sabato 16 marzo 2013

Renato Risaliti. Resistenza nazionale e locale: apologia o libera ricerca? (2001)


Resistenza nazionale e locale: apologia o libera ricerca? *

La Resistenza nazionale e locale. Incominciamo ad entrare nel merito del nostro tema. Partirò da una considerazione che meraviglierà gli amici che mi hanno conferito il gravoso compito di tenere questa relazione. Vi confesserò che il titolo l' ho trovato un po' riduttivo del grande fenomeno della Resistenza perché il titolo sembra misconoscere l'aspetto internazionale se non internazionalistico della Resistenza che è un fenomeno europeo e asiatico. Dirò subito che la Resistenza europea ha avuto processi simili ma anche diversi fra i vari paesi.
Nell'Est europeo, se si eccettuano i paesi di vecchia appartenenza all'area culturale occidentale (Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria), netta è stata la prevalenza dei comunisti a partire dal 1942-43 nella Resistenza. Nei Balcani l'egemonia comunista fu netta.
La Resistenza italiana, dato il carattere dell'Italia di paese fascista e aggressore, nasce dopo, ma si sviluppa con ritmi impressionanti fino ad essere una delle Resistenze più significative in Europa.
C'è stato un lungo periodo di tempo in cui la Resistenza si intendeva in senso assai ristretto cioè si includevano fra i resistenti solo i partigiani combattenti in Italia. Automaticamente veniva mutilata nei suoi vari aspetti. Si escludevano di fatto i soldati italiani deportati nei lager nazisti, i partigiani italiani che avevano combattuto nei Balcani, si taceva il contributo dato dai Gruppi di Combattimento. Negli ultimi anni queste lacune sono state riempite. Oggi abbiamo un quadro più completo di tutta la complessità della Resistenza italiana.
Detto questo è necessario sottolineare che la opportunità di questo convegno nasce dall'attacco che da diversi anni viene compiuto in maniera chiara, ma più spesso in modo subdolo, contro gli aspetti, anzi, la concezione fondamentale della Resistenza.
Ci dobbiamo chiedere: le persone che in tutto il mondo hanno lottato contro le concezioni fasciste e totalitarie e più ancora contro il dominio mondiale del nazismo per che cosa hanno combattuto? Contro che cosa si sono opposti? Perché poi la Resistenza ha vinto? Spesso si dimenticano le ragioni profonde della vittoria.
A questa visione si oppone infatti il cosiddetto "revisionismo storico".
Ora la parola "revisionismo" è di per sé una parola dotata di una certa ambiguità di fondo. E' evidente che ogni ricerca storica non può non essere una "revisione" (e quindi revisionistica) di idee precedenti che erano o sembravano certezze. Ma la ricerca revisionistica non può astrarre dai documenti, deve essere fondata sui  documenti che devono essere attentamente vagliati, contestualizzati, interpretati e inquadrati in una visione oggettiva dello sviluppo storico.
Come tutti possono capire fare questo lavoro non è semplice perché gli stessi documenti storici devono essere autentici e veri. Infatti ci possono essere documenti autentici che possono essere falsi perché chi li ha scritti nel corso della lotta poteva avere interesse a dire cose false per ottenere la vittoria o quantomeno indurre in errore il nemico. A maggior ragione possono essere parzialmente o del tutto falsi documenti scritti dopo la Resistenza pur essendo autentici perché chi li ha scritti poteva avere altri fini da conseguire.
Tuttavia, l'attacco contro la Resistenza prosegue incessantemente da quando la lotta era ancora in corso. Negli ultimi anni, però, a livello internazionale c'è stata una svolta.
