La Resistenza nazionale e
locale. Incominciamo ad entrare nel
merito del nostro tema. Partirò da una considerazione che meraviglierà gli
amici che mi hanno conferito il gravoso compito di tenere questa relazione. Vi
confesserò che il titolo l' ho trovato un po' riduttivo del grande fenomeno
della Resistenza perché il titolo sembra misconoscere l'aspetto internazionale
se non internazionalistico della Resistenza che è un fenomeno europeo e asiatico.
Dirò subito che la Resistenza europea ha avuto processi simili ma anche diversi
fra i vari paesi.
Nell'Est europeo, se si
eccettuano i paesi di vecchia appartenenza all'area culturale occidentale
(Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria), netta è stata la prevalenza dei comunisti
a partire dal 1942-43 nella Resistenza. Nei Balcani l'egemonia comunista fu
netta.
La Resistenza italiana,
dato il carattere dell'Italia di paese fascista e aggressore, nasce dopo, ma si
sviluppa con ritmi impressionanti fino ad essere una delle Resistenze più
significative in Europa.
C'è stato un lungo periodo
di tempo in cui la Resistenza si intendeva in senso assai ristretto cioè si
includevano fra i resistenti solo i partigiani combattenti in Italia.
Automaticamente veniva mutilata nei suoi vari aspetti. Si escludevano di fatto
i soldati italiani deportati nei lager nazisti, i partigiani italiani che
avevano combattuto nei Balcani, si taceva il contributo dato dai Gruppi di
Combattimento. Negli ultimi anni queste lacune sono state riempite. Oggi
abbiamo un quadro più completo di tutta la complessità della Resistenza
italiana.
Detto questo è necessario
sottolineare che la opportunità di questo convegno nasce dall'attacco che da
diversi anni viene compiuto in maniera chiara, ma più spesso in modo subdolo,
contro gli aspetti, anzi, la concezione fondamentale della Resistenza.
Ci dobbiamo chiedere: le
persone che in tutto il mondo hanno lottato contro le concezioni fasciste e
totalitarie e più ancora contro il dominio mondiale del nazismo per che cosa
hanno combattuto? Contro che cosa si sono opposti? Perché poi la Resistenza ha
vinto? Spesso si dimenticano le ragioni profonde della vittoria.
A questa visione si oppone
infatti il cosiddetto "revisionismo storico".
Ora la parola
"revisionismo" è di per sé una parola dotata di una certa ambiguità
di fondo. E' evidente che ogni ricerca storica non può non essere una
"revisione" (e quindi revisionistica) di idee precedenti che erano o
sembravano certezze. Ma la ricerca revisionistica non può astrarre dai
documenti, deve essere fondata sui
documenti che devono essere attentamente vagliati, contestualizzati,
interpretati e inquadrati in una visione oggettiva dello sviluppo storico.
Come tutti possono capire
fare questo lavoro non è semplice perché gli stessi documenti storici devono
essere autentici e veri. Infatti ci possono essere documenti autentici che
possono essere falsi perché chi li ha scritti nel corso della lotta poteva
avere interesse a dire cose false per ottenere la vittoria o quantomeno indurre
in errore il nemico. A maggior ragione possono essere parzialmente o del tutto
falsi documenti scritti dopo la Resistenza pur essendo autentici perché chi li
ha scritti poteva avere altri fini da conseguire.
Tuttavia, l'attacco contro
la Resistenza prosegue incessantemente da quando la lotta era ancora in corso.
Negli ultimi anni, però, a livello internazionale c'è stata una svolta.
Si è cercato di negare
l'accadimento di fatti storici che non possono essere messi in dubbio a partire
da quello dell'Olocausto. Infatti, si sono trovati illustri o meno illustri
studiosi che hanno negato chiaro e tondo che non c è stato nessun Olocausto e
nei lager nazisti non sono accaduti tanti orrori, ma erano quasi luoghi di
villeggiatura. Io ho un'età che quando ho visto tornare dalla prigionia tanti
nostri ex militari e civili che per tanti motivi vi erano stati inviati, ho ben
sentito ripetere una infinità di volte gli stessi orrori dai sopravvissuti appena tornati. Allora non potevo neanche immaginare che si
giungesse a tanta distorsione della verità.
