I
Demidov a Firenze *
La
presenza dei Demidov a Firenze è una delle pagine più affascinanti di un
rapporto d’amore che si è protratto per diverse generazioni: quattro o cinque,
a seconda che il principe Karageorgevič possa essere considerato un mezzo
Demidov con cui il ciclo si è concluso definitivamente.
La
serie inizia con Nikolaj (Niccolò) che si stabilisce a Firenze verso la metà
degli anni Venti dell’Ottocento dopo che aveva tentato di stabilirsi prima a
Roma e poi a Lucca. Questi tentativi furono frustrati dal Papa per motivi confessionali essendo di Demidov i
rappresentanti di una aborrita potenza globale, sì, ma eretica come era
considerata dai cattolici fondamentalisti dell’epoca della Restaurazione.
Il
Borbone di Lucca non poteva minimamente competere in ricchezza con i grandi
industriali metallurgici della Siberia e quindi dissero un secco no al
tentativo di Niccolò (Nikolaj) Demidov di stabilirsi a Lucca o nei suoi
dintorni.
Rimaneva
la carta di Firenze e Niccolò seppe giocarla bene. Riuscì a stabilirsi a
Firenze costruendo una villa nei dintorni (allora) della città nei pressi di
Ponte alle Mosse, a San Donato in Polverosa. Subito Niccolò si distinse perché
promosse della beneficenza in grande stile che avveniva nei dintorni di Palazzo
Serristori che era dislocato sul Lungarno. La mattina si vedevano lunghe file
di poveri che chiedevano l’elemosina che veniva dispensata a piene mani. Questo
finì per creare il mito dei Demidov, dei ricconi russi presso cui era sempre
possibile trovare un pezzo di pane per tutti i bisogni.
Sotto
uno dei figli di Niccolò, Anatolio che era nato a Firenze nel 1812 e per questo
deve essere considerato a tutti gli effetti il primo russo fiorentino della
storia e non solo della casata, si crearono nuove opportunità di lavoro. Negli
anni Trenta Anatolio aprì delle industrie tessili che svilupparono i primi
processi di industrializzazione nel fiorentino. Questo tentativo non ebbe
successo perché finì per essere abbandonato, tuttavia ad Anatolio va attribuito
anche il tentativo assieme a Poniatowski di aprire una linea ferroviaria verso
la Romagna. Ma le benemerenze di Anatolio si estendono alla Toscana tutta
perché quando si sposò con Matilde, una nipote di Napoleone Bonaparte, fece
aprire un grande museo nell’Isola d’Elba per ricordare il grande imperatore e
zio della moglie. Questo matrimonio finì male perché Anatolio quando si
ubriacava arrivava a picchiare la moglie. Nel 1839 in occasione della visita al
Papa dell’Imperatore delle Russie Nicola I, dopo essersi accordato con il Papa,
in un ricevimento a Firenze disse ad Anatolio sbalordito: “In merito alla
vostra richiesta di divorzio con Matilde Bonaparte ho deciso di accoglierla!”.
Anatolio
dovette accettare l’imposizione del suo sovrano senza poter profferire parola.
Ma
le benemerenze di Anatolio verso Firenze e la Toscana vengono vanificate per il
suo atteggiamento verso il moto di
unificazione nazionale dell’Italia che lo portano a sostenere la causa dei
Lorena nel fatidico 1848-49 anche perché il Granduca lorenese lo aveva gratificato
del titolo di Principe di S. Donato, titolo che non sarà mai riconosciuto
ufficialmente nella Russia dei Romanov (se non al nipote Pavel Pavlovič).
Questo passo fatale lo porterà ad emigrare a Parigi dopo il 1861, dove morirà
dieci anni dopo.
Negli
anni Settanta a Firenze giungerà suo nipote Pavel Pavlovič, figlio di un
fratello e di una nobildonna finlandese che si era risposata con il figlio del
grande storico russo Karamzin, morto durante la guerra di Crimea.
Pavel
Pavlovič, però, abbandonerà la villa di S. Donato e comprerà la tenuta di
Pratolino che era stata dei Medici. Naturalmente la sottoporrà ad una profonda
ristrutturazione. La villa di S. Donato non gli andava bene perché lo sviluppo
urbano aveva tolto a quella che era stata la “seconda reggia” di Firenze, dopo
quella dei Lorena, il senso della lontananza dalla città e della unicità della vita campagnola in auge
nella aristocrazia.
La
presenza di Pavel Pavlovič a Firenze va associata a diversi fatti positivi: il
primo fra tutti è che costui fece una donazione senza precedenti: il
rivestimento di marmo al Duomo nel momento in cui la città dopo i grandi lavori
eseguiti per Firenze capitale era in grave crisi finanziaria. Non solo! Questo
atto avvicinò di nuovo le sorti di queste due città: Kiev, capitale
dell’Ucraina dove Pavel Pavlovič era stato governatore e aveva operato numerose
donazioni, dopo che Firenze e Kiev avevano visto svolgersi il successo e il
fallimento del grande Concilio ecumenico fra la Chiesa cattolica e ortodossa e
erano state le sedi privilegiate di Massimo il Greco (dichiarato santo dalla
Chiesa Ortodossa) e a Firenze conosciuto come Michele Trivolis, umanista
allievo di Poliziano.