Si è cercato di negare l'accadimento di fatti storici che non possono essere messi in dubbio a partire da quello dell'Olocausto. Infatti, si sono trovati illustri o meno illustri studiosi che hanno negato chiaro e tondo che non c è stato nessun Olocausto e nei lager nazisti non sono accaduti tanti orrori, ma erano quasi luoghi di villeggiatura. Io ho un'età che quando ho visto tornare dalla prigionia tanti nostri ex militari e civili che per tanti motivi vi erano stati inviati, ho ben sentito ripetere una infinità di volte gli stessi orrori dai sopravvissuti  appena tornati.  Allora non potevo neanche immaginare che si giungesse a tanta distorsione della verità.
Ma torniamo al nostro tema. Per alcuni decenni la storiografia sulla Resistenza è stata sostanzialmente unita sul concetto di Resistenza come secondo Risorgimento cioè una lotta per conseguire di nuovo la perduta indipendenza in seguito alle criminali aggressioni compiute dal fascismo italiano (Etiopia, Spagna, Albania, Grecia, Jugoslavia, U.R.S.S.) da solo o in combutta coi nazisti tedeschi. La famosa "guerra parallela" di Mussolini si era rapidamente rivelata un misero bluff e l'Italia da partner nell'Asse si era molto presto trasformata in un satellite della Germania hitleriana.
Nel 1943 dopo lo sbarco alleato in Sicilia la disfatta militare dell'Italia è inevitabile e imminente. Questa tragedia provoca la crisi dei vertici e la diarchia che aveva governato l'Italia per venti anni (Re e Duce) si rompe. Il Re approfittando della sfiducia del Gran Consiglio al Duce fa arrestare Mussolini e nomina il maresciallo Badoglio capo del Governo. Si cerca di trasformare la dittatura fascista in dittatura militare che non tarda a reprimere con la forza molte manifestazioni di piazza. Badoglio cerca di trattare la resa con gli alleati, ma questi accettano solo la resa incondizionata del nostro paese.
L'Italia con questo atto perdeva la sua indipendenza, era alla mercé degli alleati. Altra scelta non c’era. Continuare la guerra significava condannare l'Italia alla rovina bellica. In questo momento supremo il re e Badoglio dopo aver firmato la resa fuggono ignominiosamente lasciando l'esercito senza ordini precisi. L'esercito italiano, già demoralizzato e senza ideali, si sfalda rapidamente, in poco più di 48 ore!
Coloro che si erano pasciuti per decenni con la parola "patria" dimostrano la loro pusillanimità. In questa ora della massima abiezione della nazione nel momento in cui questa sembra scomparsa, nuclei di soldati e anche ufficiali e popolani da Roma a Pistoia si armano e in un impeto di disperato eroismo, si immolano per resuscitare la patria. In questo ha ragione il Presidente Ciampi quando afferma che l'8 settembre 1943 non è la fine della Patria, ma al contrario è l'inizio della sua resurrezione. Da qui nasce la concezione giusta della Resistenza come Secondo Risorgimento. Purtroppo questa concezione è monca perché non prende atto di altri aspetti.
Ma uno storico come Claudio Pavone nel suo libro Una guerra civile fa un passo avanti rispetto alla concezione della Resistenza come Secondo Risorgimento. Perché? Perché in seguito alla mancata difesa di Roma l'Italia è occupata da eserciti stranieri che si contrappongono sul piano ideale in modo chiaro e netto. Gli eserciti alleati si battono per la restaurazione dei diritti dei popoli e della democrazia, l'esercito nazifascista tedesco che occupa il centro nord dell'Italia vuole affermare la superiorità della razza ariana, del popolo tedesco sugli altri, è contro la democrazia e le libertà democratiche.
Nel Sud esiste un governo regio che simbolizza la continuità dello stato italiano nella figura del re, della sua amministrazione che in molte province si esplica come se nulla fosse accaduto. Si vivono mesi irreali, si finge che nulla sia accaduto fino a che non arriverà la svolta di Salerno.
Nel Centro Nord invece i nazisti tedeschi che hanno liberato Mussolini danno vita alla cosiddetta R.S.I. che servirà ai tedeschi per reprimere il sorgente movimento patriottico e per sfruttare il potenziale industriale italiano a fini bellici.