Ma torniamo al nostro tema.
Per alcuni decenni la storiografia sulla Resistenza è stata sostanzialmente
unita sul concetto di Resistenza come secondo Risorgimento cioè una lotta per
conseguire di nuovo la perduta indipendenza in seguito alle criminali
aggressioni compiute dal fascismo italiano (Etiopia, Spagna, Albania, Grecia,
Jugoslavia, U.R.S.S.) da solo o in combutta coi nazisti tedeschi. La famosa
"guerra parallela" di Mussolini si era rapidamente rivelata un misero
bluff e l'Italia da partner nell'Asse si era molto presto trasformata in
un satellite della Germania hitleriana.
Nel 1943 dopo
lo sbarco alleato in Sicilia la disfatta militare dell'Italia è inevitabile e
imminente. Questa tragedia provoca la crisi dei vertici e la diarchia che aveva
governato l'Italia per venti anni (Re e Duce) si rompe. Il Re approfittando
della sfiducia del Gran Consiglio al Duce fa arrestare Mussolini e nomina il
maresciallo Badoglio capo del Governo. Si cerca di trasformare la dittatura
fascista in dittatura militare che non tarda a reprimere con la forza molte
manifestazioni di piazza. Badoglio cerca di trattare la resa con gli alleati,
ma questi accettano solo la resa incondizionata del nostro paese.
L'Italia con questo atto
perdeva la sua indipendenza, era alla mercé degli alleati. Altra scelta non
c’era. Continuare la guerra significava condannare l'Italia alla rovina
bellica. In questo momento supremo il re e Badoglio dopo aver firmato la resa
fuggono ignominiosamente lasciando l'esercito senza ordini precisi. L'esercito
italiano, già demoralizzato e senza ideali, si sfalda rapidamente, in poco più
di 48 ore!
Coloro che si erano
pasciuti per decenni con la parola "patria" dimostrano la loro
pusillanimità. In questa ora della massima abiezione della nazione nel momento
in cui questa sembra scomparsa, nuclei di soldati e anche ufficiali e popolani
da Roma a Pistoia si armano e in un impeto di disperato eroismo, si immolano
per resuscitare la patria. In questo ha ragione il Presidente Ciampi quando
afferma che l'8 settembre 1943 non è la fine della Patria, ma al contrario è
l'inizio della sua resurrezione. Da qui nasce la concezione giusta della
Resistenza come Secondo Risorgimento. Purtroppo questa concezione è monca perché
non prende atto di altri aspetti.
Ma uno storico come Claudio
Pavone nel suo libro Una guerra civile fa un passo avanti rispetto alla
concezione della Resistenza come Secondo Risorgimento. Perché? Perché in
seguito alla mancata difesa di Roma l'Italia è occupata da eserciti stranieri
che si contrappongono sul piano ideale in modo chiaro e netto. Gli eserciti
alleati si battono per la restaurazione dei diritti dei popoli e della
democrazia, l'esercito nazifascista tedesco che occupa il centro nord dell'Italia
vuole affermare la superiorità della razza ariana, del popolo tedesco sugli
altri, è contro la democrazia e le libertà democratiche.
Nel Sud esiste un governo
regio che simbolizza la continuità dello stato italiano nella figura del re,
della sua amministrazione che in molte province si esplica come se nulla fosse
accaduto. Si vivono mesi irreali, si finge che nulla sia accaduto fino a che
non arriverà la svolta di Salerno.
Nel Centro Nord invece i
nazisti tedeschi che hanno liberato Mussolini danno vita alla cosiddetta R.S.I.
che servirà ai tedeschi per reprimere il sorgente movimento patriottico e per
sfruttare il potenziale industriale italiano a fini bellici.