Naturalmente
Pavel Pavlovič prosegue l’attività di beneficenza dei suoi parenti fra i poveri
della città, perpetuando la fama dei Demidov come benefattori.
Fra
i numerosi figli di Pavel Pavlovič c’è Marija Pavlovna Demidova che erediterà
la villa di Pratolino e che con il tempo si stabilirà quasi esclusivamente
nella nostra città.
Nel
fiore degli anni Maija Pavlovna sposerà un altro grande fabbricante, di origine
armena, il principe Abamelek Lazarev che
con la morte avvenuta nel 1916 in circostanze oscure gli lascerà la sua grande
villa romana che diventerà con il tempo la sede romana della principessa e poi
dell’Ambasciata sovietica e oggi di quella russa.
Nell’attività
di Maria Pavlovna oltre alla beneficenza diventata ormai tradizionale in questo
ramo della casata Demidov, si aggiunge un nuovo tipo di attività: l’aiuto e
l’assistenza a molti emigranti politici russi antisovietici caduti in povertà e
soprattutto per l’aiuto ai centri ortodossi sparsi per l’Europa: da Parigi a
Sofia, da Belgrado a Roma. Molti centri di cultura russa all’estero sono
sopravvissuti grazie alle abbondanti donazioni di questa principessa russo
fiorentina.
Anche
suo nipote il principe Karageorgevič, ex reggente il trono jugoslavo volle
donare numerosi libri antichi alle istituzioni culturali fiorentine e vendette
nel 1980 la villa di Pratolino alla Provincia di Firenze per un miliardo di
lire. Con questo atto la villa e il parco di Pratolino rimasero un bene
pubblico di cui può vantarsi Firenze.
Renato Risaliti
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Intervista
al Prof. Renato Risaliti
D.
- Mikailenko: può raccontarmi la sua storia?
R.
- Sì, con grande piacere!
D.
- Chi sono i suoi genitori?
R.
- Mio padre, Alfredo, era un
lavoratore di origine contadina. Partecipò alla prima guerra mondiale durante
la quale fu ferito due volte. Nel 1919, smobilitato, si sposò, si sposò quasi
subito con Brunetta Biagioni sua coetanea. Ebbero cinque figli: quattro maschi
e una femmina. La femmina e un maschio morirono ancora bambini.
Rimanemmo
tre maschi, ma fra me e i due fratelli maggiori c’era notevole differenza di
età: 14 e 12 anni, essendo io nato il 20 maggio 1935 ad Agliana; all’epoca una
zona prevalentemente agricola che stava facendo i primi passi sulla via della
industrializzazione.
D.
- Come è stata la sua giovinezza?
R.
- Essendo l’ultimo nato, ero il
beniamino della famiglia, che era eminentemente operaia, con due campielli in
affitto da cui mio padre ricavava vino, ortaggi e un po’ di grano che divennero
l’ancora di salvezza durante la Seconda Guerra Mondiale, cioè quando i miei
fratelli erano mobilitati nell’esercito italiano. Mio padre lavorava come
muratore a Prato e mia madre aveva un
piccolo negozio di chincaglieria. Il mio compito oltre la scuola era di trovare
l’erba per dare da mangiare ai conigli. La nostra provvigione di carne durante
la guerra era esclusivamente carne di coniglio. Da allora non l’ho più potuto
sopportare perché il coniglio mi ricorda le distruzioni, i bombardamenti, i
mitragliamenti sotto i quali spesso sono incappato da parte degli aerei anglo
americani.
Con
l’8 settembre 1943 l’Italia fu occupata dai nazisti tedeschi. I miei due
fratelli riuscirono a non essere catturati
e deportati in Germania, tanto più che Bruno aveva partecipato alla sfortunata
difesa di Roma. La famigerata Repubblica Sociale Italiana nella nostra zona fu
rifiutata dalla quasi totalità della popolazione. Ma il bando per il richiamo
alle armi della RSI fu respinto da quasi tutti i giovani che conoscevo.
Dovettero nascondersi anche i miei fratelli perché sarebbero stati fucilati,
come avvenne anche nella nostra zona, dalle autorità nazifasciste. Entrarono
nelle file delle gloriose brigate “Garibaldi”, nel reparto di pianura “Agliana”
dove militavano anche alcuni ex prigionieri di guerra sovietici. Uno di loro,
Paolo Ivan Baranovskij, originario di Nal’cik (Kabardino-Balkarija) fu ucciso
dai fascisti durante l’assalto alla caserma della polizia fascista di Agliana.
Nel
settembre 1944 Agliana fu liberata dagli Alleati dopo quindici giorni che
l’avevano già fatto i partigiani locali.
Iniziò
la nuova vita democratica che di lì a poco portò alla Costituente, alla
Repubblica democratica.. Grazie al fatto che tutti in famiglia lavoravano mi
iscrissi alle scuole medie e poi alle scuole medie superiori e mi diplomai
ragioniere, malgrado gli ostacoli e le persecuzioni cui fui oggetto per essere
passato dall’Azione Cattolica nelle file della gioventù comunista che mi vide
presto dirigente a livello provinciale.