La Resistenza italiana attraversa il primo duro inverno 1943 -44 in una fase di organizzazione delle sue file.
Il popolo frattanto ha fatto conoscere qual era il suo orientamento con Cefalonia, la formazione delle divisioni Garibaldi in Jugoslavia, le Quattro giornate di Napoli, l'atteggiamento dei prigionieri italiani in Germania che erano circa 615.000. Questi prigionieri italiani posti di fronte all'alternativa di rimanere nel lager o arruolarsi nell'esercito della R.S.I. preferirono rimanere nei lager con percentuali superiori al 95%. Questi sono fatti inappellabili che dimostrano come la popolazione italiana nella sua enorme maggioranza ripudiava il fascismo compreso quello repubblicano.
Questo non significa che nel Centro Nord non ci sia stata una guerra civile. Ma se guerra civile ci fu - questa avvenne perché l'Italia settentrionale e parte di quella centrale era stata occupata dalla Wehrmacht, altrimenti i fascisti non avrebbero avuto né la forza né il coraggio di prendere le armi contro la grande maggioranza dei loro fratelli, asservendosi totalmente agli occupanti tedeschi. In ogni caso, se guerra civile ci fu, questa avvenne solo in una parte dell'Italia, mentre l'Italia tutta doveva riconquistare la propria indipendenza. Questo era il compito primario che unì tutti dai monarchici ai comunisti dopo Salerno e su questa base fu possibile arrivare al referendum Monarchia o Repubblica.
La lotta per la riconquista dell'indipendenza è prioritaria rispetto all'aspetto della guerra civile che per giunta non avvenne su tutto il territorio nazionale. Gli storici obiettivi non possono non tener conto di queste circostanze. Non solo! Lo scontro avvenne non solo nell'Italia occupata, ma anche sul fronte fra le truppe della R.S.I. e del Regio esercito.
E ora veniamo al terzo aspetto assunto dalla Resistenza quello della lotta sociale. Va subito precisato a scanso di equivoci che la lotta sociale si è verificata prima della stessa caduta del regime fascista.
Basti pensare agli scioperi del marzo 1943, i primi dopo circa venti anni di dittatura fascista e che sono il preannuncio dell'intervento della classe operaia nelle vicende nazionali successive con una forte voce autonoma.
Dopo l'8 settembre 1943 si hanno lotte sociali sia nell'Italia occupata dai nazifascisti (scioperi del marzo 1944) sia quella occupata dagli alleati (lotte per la terra in Sicilia e altre regioni, vari moti del pane a cominciare da quello di Sassari del gennaio i 944 guidati dal giovane Enrico Berlinguer che aveva compiuto la sua educazione politica sotto la "direzione" del pistoiese Renato Bianchi)
La differenza fondamentale fra le lotte sociali del Nord e del Sud consiste in questo: al Sud si tratta di contadini o plebe urbana affamata che trova sfogo nella riacquistata libertà, al Nord è la classe operaia che sciopera per il suo salario e contro l'occupazione straniera o contro la fasulla socializzazione della R.S.I., scioperi che si concluderanno col vittorioso sciopero insurrezionale dell'aprile 1945 e l'uccisione in maniera rivoluzionaria di Mussolini, principale responsabile della catastrofe nazionale.
Come pochi sanno il vero esecutore materiale della esecuzione di Mussolini fu l'operaio fiorentino Lampredi incaricato con ordine tassativo dal P.C.I. e personalmente da Luigi Longo.