La Resistenza italiana
attraversa il primo duro inverno 1943 -44 in una fase di organizzazione delle
sue file.
Il popolo frattanto ha
fatto conoscere qual era il suo orientamento con Cefalonia, la formazione delle
divisioni Garibaldi in Jugoslavia, le Quattro giornate di Napoli,
l'atteggiamento dei prigionieri italiani in Germania che erano circa 615.000.
Questi prigionieri italiani posti di fronte all'alternativa di rimanere nel
lager o arruolarsi nell'esercito della R.S.I. preferirono rimanere nei lager
con percentuali superiori al 95%. Questi sono fatti inappellabili che
dimostrano come la popolazione italiana nella sua enorme maggioranza ripudiava
il fascismo compreso quello repubblicano.
Questo non significa che
nel Centro Nord non ci sia stata una guerra civile. Ma se guerra civile ci fu -
questa avvenne perché l'Italia settentrionale e parte di quella centrale era
stata occupata dalla Wehrmacht, altrimenti i fascisti non avrebbero
avuto né la forza né il coraggio di prendere le armi contro la grande
maggioranza dei loro fratelli, asservendosi totalmente agli occupanti tedeschi.
In ogni caso, se guerra civile ci fu, questa avvenne solo in una parte
dell'Italia, mentre l'Italia tutta doveva riconquistare la propria
indipendenza. Questo era il compito primario che unì tutti dai monarchici ai
comunisti dopo Salerno e su questa base fu possibile arrivare al referendum
Monarchia o Repubblica.
La lotta per la riconquista
dell'indipendenza è prioritaria rispetto all'aspetto della guerra civile che
per giunta non avvenne su tutto il territorio nazionale. Gli storici obiettivi
non possono non tener conto di queste circostanze. Non solo! Lo scontro avvenne
non solo nell'Italia occupata, ma anche sul fronte fra le truppe della R.S.I. e
del Regio esercito.
E ora veniamo al terzo
aspetto assunto dalla Resistenza quello della lotta sociale. Va subito
precisato a scanso di equivoci che la lotta sociale si è verificata prima della
stessa caduta del regime fascista.
Basti pensare agli scioperi
del marzo 1943, i primi dopo circa venti anni di dittatura fascista e che sono
il preannuncio dell'intervento della classe operaia nelle vicende nazionali
successive con una forte voce autonoma.
Dopo l'8 settembre 1943 si
hanno lotte sociali sia nell'Italia occupata dai nazifascisti (scioperi del
marzo 1944) sia quella occupata dagli alleati (lotte per la terra in Sicilia e
altre regioni, vari moti del pane a cominciare da quello di Sassari del gennaio
i 944 guidati dal giovane Enrico Berlinguer che aveva compiuto la sua
educazione politica sotto la "direzione" del pistoiese Renato
Bianchi)
La differenza fondamentale
fra le lotte sociali del Nord e del Sud consiste in questo: al Sud si tratta di
contadini o plebe urbana affamata che trova sfogo nella riacquistata libertà,
al Nord è la classe operaia che sciopera per il suo salario e contro
l'occupazione straniera o contro la fasulla socializzazione della R.S.I.,
scioperi che si concluderanno col vittorioso sciopero insurrezionale
dell'aprile 1945 e l'uccisione in maniera rivoluzionaria di Mussolini,
principale responsabile della catastrofe nazionale.
Come pochi sanno il vero esecutore
materiale della esecuzione di Mussolini fu l'operaio fiorentino Lampredi
incaricato con ordine tassativo dal P.C.I. e personalmente da Luigi Longo.
Il nostro discorso sulle
lotte sociali non può dirsi affatto concluso soprattutto per quanto riguarda la
specificità sociale dell'Italia centrale che è poi la zona tradizionalmente
mezzadrile. E' proprio nella calda estate 1944 ancora sotto l'occupazione
tedesca che si gettano le basi delle differenziazioni sociali all'interno del
C.L.N. a livello locale e nazionale. Si trattava di ordinare. la mietitura e
battitura del grano nel momento in cui dopo la liberazione di Roma e lo sbarco
alleato in Normandia 4-6 giugno 1944, le autorità della R.S.I. fuggono al Nord
e lasciano vuoti anche formalmente gli uffici pubblici dei vari comuni delle
campagne.
