, se questi documenti fossero riordinati e messi a disposizione degli storici, i dati nuovi potrebbero chiarire tanti nodi irrisolti e ampliare enormemente la conoscenza del nostro passato lontano e recente.

     


                     

                           Renato Risaliti


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Note

1) Questo contributo vuole essere una revisione complessiva al n. 25 di “Farestoria”, a. 1995, n. 2.
2)Cfr. F.W. DEAKIN, Storia della Repubblica di Salò Torino, Einaudi, 1962, pp. 1087-1105.
3) Cfr. Occupazione tedesca in Italia in A. BOLDRINI, Enciclopedia della Resistenza, Milano 1980, p. 255.
4) Cfr. Archivio della Resistenza in Toscana, Firenze, fascicolo ad nomen.
5)LAZZERO, Le SS italiane. La Resistenza generò la nascita di archivi nati nel corso della lotta. Va detto però che moltissimi documenti che sono stati stampati non sono coevi agli avvenimenti, ma frutto della memorialistica successiva ai fatti Molto importanti sono stati i documenti trovati negli archivi americani e inglesi e anche quelli negli archivi tedeschi sulla dislocazione delle truppe della Wehrmacht e dei suoi rapporti con le autorità della RSI (6).
6)  Cfr. G. PETRACCHI, “Intelligence” americana e partigiani sulla linea gotica Foggia, Bastoni, 1991.
7) R. RISALITI, Zibaldone moscovita, Torino, CIRVI, 2012.
8)Cfr. G. BIANCHI, in “Fare storia”, n. 26, p. 4, ma da vedere anche di G. BIANCHI, “Fare storia” n. 16.
9) Cfr. R. RISALITI, Patriottismo internazionalistico dei Resistenti pistoiesi, Pistoia, Amministrazione comunale, 1974.
10)  Cfr. R. RISALITI, Altre questioni geopolitiche e geostrategiche vecchie e nuove, Firenze, Toscana Nuova, 2012.
11)S.I. CAMPOREALE, “Antifascismo e Resistenza” di Renato Risaliti. Continuità e discontinuità in “Vita Sociale” 1976, p. 265-270.
12) Cfr. R. RISALITI, Don Giuliano Mazzei. La vita e le opere, Prato, Omnia minima ed. 2000.


                       
                                                


















Filomena PaveseEmanuel CarforaAnna Capecchi Patrizia Biagini Carlo Bennati Ettore Nesi piace questo elemento.
Maria Lorello ha condiviso la tua foto.
Anna Capecchi ha condiviso la foto di Carlo Onofrio Gori:"Contributi da un famoso storico pistoiese alla resistenza."