Il nostro discorso sulle lotte sociali non può dirsi affatto concluso soprattutto per quanto riguarda la specificità sociale dell'Italia centrale che è poi la zona tradizionalmente mezzadrile. E' proprio nella calda estate 1944 ancora sotto l'occupazione tedesca che si gettano le basi delle differenziazioni sociali all'interno del C.L.N. a livello locale e nazionale. Si trattava di ordinare. la mietitura e battitura del grano nel momento in cui dopo la liberazione di Roma e lo sbarco alleato in Normandia 4-6 giugno 1944, le autorità della R.S.I. fuggono al Nord e lasciano vuoti anche formalmente gli uffici pubblici dei vari comuni delle campagne.
In questo frangente i partiti della sinistra pongono il problema del superamento della mezzadria di fatto, l'accantonamento del 5% del raccolto sulla base del 50% che andava detratto dalla quota padronale. Il 5% andava depositato in banca. P.C.I., P.S.I. e P.d'Az. si schierarono coi mezzadri, i liberali e anche la D.C. per il mantenimento dello status quo. Vinse la soluzione della sinistra, ma questo comportò anche scontri fisici nelle campagne fra i piccoli proprietari e le G.A.P.
A stento questi scontri non degenerarono.
Questo è un aspetto poco indagato anche perché nelle campagne spesso il fattore era stato anche il segretario del fascio. I proprietari delle fattorie in genere non si facevano vedere nelle nostre campagne. La mancanza di carbone da cucina provocò anche altre ordinanze partigiane. Intere macchie furono segate per dare la possibilità agli operai ed ai poveri di avere legna da ardere.
Tutti questi processi che avvenivano ancora sotto l'occupazione tedesca determinarono le prime differenziazioni nei programmi politici dei vari partiti. Ma c'era di più. Le città in previsione del passaggio del fronte che si pensava sanguinoso furono abbandonate in larga misura dagli abitanti, processo che era iniziato coi bombardamenti alleati del 1941-42. La situazione nel campo degli alloggi si aggravava di giorno in giorno. Solo il C.L.N. era in grado di prendere decisioni di governo e nei limiti consentiti dalla situazione lo fece, ed egregiamente.
Il movimento partigiano aveva a che fare anche con i problemi dell'ordine pubblico. Molti delinquenti comuni erano fuggiti o liberati dalle carceri e quindi spesso depredavano, uccidevano e vuotavano le banche fingendosi esponenti del movimento partigiano. Questo rappresentò un pericolo gravissimo per il prestigio e l'autorità del CNL nel popolo. Nella sostanza il movimento partigiano riuscì a far fronte a questa evenienza, ma non sempre ci riuscì.
Nel momento del trapasso del fronte si registrano quasi in ogni località tristi episodi di giustizia sommaria da parte di singoli elementi anarchico comunisti che volevano vendicarsi spesso ingiustamente di anni di umiliazioni e vessazioni.
Un aspetto importante della Resistenza italiana è quello del maggior peso politico anzi, del crescente peso politico e sociale dei C.L.N. man mano che il fronte si sposta verso Nord. Non solo, ma anche il crescente carattere unitario e più stretti rapporti con la popolazione. Mentre nel Sud ci sono stati episodi importanti, ma sporadici, di azione autonoma dei C.L.N. prima dell'arrivo degli alleati.
Basti pensare a questo proposito alla mancata liberazione di Roma da parte dei partigiani, fatto che si registra anche nelle città della Toscana meridionale.
A Siena ad esempio si è registrato un passaggio pacifico di poteri dalla R.S.I. ai partigiani.
A partire da Firenze, Prato, Pistoia il quadro cambia profondamente.
Sono i partigiani, i C.L.N. che occupano le città e si insediano nei centri del potere locale prima che giungano le truppe alleate. Quindi a partire dalle nostre zone la Resistenza è ormai matura e compie una vera rivoluzione politica nominando i poteri locali, licenziando molti funzionari fascisti fuggiti al Nord (e non solo) e nominando altri impiegati della pubblica amministrazione. In sostanza i C.L.N. agiscono come una vera autorità di governo. E' vero che in molti casi le autorità alleate modificarono in parte o completamente le decisioni, ma la rottura istituzionale avvenne in un modo lampante.