In questo frangente i
partiti della sinistra pongono il problema del superamento della mezzadria di
fatto, l'accantonamento del 5% del raccolto sulla base del 50% che andava
detratto dalla quota padronale. Il 5% andava depositato in banca. P.C.I.,
P.S.I. e P.d'Az. si schierarono coi mezzadri, i liberali e anche la D.C. per il
mantenimento dello status quo. Vinse la soluzione della sinistra, ma questo
comportò anche scontri fisici nelle campagne fra i piccoli proprietari e le
G.A.P.
A stento questi scontri non
degenerarono.
Questo è un aspetto poco
indagato anche perché nelle campagne spesso il fattore era stato anche il
segretario del fascio. I proprietari delle fattorie in genere non si facevano
vedere nelle nostre campagne. La mancanza di carbone da cucina provocò anche
altre ordinanze partigiane. Intere macchie furono segate per dare la
possibilità agli operai ed ai poveri di avere legna da ardere.
Tutti questi processi che
avvenivano ancora sotto l'occupazione tedesca determinarono le prime
differenziazioni nei programmi politici dei vari partiti. Ma c'era di più. Le
città in previsione del passaggio del fronte che si pensava sanguinoso furono
abbandonate in larga misura dagli abitanti, processo che era iniziato coi
bombardamenti alleati del 1941-42. La situazione nel campo degli alloggi si
aggravava di giorno in giorno. Solo il C.L.N. era in grado di prendere
decisioni di governo e nei limiti consentiti dalla situazione lo fece, ed
egregiamente.
Il movimento partigiano
aveva a che fare anche con i problemi dell'ordine pubblico. Molti delinquenti
comuni erano fuggiti o liberati dalle carceri e quindi spesso depredavano,
uccidevano e vuotavano le banche fingendosi esponenti del movimento partigiano.
Questo rappresentò un pericolo gravissimo per il prestigio e l'autorità del CNL
nel popolo. Nella sostanza il movimento partigiano riuscì a far fronte a questa
evenienza, ma non sempre ci riuscì.
Nel momento del trapasso
del fronte si registrano quasi in ogni località tristi episodi di giustizia
sommaria da parte di singoli elementi anarchico comunisti che volevano
vendicarsi spesso ingiustamente di anni di umiliazioni e vessazioni.
Un aspetto importante della
Resistenza italiana è quello del maggior peso politico anzi, del crescente peso
politico e sociale dei C.L.N. man mano che il fronte si sposta verso Nord. Non
solo, ma anche il crescente carattere unitario e più stretti rapporti con la
popolazione. Mentre nel Sud ci sono stati episodi importanti, ma sporadici, di
azione autonoma dei C.L.N. prima dell'arrivo degli alleati.
Basti pensare a questo
proposito alla mancata liberazione di Roma da parte dei partigiani, fatto che
si registra anche nelle città della Toscana meridionale.
A Siena ad esempio si è
registrato un passaggio pacifico di poteri dalla R.S.I. ai partigiani.
A partire da Firenze,
Prato, Pistoia il quadro cambia profondamente.
Sono i partigiani, i C.L.N.
che occupano le città e si insediano nei centri del potere locale prima che
giungano le truppe alleate. Quindi a partire dalle nostre zone la Resistenza è
ormai matura e compie una vera rivoluzione politica nominando i poteri locali,
licenziando molti funzionari fascisti fuggiti al Nord (e non solo) e nominando
altri impiegati della pubblica amministrazione. In sostanza i C.L.N. agiscono
come una vera autorità di governo. E' vero che in molti casi le autorità
alleate modificarono in parte o completamente le decisioni, ma la rottura
istituzionale avvenne in un modo lampante.