D.
- Da dove nasce il suo interesse per
la Russia?
R.
- Il mio interesse nasce, in primo
luogo, dalla morte eroica del sovietico Ivan (Paolo) Baranovskij e dalle grandi
vittorie nella lotta antifascista dell’Armata Rossa, la sua conquista del
Reichstog e di Berlino. E anche dalle successive vittorie contro il Giappone e
i progressi nella ricostruzione dell’URSS.
Certamente
sono nato e cresciuto nell’ammirazione della grande letteratura russa a partire
da L. Tolstoj, F. Dostoevskij e M. Gor’kij. Un terzo elemento di simpatia per
la Russia nasceva dai racconti dei nostri soldati che erano stati inviati a
combattere in Russia che parlavano del grande eroismo dimostrato dai soldati e
da tutta la gente russa.
D.
- Lei è stato in Russia. Quante volte
e per quanto tempo?
R.
- Sì, sono stato in Russia
ininterrottamente dal 1956 al 1961, per quasi sei anni durante i quali
frequentai la Facoltà di Storia dell’Università di Mosca, dove poi terminai i
miei studi superiori.
Successivamente
sono ritornato in URSS (Russia) una o due volte all’anno. Durante questi
periodi ho partecipato ai convegni degli storici italo-russi o anche dei
filologi. Ho intrattenuto per decenni i rapporti prima di tutto coi colleghi
del mio corso, coi miei docenti (ora quasi tutti definiti) e con altre amicizie
che via via ho intessuto secondo il mutare dei miei interessi scientifici e
culturali.
D.
- Come può paragonare la situazione
sovietica e contemporanea?
R.
- E’ sempre lo stesso paese, lo
stesso popolo, ma balzano agli occhi numerose diversità, prima di tutto, nella
psicologia sociale generale che è molto, profondamente mutata. Un tempo era
impossibile vedere prostitute per le strade, oggi si. Un tempo si vedevano
molti milicionery, oggi molti meno, in compenso si vedono dietro le cancellate
dei nuovi grattacieli molte guardie armate private. Non c’erano i supermercati,
c’era una persistente rarefazione di merci nei negozi, infinitamente meno
automobili e un traffico abbastanza modesto, molte meno luci al neon, edifici
dall’aspetto trasandato sia all’esterno che all’interno, non esisteva la
polarizzazione nei vestiti della gente comune etc., si faceva molta più
attenzione all’acquisto dei libri e dei giornali, molte più persone leggevano
sui mezzi di trasporto pubblico etc. Qui non voglio entrare in temi assai più
grandi come quello che si riferisce al
modo con cui è stata ristabilita la proprietà privata sui mezzi di produzione e
sulla proprietà in generale, per non parlare dei limiti politici che sono stati
posti all’esercizio pratico di questa proprietà, come anche sul ripristino del
libero mercato. Infatti, da quel poco che dall’estero si riesce a sapere ci
sono importanti punti interrogativi su questo aspetto a partire dal settore primario
cioè la produzione agricola. Spero di essere stato chiaro e comprensibile a
tutti.
D.
- In Russia Lei ha avuto e conosciuto
tanti storici. Che cosa può raccontare? Con chi continua la collaborazione?
R.
- Sono arrivato nella Russia
sovietica nel febbraio 1956 e sono ripartito il 29 giugno 1961. Ho vissuto in
Russia i miei anni più formativi da ogni punto di vista. Seguendo i corsi
normali ho avuto e conosciuto da vicino illustri accademici B.A. Rybakov, L.V.
Čerepnin, Koval’čenko.
Il
seminario di storia russa antica era sotto la direzione di Rybakov che ci guidò
anche a gite di istruzione dentro il Kremlino, gite che mi sono servite molto
nel corso successivo degli studi, e per i racconti sugli anni di studentato,
all’inizio degli anni Venti, ma è soprattutto la profonda conoscenza dei
letopisi che mi colpì. Rybakov era capace di correggere gli errori o le
omissioni che facevamo mentre leggevamo i testi. Mi colpì molto il suo libro
Remeslo na drevnej Rusi.
L’accademico
Čerepnin l’ho seguito molto, stavo molto attento alla ricostruzione che lui
faceva della formazione dello stato centralizzato russo. Pendevo letteralmente
dalle sue labbra, come fosse una sorgente di acqua fresca e pura. Ebbi modo di
conoscerlo da vicino in numerose occasioni con il quale mi incontravo al
buffet. Quello che mi colpiva era la sua semplicità nei modi di atteggiarsi
verso gli studenti.
L’ho
rivisto poi in due occasioni a due convegni degli storici italiani e sovietici
a Roma e Firenze e a Mosca. Ebbe modo di elogiare un mio libro. Mi regalò il
volume sulle concezioni storiche dei classici della letteratura russa con la sua dedica che conservo ancora.