Passiamo ora ad esaminare il problema delle fonti sulla Resistenza, problema che a mio giudizio lascia un po' a desiderare.
Esistono ormai collezioni nazionali, regionali e provinciali che trattano diversi aspetti della Resistenza. E tuttavia rimane un grande lavoro di ricerca da fare. Molte fonti sono state pubblicate.
Sono soprattutto quelle americane, ma ne esistono ormai sfruttate tedesche ex orientali e occidentali.
Un grosso apporto lo hanno fornito quelle sovietiche dopo la caduta del regime sovietico. Sono certo che ci sono ancora molti archivi russi che nel futuro potranno darci molte sorprese perché una parte degli archivi della R.S.I. trasferiti in Germania furono catturati dai sovietici.
Poco sfruttati sono gli archivi inglesi i quali invece sono importantissimi almeno fino all'estate 1944 quando l'Italia da paese di prevalente influenza inglese diventa un paese che entra nella zona di influenza americana (Elliwood).
Occupiamoci ora delle fonti poco sfruttate che sono quelle jugoslave, greche di altri paesi balcanici, francesi, spagnole.
Credo che per i vari paesi esistano vuoti di ricerca clamorosi. Un po' dipende dalle forze scientifiche che si sono dedicate al problema ma anche dai mezzi finanziari, che non sono grandi, messi a disposizione dei ricercatori.
I contatti che ci sono stati fra i resistenti dei diversi paesi sono intensi. A volte si trovano delle connessioni inattese. Tuttavia, ritengo che ci siano fonti di carattere diplomatico che non sono state ancora utilizzate a partire dai rapporti degli ambasciatori e dei consoli dei paesi neutrali (Svizzera, Svezia, Turchia, Spagna, etc.). Finora è stata pubblicata solo qualche memoria di diplomatici di questi paesi. E invece si potrebbero fare delle ricerche sugli ambienti sia fascisti sia antifascisti.
Sono profondamente convinto che un materiale immenso non ancora conosciuto si trovi presso le organizzazioni e le istituzioni cattoliche. Basti pensare alle sorprese che potrebbero venire dagli archivi dello stato Vaticano.
E che dire poi degli archivi delle diocesi, delle parrocchie, dei conventi maschili e femminili il cui materiale giace spesso accatastato senza alcun inventario come succede spesso a partire da Pistoia? Tanto per fare un esempio mi era stato offerto di curare il diario di mons. Santin, arcivescovo di Trieste composto da oltre ventimila (dico ventimila!) pagine manoscritte e che per ora non ho accettato perché mi sento impari al gravoso compito.
E che dire infine degli archivi delle varie fattorie che ora si stanno disperdendo in mille rivoli e che invece rappresenterebbero delle fonti sulla situazione economica e sociale di primaria importanza. Personalmente da tempo ho fatto dei passi presso i Comuni e le biblioteche comunali , ma per ora non è in vista nessuna iniziativa.
Un po' meglio va la raccolta dei fondi di grandi fabbriche come ad esempio la ex San Giorgio (oggi Breda) qui a Pistoia. Ma nulla si sa di che fine hanno fatto o faranno gli archivi della S.M.I. della montagna o di tante altre fabbriche piccole o grandi della provincia e dell'Italia. Ci dobbiamo rendere conto che la complessità dello sviluppo economico fa decadere interi settori produttivi come la carta, le pelli o il vetro in Valdinievole e ne fa sorgere altri. Ebbene che fine hanno fatto gli archivi di tante cartiere e vetrerie di Pescia? Da diversi anni ricerco affannosamente l'archivio delle Terme di Montecatini e non sono riuscito a sapere dove sia né chi lo conservi...
Da questi e molti altri interrogativi che potrei aggiungere, ma mi fermo per brevità, si intuisce che le fonti che finora abbiamo utilizzato per quanto riguarda il quadro economico sociale e politico in cui si è realizzata la Resistenza sono una parte minima, quasi infinitesima, rispetto a quelle che dovremmo consultare e livello generale e locale.