Passiamo ora ad esaminare il problema delle
fonti sulla Resistenza, problema che a mio giudizio lascia un po' a desiderare.
Esistono ormai collezioni
nazionali, regionali e provinciali che trattano diversi aspetti della
Resistenza. E tuttavia rimane un grande lavoro di ricerca da fare. Molte fonti
sono state pubblicate.
Sono soprattutto quelle
americane, ma ne esistono ormai sfruttate tedesche ex orientali e occidentali.
Un grosso apporto lo hanno
fornito quelle sovietiche dopo la caduta del regime sovietico. Sono certo che
ci sono ancora molti archivi russi che nel futuro potranno darci molte sorprese
perché una parte degli archivi della R.S.I. trasferiti in Germania furono
catturati dai sovietici.
Poco sfruttati sono gli
archivi inglesi i quali invece sono importantissimi almeno fino all'estate 1944
quando l'Italia da paese di prevalente influenza inglese diventa un paese che
entra nella zona di influenza americana (Elliwood).
Occupiamoci ora delle fonti
poco sfruttate che sono quelle jugoslave, greche di altri paesi balcanici,
francesi, spagnole.
Credo che per i vari paesi
esistano vuoti di ricerca clamorosi. Un po' dipende dalle forze scientifiche
che si sono dedicate al problema ma anche dai mezzi finanziari, che non sono
grandi, messi a disposizione dei ricercatori.
I contatti che ci sono
stati fra i resistenti dei diversi paesi sono intensi. A volte si trovano delle
connessioni inattese. Tuttavia, ritengo che ci siano fonti di carattere
diplomatico che non sono state ancora utilizzate a partire dai rapporti degli ambasciatori
e dei consoli dei paesi neutrali (Svizzera, Svezia, Turchia, Spagna, etc.).
Finora è stata pubblicata solo qualche memoria di diplomatici di questi paesi.
E invece si potrebbero fare delle ricerche sugli ambienti sia fascisti sia
antifascisti.
Sono profondamente convinto
che un materiale immenso non ancora conosciuto si trovi presso le
organizzazioni e le istituzioni cattoliche. Basti pensare alle sorprese che
potrebbero venire dagli archivi dello stato Vaticano.
E che dire poi degli
archivi delle diocesi, delle parrocchie, dei conventi maschili e femminili il
cui materiale giace spesso accatastato senza alcun inventario come succede
spesso a partire da Pistoia? Tanto per fare un esempio mi era stato offerto di
curare il diario di mons. Santin, arcivescovo di Trieste composto da oltre
ventimila (dico ventimila!) pagine manoscritte e che per ora non ho accettato
perché mi sento impari al gravoso compito.
E che dire infine degli
archivi delle varie fattorie che ora si stanno disperdendo in mille rivoli e
che invece rappresenterebbero delle fonti sulla situazione economica e sociale
di primaria importanza. Personalmente da tempo ho fatto dei passi presso i
Comuni e le biblioteche comunali , ma per ora non è in vista nessuna
iniziativa.
Un po' meglio va la
raccolta dei fondi di grandi fabbriche come ad esempio la ex San Giorgio (oggi
Breda) qui a Pistoia. Ma nulla si sa di che fine hanno fatto o faranno gli
archivi della S.M.I. della montagna o di tante altre fabbriche piccole o grandi
della provincia e dell'Italia. Ci dobbiamo rendere conto che la complessità
dello sviluppo economico fa decadere interi settori produttivi come la carta,
le pelli o il vetro in Valdinievole e ne fa sorgere altri. Ebbene che fine
hanno fatto gli archivi di tante cartiere e vetrerie di Pescia? Da diversi anni
ricerco affannosamente l'archivio delle Terme di Montecatini e non sono
riuscito a sapere dove sia né chi lo conservi...
Da questi e molti altri
interrogativi che potrei aggiungere, ma mi fermo per brevità, si intuisce che
le fonti che finora abbiamo utilizzato per quanto riguarda il quadro economico
sociale e politico in cui si è realizzata la Resistenza sono una parte minima,
quasi infinitesima, rispetto a quelle che dovremmo consultare e livello
generale e locale.