Il
terzo accademico che ha lasciato una traccia ancora più profonda nei miei interessi
scientifici è Kovalčenko. Seguii il suo corso speciale sui dibattiti storico
sociali nella Russia degli anni Venti e Trenta dell’Ottocento. Con me c’erano
anche due studentesse cinesi. La storia di questo periodo cioè la nascita de
decabrismo e la sua sconfitta e quella del populismo è sempre stata una
costante delle mie ricerche su cui sono riuscito a trovare elementi di
connessione diretta fra i carbonari italiani, i patrioti polacchi (Lelewel) e i
decabristi russi.
Altri
storici che hanno avuto una notevole influenza sono stati: N.E. Zastenker, un
vecchio bolscevico studioso delle idee anarchiche. Ogni volta che andavo a
Mosca lo vedevo a casa sua. Fu sempre largo di aiuti e consigli. Mi sostenne
moralmente quando gli riferii che ad eccezione di Ernesto Ragionieri e pochi
altri baroni rossi trovavo difficoltà ad inserirmi nel mondo accademico
italiano.
Un
altro docente con cui avevo fatto amicizia era V. Samarkin, allievo di Skazkin,
studioso dei fenomeni ereticali italiani e della geografia storica. La nostra
collaborazione scientifica stava sviluppandosi molto favorevolmente quando ebbe
i primi sintomi di insufficienza cardiaca.
Arrivai
a Mosca per un incontro degli storici italiani e sovietici. La mattina alle
otto gli telefonai come ero solito fare. Mi rispose la moglie. Quando le dissi
“Prego mi chiami Vjačeslav”, scoppiò in lacrime e mi disse: “Vjačeslav è morto
due ore fa!” Rimasi fulminato. Non seppi proferir parola. Arrivai al luogo del
convegno. Nessuno sapeva ancora nulla. Riferii
l’accaduto. Tutti mi guardarono con incredulità, pensarono che fosse la
conseguenza di un mio fraintendimento. Purtroppo, era la pura verità. Era la
prima grave perdita fra le mie amicizie fra gli storici russi. La scienza
storica russa ha perso una grossa speranza.
Grazie
a Zastenker feci la conoscenza diretta di due-tre storici: Dalin, Rolova e, mi
pare, Ososkova (anche se forse la conobbi ad un convegno di storici).
Durante
gli anni studenteschi avevo conosciuto ed apprezzato, anche per averne seguito
un seminario, il Prof. Lavrovskij, un medievalista che aveva studiato in
Inghilterra negli Anni Venti. Con lui ebbi modo di seguire dettagliatamente il
problema dell’espropriazione progressiva dei piccoli contadini dall’agricoltura
inglese, un problema che mi interessava alla luce di quanto stava avvenendo in
Italia alla fine degli anni Cinquanta. Ricordo che leggevo con passione, tutti
i giorni, “Sel’skaja žizn’” che mi dava molti elementi della crisi insanabile
in cui versava l’agricoltura sovietica malgrado le riforme di Krušev. A questo
proposito durante la mia permanenza nella DDR alla fiera di Lipsia ebbi su
questo tema un memorabile scontro con un diplomatico sovietico che negava alla
radice la mia analisi. Ma le importazioni successive di grano da USA, Argentina,
Australia e Canada mostravano la profondità della crisi sovietica.
Chiesi
a Zastenker di farmi conoscere Dalin perché in Italia Armando Saitta mi aveva
chiesto di tradurgli la monografia su Babeuf, traduzione che io ho perso perché
una copia fu trasmessa a Saitta e l’altra a Nicola Badaloni che non mi restituì
mai.
La
conoscenza di Dalin mi ha molto aiutato a capire meglio la contraddittorietà
della genesi di una delle basi del marxismo, il concetto di lotta di classe
ereditato dagli storici della Restaurazione.
A.D.
Rolova l’ho conosciuta su sollecitazione di Giorgio Spini perché la Rolova
aveva conosciuto Spini ad un congresso mondiale degli storici a Mosca e gli
aveva dato le sue pubblicazioni sulla storia di Firenze nel Cinque-Seicento.
Giorgio mi aveva chiesto di tradurgliele, cosa che io avevo fatto di buon
grado. Fu così che chiesi a Zastenker di segnalarmi come suo traduttore. I
rapporti con la Rolova rimasero anche dopo il crollo dell’URSS ed il suo
trasferimento ad Acquisgrana in Germania. Anzi, approfittando dell’occasione è
venuta in Italia ed è stata mia ospite.
Infine
Inna Ososkova mi pare, mi chiese di far conoscere a Giorgio Spini non solo i
suoi scritti ma anche quelli del suo maestro, il noto storico sovietico V.I.
Pašuto. Quando, però, a Spini feci conoscere
quali erano le tesi storiografiche del prof. Pašuto si rifiutò di
intrattenere rapporti con lui ragion per cui i rapporti con l’Ososkova
finirono.
All’inizio
degli anni Settanta nei miei rapporti con gli storici russi comincia a delinearsi
un certo cambiamento perché, in primo luogo, si indeboliscono certi rapporti
coi vecchi maestri, ma se ne rafforzano altri. Si interrompono i contatti con
gli accademici sopraccitati e coi germanisti come I.S. Galkin e M.I. Orlova
perché continuavano a seguire i vecchi orientamenti della storiografia russa.