Ma anche le fonti stesse sulla Resistenza armata (1943-45) finora impiegate soffrono spesso di essere di provenienza unilaterale e spesso di carattere memorialistico come in fin dei conti risultano essere le relazioni delle formazioni partigiane.
Per quanto riguarda la Resistenza toscana se si esclude il saggio della Gasparri su Siena non si è fatto il raffronto con le relazioni e i dispacci giornalieri dei reparti tedeschi. Questo raffronto è molto importante per fissare esattamente la data, il luogo e le dimensioni delle perdite subite da ambo le parti.
Finora si sono utilizzate le fonti della G.N.R., ma queste fonti sono spesso incomplete perché la G.N.R., almeno in Toscana, non era così numerosa e ramificata come i reparti della Wehrmacht tedesca sul territorio.
Se noi guardiamo alla maniera tacitiana "sine ira et studio" il problema della formazione delle relazioni partigiane per quanto riguarda la Toscana noi ci troviamo in una serie di difficoltà.
Le fonti realmente simultanee agli avvenimenti (non uso la parola "coeva" dal momento che può generare ed ha generato ambiguità) sono già state impiegate ma in modo discontinuo. T. Gasparri per Siena, G. Petracchi per il periodo fino 1944-45 per le fonti americane etc.
Sono convinto che vada fatto tutto un lavoro di studio su questo tipo di fonti, cioè le relazioni dei reparti partigiani, che vada a vedere come sono nati e perché.
Per quanto riguarda la provincia di Pistoia le prime relazioni nacquero da una precisa sollecitazione dell'Autorità militare alleata, del Governatore alleato che chiese ai capi partigiani di fornire le relazioni della loro attività.
Negli archivi del C.N.L. di Pistoia ne sono conservate tre e sono dell'ottobre 1944. Sono convinto che lo studio comparato fra queste relazioni (primigenie) e il proliferare delle successive relazioni (diverse decine) ci permetterà di fare un preciso passo avanti per capire, in primo luogo, come si evolveva la situazione politica a livello locale. Così facendo cominciano a nascere i primi problemi storiografici.
Primo fra tanti quello della esistenza o meno del comando unificato della XII zona e se questo c'è stato a quando è possibile far risalire il primo assetto unitario delle formazioni partigiane?
In secondo luogo, in quanto è possibile far coincidere l'inquadramento delle formazioni partigiane in unità regolari dell'esercito come si è cercato di fare incomprensibilmente per motivi politici successivi dai governi del C.L.N.?
Il movimento partigiano italiano come qualsiasi altro movimento partigiano di altri paesi e di qualsiasi epoca una volta che ha vinto si cerca di farlo passare per un esercito regolare, ma sul piano storiografico questo comporta complesse ricerche e svariati problemi collegati col suo "divenire", la sua trasformazione in un vero e proprio esercito regolare come può essere stato ad esempio quello jugoslavo o quello cubano in epoca successiva.
Nel Nord questo processo ebbe un maggior lasso di tempo per farlo, in Toscana il processo è spesso a metà del suo cammino. Forse è solo nelle formazioni maggiori come può essere quelle di "Pippo" o nella "Bozzi" che può dirsi quasi concluso.
Un terzo problema è quello relativo al numero delle formazioni partigiane realmente operanti sul territorio perché ad esempio le formazioni anarchiche non hanno fornito la relazione della loro attività per motivi ideologici. Esse infatti non potevano accettare di riconoscere lo stato in quanto tale qualunque fosse la sua forma istituzionale.