Ma anche le fonti stesse
sulla Resistenza armata (1943-45) finora impiegate soffrono spesso di essere di
provenienza unilaterale e spesso di carattere memorialistico come in fin dei
conti risultano essere le relazioni delle formazioni partigiane.
Per quanto riguarda la
Resistenza toscana se si esclude il saggio della Gasparri su Siena non si è
fatto il raffronto con le relazioni e i dispacci giornalieri dei reparti
tedeschi. Questo raffronto è molto importante per fissare esattamente la data,
il luogo e le dimensioni delle perdite subite da ambo le parti.
Finora si sono utilizzate
le fonti della G.N.R., ma queste fonti sono spesso incomplete perché la G.N.R.,
almeno in Toscana, non era così numerosa e ramificata come i reparti della Wehrmacht
tedesca sul territorio.
Se noi guardiamo alla
maniera tacitiana "sine ira et studio" il problema della
formazione delle relazioni partigiane per quanto riguarda la Toscana noi ci
troviamo in una serie di difficoltà.
Le fonti realmente
simultanee agli avvenimenti (non uso la parola "coeva" dal momento
che può generare ed ha generato ambiguità) sono già state impiegate ma in modo
discontinuo. T. Gasparri per Siena, G. Petracchi per il periodo fino 1944-45
per le fonti americane etc.
Sono convinto che vada
fatto tutto un lavoro di studio su questo tipo di fonti, cioè le relazioni dei
reparti partigiani, che vada a vedere come sono nati e perché.
Per quanto riguarda la
provincia di Pistoia le prime relazioni nacquero da una precisa sollecitazione
dell'Autorità militare alleata, del Governatore alleato che chiese ai capi
partigiani di fornire le relazioni della loro attività.
Negli archivi
del C.N.L. di Pistoia ne sono conservate tre e sono dell'ottobre 1944. Sono
convinto che lo studio comparato fra queste relazioni (primigenie) e il
proliferare delle successive relazioni (diverse decine) ci permetterà di fare
un preciso passo avanti per capire, in primo luogo, come si evolveva la
situazione politica a livello locale. Così facendo cominciano a nascere i primi
problemi storiografici.
Primo fra tanti quello
della esistenza o meno del comando unificato della XII zona e se questo c'è
stato a quando è possibile far risalire il primo assetto unitario delle
formazioni partigiane?
In secondo luogo, in quanto
è possibile far coincidere l'inquadramento delle formazioni partigiane in unità
regolari dell'esercito come si è cercato di fare incomprensibilmente per motivi
politici successivi dai governi del C.L.N.?
Il movimento partigiano
italiano come qualsiasi altro movimento partigiano di altri paesi e di
qualsiasi epoca una volta che ha vinto si cerca di farlo passare per un
esercito regolare, ma sul piano storiografico questo comporta complesse
ricerche e svariati problemi collegati col suo "divenire", la sua
trasformazione in un vero e proprio esercito regolare come può essere stato ad
esempio quello jugoslavo o quello cubano in epoca successiva.
Nel Nord questo processo
ebbe un maggior lasso di tempo per farlo, in Toscana il processo è spesso a
metà del suo cammino. Forse è solo nelle formazioni maggiori come può essere
quelle di "Pippo" o nella "Bozzi" che può dirsi quasi
concluso.
Un terzo problema è quello
relativo al numero delle formazioni partigiane realmente operanti sul
territorio perché ad esempio le formazioni anarchiche non hanno fornito la
relazione della loro attività per motivi ideologici. Esse infatti non potevano
accettare di riconoscere lo stato in quanto tale qualunque fosse la sua forma
istituzionale.