Si ravviva per un momento il mio contatto con F. Misiano e I.V. Grigorieva per
i loro studi e interessi sul pensiero di Gramsci, ma fu un momento che non si
protrasse a lungo. Terminò il contatto con un allievo di Čerepnin, Vladyslav
Nazarov, dopo un promettente avvio per i suoi articoli apparsi
sull’Enciclopedia Storica Sovietica, mentre si rafforzavano notevolmente con
due ex colleghe della “Lomonosov”: Valerija Koss (poi Tichonova) e Nelli Beringova
che era entrata come ricercatrice all’IMEL (Istituto Marx Engels Lenin). Con
questa ultima allacciai una intensissima relazione. Fu molto abile e fortunata
per tutta una serie di ricerche sulla storia e letteratura russa, persino mi
procurò materiali inediti sulla fortuna di Pinocchio in Russia. Grazie a lei e
ad un ex studente della facoltà di Economia mi procurai importanti libri sulla
storia e la cultura russa.
La
morte improvvisa a causa di un blocco renale di Nelli Beringova fu la perdita
più dolorosa che abbia subito negli anni della transizione dall’URSS alla nuova
Russia: una perdita scientifica, culturale e sentimentale parzialmente riempita
dalla nascita di nuove amicizie che nacquero soprattutto durante i convegni
degli storici italiani e russi e la Settimana del Datini a Prato.
All’inizio
degli anni Settanta si sviluppano nuove amicizie, soprattutto fra i
medievalisti e i contemporaneisti.
Negli
anni universitari avevo conosciuto Ljubov Aleksandrovna Kotel’nikova, ma non
ero mai entrato in dimestichezza con lei. Solo dal 1972 si stabilisce un
contatto continuo e costante con questa valente studiosa dell’Italia medievale.
Il convegno di Mosca del 1972 fu l’occasione di ristabilire questa conoscenza..
Poi L.A. Kotel’nikova cominciò a venire di frequente in Italia, sia in
occasione del Datini sia perché era stata invitata in “komandirovka” a studiare
nei nostri archivi. Si stabilì subito un vasto settore di reciproco interesse.
Lei sceglieva le filze nell’ASF da microfilmare e dopo la sua partenza io
ordinavo o ottenevo i microfilm prima di un mio viaggio a Mosca.
La
studiosa russa, una volta giunto a Mosca, mi ripagava più che abbondantemente
delle spese che avevo sostenuto per lei, comprando e spesso spedendo a sue
spese decine di volumi che lei generosamente mi donava. Questa trafila è durata
fino alla morte della studiosa nel 1989. Così con il tempo ho potuto accumulare
una biblioteca di oltre ventimila volumi di libri di storia e letteratura
russa. Non solo! Mi ha scritto fra lettere, cartoline e biglietti di auguri un
corpus di 55 documenti molto interessanti
perché sono una fotografia delle tendenze storiografiche nuove che
maturavano nella storiografia russo sovietica e quali erano gli interessi storiografici
che l’alimentavano a contatto con la storiografia italiana e gli storici
medievalisti italiani. Presto questi scritti saranno pubblicati in italiano
sulla rivista “Slavia”. Purtroppo non ho le copie delle lettere che le
scrivevo, mentre ho conservato quasi tutte quelle che mandavo a Nelli
Beringova.
L.A.
Kotel’nikova mi fece conoscere anche un giovane medievalista russo Kaštanov,
con cui avevo iniziato una proficua collaborazione, purtroppo interrotta
bruscamente da un male repentino e incurabile. Se fosse vissuto forse i miei
studi avrebbero seguito altre vie.
Nella
seconda metà degli anni Ottanta L.A. Kotel’nikova mi fece conoscere il prof.
Koleneko, učenyj secretar dell’Accademia delle Scienze dell’URSS e docente di
storia canadese perché lo mettessi in contatto con docenti italiani della
stessa disciplina, cosa che io mi affrettai ad assolvere. Non so, però, con
quanto successo.
L.A.
Kotel’nikova verso la metà degli anni Settanta mi presentò a I. Šarkova,
studiosa dei rapporti italo russi, con cui intrattenni proficui rapporti di collaborazione
fino al crollo dell’URSS. Poi sparì dal mio sguardo.
Lo
storico Nevler si presentò da solo. La collaborazione durò un po’ di tempo, poi
finì per alcuni malintesi.
La
collaborazione con L.A. Kotel’nikova fu proficua anche sotto altri punti di vista
perché Lei scrisse un articolo su “Problemy ital’janskaj istorii” su Renato
Risaliti, storico dei rapporti italo russi che mi fece conoscere ad un vasto
pubblico russo.
E.V.
Gutnova, una docente dell’MGU, di cui avevo seguito il corso sulla formazione del
parlamentarismo inglese. Dopo la fine dei miei studi universitari a Mosca le
persi di vista per alcuni anni. Questi rapporti ripresero quando lei venne alla
Settimana del Datini a Prato. In quel periodo, nella seconda metà degli anni
Settanta, ero sindaco del mio paese natale, Agliana che confina con Prato e
Pistoia. In questa occasione mi presentai a lei, malgrado fossero trascorsi
diversi ani, si stabilì la vecchia sintonia anche perché io ero diventato
professore incaricato di Letteratura russa all’Università di Pisa e di Storia
dell’Europa Orientale all’Università di Firenze. Fu così, come E.V. Gutnova
riferisce nel suo libro di memorie Perežitoe, che trascorremmo un’intera
giornata tra Agliana e Pistoia.