Ma i problemi non sono affatto finiti qui perché ci sono formazioni partigiane a partire da quella di Silvano Fedi che hanno fatto ben tre relazioni abbastanza diverse perché coloro che l'avevano organizzata (Silvano Fedi e Tiziano Palandri) alla fine non c'erano o perché erano morti come Silvano Fedi o se ne erano allontanati finendo da altra parte come Tiziano Palandri. Chi ha firmato la relazione all'inizio non c'era e aveva solo sentito parlare da altri dei fatti narrati.
Ci sono poi formazioni che per suggestioni politiche di varia natura non hanno incluso determinati fatti.
Ad esempio, la "Fantacci" ha due diverse relazioni: una che ho pubblicato ed una che mi è stata fornita dopo molti anni da Attilio Ciantelli in cui viene inserito l'episodio in cui furono fucilati tre partigiani sovietici perché avevano rubato orologi dopo l'uscita del vespro agli abitanti di un paese della Montagna. Ciantelli dovette ordinare la loro fucilazione sia per mantenere la disciplina sia per tenere alto il valore morale della lotta resistenziale.
Episodi poco simpatici avvennero anche ad Agliana e Lido Magni dovette procedere ad una integrazione successiva che mi fu comunicata dopo la pubblicazione del mio libro Antifascismo e Resistenza nel pistoiese.
Ci sono anche altri problemi.
Solo nella relazione della formazione "Montale" viene registrata la partecipazione ad una azione partigiana di Agenore Dolfi, Segretario della Federazione del P.C.I. poi fucilato dai suoi stessi compagni per divergenze politiche. Ci sono formazioni con tanto di relazione e riconoscimenti su cui a mio giudizio è assai dubbia la reale consistenza e contributo alla lotta.
Esistono poi numerose contestazioni fra le varie formazioni spesso appartenenti a diverso orientamento politico sulla partecipazione o meno a determinate azioni militari. Valga fra tutte la contestazione fra le varie formazioni su chi aveva compiuto una azione di guerra alla Croce di Chiazzano a stento messo in sordina dalla Commissione regionale per il riconoscimento della qualifica di partigiano.
Molte, infinite contestazioni, sulla partecipazione dei singoli resistenti nascono proprio dal decreto del governo che riconosceva la qualifica di partigiano combattente a chi era stato in formazione per sei mesi ed aveva partecipato ad almeno tre azioni militari. È evidente che questo decreto suscitò, data la brevità della lotta, numerosi problemi non nell'Italia settentrionale, ma in quella centrale e quindi anche da noi.
Assieme a questo problema c'è poi quello del riconoscimento dei gradi militari. Probabilmente anche questa fu una delle ragioni del proliferare di tanti gruppi di combattimento e cioè quello di dare un po' a tutti un riconoscimento del loro apporto alla lotta comune.
C'è o meglio ci sono poi altri problemi relativi alla composizione politica e sociale delle varie formazioni e della loro direzione più o meno carismatica. Tutti questi problemi hanno influito nella stesura delle varie relazioni nel mettere in rilievo questa o quella persona, questa o quella azione militare o addirittura nel tacerne alcune o altri fatti significativi.
Ci furono interminabili discussioni all'interno delle varie formazioni per l'attribuzione di questa o di quella azione a questa o quella persona il che aveva come conseguenza il riconoscimento della qualifica di "partigiano combattente" oppure si veniva retrocessi a semplici "patrioti". E così fu in molti casi creando casi clamorosi di ingiustizie. Altre volte per sistemare diversi casi dolorosi si attribuivano determinati meriti a semplici vittime della repressione nazista o di fatti casuali.
Molto spesso si arrivò a scontri fra varie formazioni per attribuirsi meriti dietro il quale a malapena si nascondeva uno scontro fra tendenze politiche diverse. Scontro che si protrasse per anni e fu una delle cause delle divisioni che sopravvennero fra diverse organizzazioni partigiane.
Tutti questi problemi sottolineano che i documenti vanno sempre verificati, contestualizzati, interpretati. Non è che con questo si metta in dubbio il motivo fondamentale dello scontro fra nazifascismo e Resistenza, ma ci aiuta a capire meglio il motivo della influenza di certe forze politiche che si richiamavano alla Resistenza o addirittura al passato nazifascista nel dopoguerra.