Ma i problemi non sono
affatto finiti qui perché ci sono formazioni partigiane a partire da quella di
Silvano Fedi che hanno fatto ben tre relazioni abbastanza diverse perché coloro
che l'avevano organizzata (Silvano Fedi e Tiziano Palandri) alla fine non
c'erano o perché erano morti come Silvano Fedi o se ne erano allontanati finendo
da altra parte come Tiziano Palandri. Chi ha firmato la relazione all'inizio
non c'era e aveva solo sentito parlare da altri dei fatti narrati.
Ci sono poi formazioni che
per suggestioni politiche di varia natura non hanno incluso determinati fatti.
Ad esempio, la
"Fantacci" ha due diverse relazioni: una che ho pubblicato ed una che
mi è stata fornita dopo molti anni da Attilio Ciantelli in cui viene inserito
l'episodio in cui furono fucilati tre partigiani sovietici perché avevano
rubato orologi dopo l'uscita del vespro agli abitanti di un paese della
Montagna. Ciantelli dovette ordinare la loro fucilazione sia per mantenere la
disciplina sia per tenere alto il valore morale della lotta resistenziale.
Episodi poco simpatici
avvennero anche ad Agliana e Lido Magni dovette procedere ad una integrazione
successiva che mi fu comunicata dopo la pubblicazione del mio libro Antifascismo
e Resistenza nel pistoiese.
Ci sono anche altri
problemi.
Solo nella relazione della
formazione "Montale" viene registrata la partecipazione ad una azione
partigiana di Agenore Dolfi, Segretario della Federazione del P.C.I. poi
fucilato dai suoi stessi compagni per divergenze politiche. Ci sono formazioni
con tanto di relazione e riconoscimenti su cui a mio giudizio è assai dubbia la
reale consistenza e contributo alla lotta.
Esistono poi numerose
contestazioni fra le varie formazioni spesso appartenenti a diverso
orientamento politico sulla partecipazione o meno a determinate azioni
militari. Valga fra tutte la contestazione fra le varie formazioni su chi aveva
compiuto una azione di guerra alla Croce di Chiazzano a stento messo in sordina
dalla Commissione regionale per il riconoscimento della qualifica di
partigiano.
Molte, infinite
contestazioni, sulla partecipazione dei singoli resistenti nascono proprio dal
decreto del governo che riconosceva la qualifica di partigiano combattente a
chi era stato in formazione per sei mesi ed aveva partecipato ad almeno tre
azioni militari. È evidente che questo decreto suscitò, data la brevità della
lotta, numerosi problemi non nell'Italia settentrionale, ma in quella centrale
e quindi anche da noi.
Assieme a questo problema
c'è poi quello del riconoscimento dei gradi militari. Probabilmente anche
questa fu una delle ragioni del proliferare di tanti gruppi di combattimento e
cioè quello di dare un po' a tutti un riconoscimento del loro apporto alla
lotta comune.
C'è o meglio ci sono poi
altri problemi relativi alla composizione politica e sociale delle varie
formazioni e della loro direzione più o meno carismatica. Tutti questi problemi
hanno influito nella stesura delle varie relazioni nel mettere in rilievo
questa o quella persona, questa o quella azione militare o addirittura nel
tacerne alcune o altri fatti significativi.
Ci furono interminabili
discussioni all'interno delle varie formazioni per l'attribuzione di questa o
di quella azione a questa o quella persona il che aveva come conseguenza il
riconoscimento della qualifica di "partigiano combattente" oppure si
veniva retrocessi a semplici "patrioti". E così fu in molti casi
creando casi clamorosi di ingiustizie. Altre volte per sistemare diversi casi
dolorosi si attribuivano determinati meriti a semplici vittime della
repressione nazista o di fatti casuali.
Molto spesso si arrivò a
scontri fra varie formazioni per attribuirsi meriti dietro il quale a malapena
si nascondeva uno scontro fra tendenze politiche diverse. Scontro che si
protrasse per anni e fu una delle cause delle divisioni che sopravvennero fra
diverse organizzazioni partigiane.