Ma
la studiosa che si era salvata dalle repressioni staliniane grazie alla
protezione dell’accademico Kosminskij era figlia del primo oppositore di Lenin,
Cederbaum e nipote degli altri due fratelli, Martov, capo del menscevismo e di
Ežov, il tremendo ministro di polizia durante gli anni delle grandi repressioni
del 1937-38. E.V. Gutnova solo alla fine degli anni Ottanta mi rivelò di essere
la nipote di Martov, ma non mi disse mai di essere anche la nipote di Ežov. Non
gliene faccio una colpa. E come potrei? I consanguinei non si scelgono, sono
dati dalla natura. Rimane, comunque, un caso emblematico: nella tragedia della
sua famiglia si riflette la tragedia di tutto un popolo.
Nello
stesso periodo – anni Settanta/Ottanta del XX secolo nacque, si sviluppò ed
andò consolidandosi l’amicizia e la collaborazione scientifico culturale con
due storici di storia contemporanea: G. Filatov e N.P. Komolova.
Prima
conobbi Filatov che ebbi modo di difendere sul “Corriere della Sera” perché le
autorità italiane non gli volevano rilasciare il visto d’entrata in Italia.
Alla fine furono costrette a rilasciarglielo. Fu una vittoria che considerai
come una mia grande vittoria personale. Fu durante un incontro di storici che
mi presentò la sua cara collega ed amica Nelli Pavlovna Komolova. Fu un
incontro felice, anzi doppiamente felice perché i due storici erano legati da
profondo affetto. L’idillio, purtroppo, non durò a lungo perché Georgij di lì a
poco fu colpito da un male incurabile nel fiore dei suoi anni creativi, che lo
spense in poco tempo.. Tuttavia, alcuni saggi suoi furono pubblicati in Italia
da grosse case editrici ed ebbero larga diffusione.
Nelli
Pavlovna si dovette far carico anche di difendere e diffondere la memoria
storica dell’amico immaturamente scomparso. Io feci la mia parte recensendo
alcuni loro libri compreso quello su Palmiro Togliatti. Qualche tempo dopo
Nelli Pavlovna stampò le lettere che G.S. Filatov aveva mandato ai suoi
familiari quando ebbe la ventura di essere inviato in Italia nel 1944-46 in cui
ebbe modo di descrivere in maniera succinta le tremende condizioni in cui si
trovava l’Italia nell’immediato secondo dopoguerra. Io mi affrettai a tradurre
quel prezioso epistolario su “Rassegna sovietica” poi ripubblicato nel mio
libro conclusivo, Russi in Italia, sui rapporti italo russi.
La
conoscenza, con Nelli Pavlovna, ha avuto una grande importanza per accedere
agli archivi russi dopo il crollo dell’URSS, fatto che mi ha permesso di
approfondire la conoscenza dei rapporti italo russi nell’epoca zarista e
sovietica e di trarne determinate conclusioni in numerosi miei scritti su
questo tema o sul tema di storia della Russia su cui sono apparsi ben due libri
composti con una serie di saggi in cui approfondisco temi specifici, e, secondo
la mia opinione, decisivi della storia russa: dalla formazione dello stato
centralizzato alla conquista della Siberia, il rapporto fra colonizzazione
interna e decabrismo e fra questo e i movimenti carbonari in Italia e Polonia,
dal problema delle guerre espansionistiche condotte dallo zarismo per la conquista
del Caucaso e dell’Asia centrale e dell’Estremo Oriente, temi che sono poi
connessi con la moderna formazione della nazione russa e dello stato russo. Fra
questi elementi interni ho dato particolare rilevanza al džadidismo in Tataria
e nelle altre isoglosse etniche del Volga e della Siberia, problemi ben
presenti anche nella impalcatura istituzionale della nuova Russia attuale.
L’amicizia
con Nelli Komalova mi permise diversi
periodi di permanenza in Russia subito dopo il crollo dell’URSS e di essere presente
a Mosca quando El’cyn intervenne militarmente contro il Soviet Supremo nel 1993
e di trarne le opportune conseguenze storico sociali, così come notai la nuova
ascesa del sentimento etnico - religioso fra una parte notevole della
popolazione russa e non russa , osservando le inevitabili conseguenze anche con
permanenze dirette e prolungate a Kiev e in Ucraina. Da questo punto di vista
guardando la realtà russa e ucraina con occhi bifocali mi ha permesso di capire
meglio i motivi del crollo dell’URSS. Non solo! A Kiev, nelle sue biblioteche,
grazie ai buoni uffici dello storico ucraino M.M. Varvartsev, ho spesso trovato
materiale prezioso per approfondire i rapporti italo russi come ad esempio la
raccolta quasi completa degli scritti di un populista come L.I. Mečnikov,
ufficiale garibaldino nella spedizione dei Mille, testimone prezioso di tanti
fatti storico sociali del primo periodo unitario e fratello maggiore del
Premio0 Nobel per la medicina anno 1908.