Queste contraddizioni, lacune, omissioni più o meno volontarie che si notano nelle relazioni delle formazioni partigiane pistoiesi così come le differenze nelle concezioni generali sulla Resistenza a nostro giudizio non intaccano nella essenza il giudizio morale e politico positivo che abitualmente si attribuisce alla Resistenza. Semmai indicano la ricchezza delle motivazioni ideali e politiche che hanno contribuito a creare il grande fenomeno sostanzialmente unitario che ha dato origine alla Resistenza, primo grande moto veramente popolare nella storia d'Italia. La Resistenza ha avuto come conseguenza logica la fondazione della nostra Repubblica democratica in cui si riconosce la maggioranza del popolo italiano.
Dispiace ricordare che questi problemi di carattere metodologico oggi a Pistoia non sia più possibile dibatterli perché è venuta a mancare la rivista "Farestoria" che per diversi anni aveva suscitato animati dibattiti e l'interesse più vasto. Approfitto dell'occasione per sollecitare la ripresa delle pubblicazioni sia pure con una veste rinnovata. Mi auguro che l'Istituto per la Resistenza si faccia parte promotore di questa iniziativa come dimostra la presenza di tanti a questo nostro convegno.

                                                                                             


                                 Renato Risaliti






Questo articolo è riproducibile parzialmente o totalmente previo consenso o citazione esplicita dell'Autore  e della fonte da cui è tratto.





Iniziamo questo blog AsperaPrometeo con l' intervento d'apertura della sessione di giugno 2001 del Prof. Renato Risaliti al Convegno pistoiese "Resistenza nazionale e locale: apologia o libera ricerca? Le Fonti e metodi della ricerca storica" organizzato dall' Associazione Culturale Proteo Pistoia (ricordiamo che l'intervento d'apertura della sessione di settembre Resistenza nazionale e locale: le fonti e metodi della ricerca storica fu tenuto dal Prof. Giorgio Petracchi).
Il Convegno, i cui Atti furono pubblicati nel 2003, svoltosi a livello toscano ebbe notevole eco negli ambienti storici, venne recensito in varie successive pubblicazioni  e considerato un punto di svolta circa gli studi di storia locale sulla Resistenza.
Renato Risaliti. Pistoiese, ha una lunga frequentazione della Russia; ancora ventenne si iscrisse all'Università di Mosca dove si laureò in Storia moderna. Successivamente si è laureato in Letteratura russa all'Istituto Orientale di Napoli. Ha insegnato letteratura russa all'Università di Pisa ed  è ora docente emerito di Storia dell'Europa Orientale all'Università di Firenze. Come slavista e storico dei rapporti italo-russi ha al suo attivo numerosissime  pubblicazioni delle quali daremo qui conto nei post dedicati al mondo slavo. Tra gli altri scritti di Risaliti ricordiamo inoltre: La formazione del PCI a Pistoia (1970); La lotta sociale e politica a Pistoia dal dicembre 1918 al luglio 1920 (1970); Il movimento socialista a Pistoia durante la prima guerra mondiale (1970); Umanesimo e patriottismo internazionalistico dei resistenti pistoiesi (1971); Antifascismo e Resistenza nel pistoiese (1976); Licio Gelli : a carte scoperte (1991); Alla ricerca del paese felice (1999);  Don Giuliano Mazzei: la vita e le opere (2000) ecc. ecc.Collabora a varie riviste italiane ed estere. E' Presidente dell'Associazione Culturale Prometeo Pistoia.

                                    per l' Associazione Culturale Prometeo, l'Amministratore del blog         
                                                          AsperaPrometeo:  Carlo O. Gori        
          










Claudio Gerati piace questo elemento.

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