Tutti questi problemi
sottolineano che i documenti vanno sempre verificati, contestualizzati,
interpretati. Non è che con questo si metta in dubbio il motivo fondamentale
dello scontro fra nazifascismo e Resistenza, ma ci aiuta a capire meglio il motivo
della influenza di certe forze politiche che si richiamavano alla Resistenza o
addirittura al passato nazifascista nel dopoguerra.
Queste
contraddizioni, lacune, omissioni più o meno volontarie che si notano nelle
relazioni delle formazioni partigiane pistoiesi così come le differenze nelle
concezioni generali sulla Resistenza a nostro giudizio non intaccano nella
essenza il giudizio morale e politico positivo che abitualmente si attribuisce
alla Resistenza. Semmai indicano la ricchezza delle motivazioni ideali e
politiche che hanno contribuito a creare il grande fenomeno sostanzialmente
unitario che ha dato origine alla Resistenza, primo grande moto veramente
popolare nella storia d'Italia. La Resistenza ha avuto come conseguenza logica
la fondazione della nostra Repubblica democratica in cui si riconosce la
maggioranza del popolo italiano.
Dispiace ricordare che
questi problemi di carattere metodologico oggi a Pistoia non sia più possibile
dibatterli perché è venuta a mancare la rivista "Farestoria" che
per diversi anni aveva suscitato animati dibattiti e l'interesse più vasto.
Approfitto dell'occasione per sollecitare la ripresa delle pubblicazioni sia
pure con una veste rinnovata. Mi auguro che l'Istituto per la Resistenza si
faccia parte promotore di questa iniziativa come dimostra la presenza di tanti
a questo nostro convegno.
Renato Risaliti
Questo articolo è riproducibile parzialmente o totalmente previo consenso o citazione esplicita dell'Autore e della fonte da cui è tratto.
*
Iniziamo questo blog AsperaPrometeo con l' intervento d'apertura della sessione di giugno 2001 del Prof. Renato Risaliti al Convegno pistoiese "Resistenza nazionale e locale: apologia o libera ricerca? Le Fonti e metodi della ricerca storica" organizzato dall' Associazione Culturale Proteo Pistoia (ricordiamo che l'intervento d'apertura della sessione di settembre Resistenza nazionale e locale: le fonti e metodi della ricerca storica fu tenuto dal Prof. Giorgio Petracchi).
Il Convegno, i cui Atti furono pubblicati nel 2003, svoltosi a livello toscano ebbe notevole eco negli ambienti storici, venne recensito in varie successive pubblicazioni e considerato un punto di svolta circa gli studi di storia locale sulla Resistenza.
Renato Risaliti. Pistoiese, ha una lunga
frequentazione della Russia; ancora ventenne si iscrisse all'Università di
Mosca dove si laureò in Storia moderna. Successivamente si è laureato in
Letteratura russa all'Istituto Orientale di Napoli. Ha insegnato letteratura
russa all'Università di Pisa ed è ora docente emerito di Storia dell'Europa Orientale all'Università di Firenze. Come
slavista e storico dei rapporti italo-russi ha al suo attivo numerosissime pubblicazioni delle quali daremo qui conto nei post dedicati al mondo slavo. Tra gli altri scritti di Risaliti ricordiamo inoltre: La formazione del PCI a Pistoia (1970); La lotta
sociale e politica a Pistoia dal dicembre 1918 al luglio 1920 (1970); Il
movimento socialista a Pistoia durante la prima guerra mondiale (1970); Umanesimo
e patriottismo internazionalistico dei resistenti pistoiesi (1971); Antifascismo
e Resistenza nel pistoiese (1976); Licio Gelli : a carte scoperte
(1991); Alla ricerca del paese felice (1999); Don Giuliano Mazzei: la vita e le opere
(2000) ecc. ecc.Collabora a varie riviste
italiane ed estere. E' Presidente dell'Associazione Culturale Prometeo Pistoia.
per l' Associazione Culturale Prometeo, l'Amministratore del blog
AsperaPrometeo: Carlo O. Gori
per l' Associazione Culturale Prometeo, l'Amministratore del blog
AsperaPrometeo: Carlo O. Gori
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