I
fratelli Mečnikov erano stati assai sottovalutati dalla storiografia sovietica
e anche dal nostro Franco Venturi e invece Lev Mečnikov ha avuto una importanza
straordinaria nella formazione delle idee populiste in gran parte tradotte
creativamente dai suoi scritti sul Risorgimento italiano. Nessuno scrittore
russo, persino Dobroljubov e/o Bakunin, ha contribuito quanto Lev Mečnikov alla
conoscenza di Garibaldi e il garibaldinismo
e in generale della sinistra italiana in Russia.
La
collaborazione con Nelli Pavlovnma Komolova è durata fino alla sua morte
nell’agosto 2010. Ricordo di averci parlato il giorno prima che morisse. A Lei
debbo la pubblicazione, oltre che la traduzione, di diversi saggi sui rapporti
italo russi nel periodico “Problemy ital’janskoj istorii” e un saggio su di me
in “Problemy istorii russkogo zarubež’ja”, 1, Nauka, 2005.
Tuttavia,
Nelli Komolova, durante i miei soggiorni a Mosca nel suo appartamento, aveva
organizzato pranzi e cene a cui avevano partecipato i coniugi Bačarov, ambedue
specialisti dell’Italia risorgimentale e contemporanea e Lidya M. Bragina,
specialista del Rinascimento italiano, autrice di molti saggi sugli umanisti
italiani e un’altra specialista di storia dell’Italia, la signora Naumova che
poi ospitai a casa mia per un certo periodo di tempo in cui frequentava gli
archivi e le biblioteche di Firenze.
Va
inoltre aggiunto che fra i miei compagni di Università ho intrattenuto
rapporti, per tutta la durata della sua vita, con Stroganov, specialista di
storia dell’America Latina. Per me fu una fonte preziosa per conoscere le
novità sugli studi storiografici russi sul nuovo mondo e in particolare
sull’America Latina. La sua morte fu un altro tremendo colpo al mondo della mia
giovinezza, al mondo che mi aveva formato, il grande mondo russo.
Nelli
Pavlovna mi mise in contatto con altri storici come A.L. Jastrebickaja, S.P.
Karpov, V.P. Ljubin, E.S. Tokareva, coi quali intrattengo ancora rapporti
collaborativi. V.P. Ljubin a sua volta mi mise in contatto con L.K. Škarenkov e
altri di cui non ricordo il nome.
Un
secondo aspetto delle mie ricerche riguarda i rapporti italo russi. In questo
settore ho pubblicato non pochi libri colmando aspetti non ancora indagati da
slavisti come Ettore Lo Gatto, Vittorio Strada, Eridano Bazzarelli e Piero
Cazzola tanto per citare i maggiori.
In
questo settore penso di aver molto contribuito a mettere in luce la vicenda dei
viaggiatori russi in Toscana dal Cinquecento al Novecento, mettendo a fuoco la
presenza dei Demidov, dei Drutskoj, di Lev Mečnikov o di toscani in Russia come
Luigi Serristori, Luigi Cappelli, Niccola Monti, Sebastiano Ciampi, Ercole
Gigli o Dino Campana. Presto uscirà per i tipi di “Aleteja” Russkaja Toskana
dove molte cose, ma non tutte verranno esposte con note appropriate. Rimando
pertanto a questa mia pubblicazione per i lettori russi.
D.
- Lei conosce la storia russa molto
bene. E ha compiuto tante ricerche sulla Russia e le relazioni italo russe.
Qual è il suo contributo più significativo nelle ricerche, come lo può
valutare?
R.
- Sono costretto a scindere la domanda
in due parti. La prima riguarda la mia Storia della Russia dalle origini
all’Ottocento (Ed. Mondadori) recensita ampiamente da Schlafly sulla maggiore
rivista slavistica americana (“Kritika” 1908, vol. 9) e La Russia: dalle guerre
coloniali alla disgregazione dell’URSS.
In
questi due volumi non seguo lo schema tradizionale, ma ho organizzato il
materiale secondo gli argomenti che mi sono parsi più significativi (escludo la
Russia di Kiev, e per ogni argomento espongo le tesi storiche principali
apparse in Russia e all’estero, poi espongo gli avvenimenti e alla fine
fornisco il mio giudizio). I temi principali che prendo in esame li ho già
esposti e non li ripeto.
Secondo
me, il problema centrale della storia russa, sulla scia di Solov’ev, è la
colonizzazione interna che va di pari passo con l’acquisizione di nuovi
territori, ma il salto di qualità nella storia russa è la conquista della
Siberia che sta, come osservò acutamente Braudel, alla storia russa come la
conquista dell’America sta alla storia europea. Con una enorme differenza: fra
i territori dell’America e dell’Europa non c’è contiguità territoriale, ma fra
la Russia medievale e la Siberia esiste questa contiguità e quindi non si forma
una nuova nazione, ma la nazione russa nata come quella turca nel XIII secolo
si amplia con il tempo fino a diventare come l’impero turco uno stato
tricontinentale (Europa, Asia, America) per poi rifluire in uno stato
bicontinentale (Europa, Asia). L’espansione russa verso Est prosegue
ininterrotta dal Seicento all’Ottocento, alla ricerca del paese felice che non
esisteva, per poi confluire nel messianesimo comunista.
Il
suo fallimento pone fine al sogno russo e getta le basi per un nuovo rapporto
con gli stati vicini e tutto il mondo e fa da pendant alla conquista americana
della nuova frontiera che termina con il fallimento del sogno americano di
essere arbitro dei destini del mondo. Fra i due fallimenti e le prospettive
nuove che si aprono c’è una sintonia sconcertante. Mi riconfermo quindi fautore
degli studi sui grandi spazi e sui lunghi periodi storici.
Rimane
valida l’intuizione di Gogol che la Russia è come una trojka lanciata nella
steppa che corre a tutta velocità verso un ignoto destino. Già, così come lo è
per tutti i popoli e tutti i singoli uomini.
D.
- Quali temi è possibile
approfondire?
R.
- I temi che è possibile approfondire
sono infiniti, quantoi temi stessi, anzi,
va detto che l’esperienza storica introduce sempre non solo nuovi
argomenti, ma fa sorgere l’esigenza di andare alla ricerca di nuovi temi.
Mi
pare che la Russia deve porsi di approfondire tre temi in particolare:
1)
il perché della grave crisi demografica attuale e come superarla;
2)
il perché nel ritardo di elaborazione di un sistema democratico e le vie per
superarlo;
3)
la collaborazione interna ed esterna con i popoli non russi.
D.
- Lei ha avuto una importante
esperienza politica: può raccontare gli avvenimenti più significativi di questa
esperienza?
R.
- Al mio ritorno dal mio decennio di
permanenza all’estero e in altre parti d’Italia (quasi sei anni a Mosca, tre
mesi in Cina, due anni nella DDR e due anni di studi all’Orientale di Napoli)
per complessivi anni dieci (1956-1965), trovai i miei luoghi natali
completamente trasformati dal cosiddetto “miracolo economico” e con l’economia
trovai anche la mentalità ed il costume sociale completamente diversi.
Mi
misi subito ad insegnare, non feci il funzionario di partito, ma mi immedesimai
completamente nell’attività politica del PCI che aveva un regime interno molto
diverso dal PCUS.
Tuttavia,
anche con quelle diversità, la camicia comunista mi stava stretta perché nei
compagni del PCI c’era ancora una fiducia cieca nell’URSS.
Ricordo
con un misto di sentimento tragicomico lo scandalo che suscitai quando nella
mia prima conferenza pubblica quando rivelai, nel 1961, che i colcosiani (i
contadini) russi non avevano la pensione. Suscitai un vero scandalo perché le
pensioni, nel PCI del momento, erano la rivendicazione base del partito verso i
contadini.
La
segreteria di Pistoia si riunì d’urgenza e decise che da quel momento il
compagno Risaliti non poteva più parlare in pubblico a nome del PCI!
Successivamente
riuscii, nel 1970, a diventare assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di
Agliana e responsabile della Commissione
Culturale della Federazione del PCI con riunioni cui partecipavano i compagni
come M. D’Alema. Presiedeva le riunioni Giorgio Napoletano. Nel 1975 diventai
sindaco di Agliana e lo rimasi per cinque anni. Nel 1980 fui eletto consigliere
provinciale di Pistoia e poi assessore. La mia carriera politica finì lì perché
Enrico Berlinguer fece la scelta del salto generazionale ed escluse dagli
avanzamenti i quarantenni di allora. Furono portati avanti i ventenni e quasi
sempre studenti. Le persone di origine operaia con Berlinguer furono
sistematicamente estromesse dai posti di direzione.
Non
mi rimase che seguire la carriera accademica e considerare chiusa la fase
politica. Questo mi dette ulteriori elementi per approfondire le mie concezioni
e indagini storiche. Col tempo maturò in me una nuova concezione marxista
aggiornata secondo le mie esperienze politiche. Avvenne una rottura
epistemologica in seguito ai continui viaggi all’estero. Maturai la convinzione
che non si può del tutto escludere l’importanza del fattore climatico e
geografico come avevano fatto Marx e Engels in opposizione agli illuministi.
D.
- Con quali storici intrattiene
rapporti?
R.
- Sostanzialmente con storici dei tre
maggiori centri urbani della Russia: a Mosca con Analtolij Krasikov
dell’Accademia delle Scienze, con Sergej Filatov, storico delle religioni, a
Pietroburgo con Michail Talalaj, un ex allievo di Nelli Komalova e a
Ekaterinburg con Ekaterina Arslanova e per ultimo, ma un astro
dell’italianistica russa, il prof. Michajlenko, preside della facoltà di
Relazioni internazionali dell’Università di Ekaterinburg.
D.
- Quali sono i suoi programmi per il
futuro?
R.
- Quali programmi si possono avere a
76 anni con la salute malferma? Ritengo che ormai non possa farne
che a breve termine cercando di colmare le non poche lacune temporali che ci
sono nelle mie numerose ricerche soprattutto nei rapporti italo russi.
R. Risaliti
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