Il garibaldino e letterato Giuseppe Guerzoni così ricorda la battaglia
di Bezzecca, unica vittoria italiana nella guerra del 1866 che, pur
malcondotta, fruttò la liberazione del Veneto: “…la strada di Triarno
è tempestata dai proiettili nemici, e Garibaldi è il più …cercato bersaglio ...
suoi aiutanti Cairoli, Albanese, Damiani, Miceli, Cariolato, Civinini, gli
fanno scudo dei loro corpi…”.
Allora Giuseppe Civinini aveva trentun anni, era da pochi mesi
deputato pistoiese al Parlamento nazionale, e pur essendosi opposto ad una
guerra che, come lui disse, “…dà intero il paese in mano a La Marmora ed ai
suoi compari [che] daranno all'Italia una seconda Novara”, aveva sentito il
dovere di arruolarsi, al contrario di molti altri bellicisti, non ultimo il Carducci,
in quel tempo professore a Bologna, che in quei frangenti aveva scritto:
“Guerra a' tedeschi, immensa eterna guerra”, ma che non si era sognato, né nel
1859, né allora, di partire.
Anche questo spiega l'uomo Giuseppe Civinini che ebbe vita breve,
ma coraggiosa ed intensa che lo vide rivestire vari ruoli: cospiratore mazziniano,
ufficiale garibaldino, massone, giornalista noto, abile e polemico, uomo di
Sinistra e poi di Destra, politico e deputato appassionato e discusso.
Una personalità complessa, non esente da contraddizioni, che
tuttavia, elevandosi dall'ambito pistoiese ad una dimensione nazionale,
attraversa gli anni della formazione dello Stato unitario, se non da
protagonista, non certo da anonima comparsa.
In tal senso riteniamo, senza far torto a figure come Atto
Vannucci, o Gherardo Nerucci, o padre Angelico Marini, o ad altri degni di
nota, che Giuseppe Civinini, con il poeta estemporaneo Bartolomeo Sestini
(1792-1822), infaticabile organizzatore carbonaro in tutta la Penisola, con
l’intellettuale e filantropo Niccolò Puccini (1799-1852), corrispondente di italiani illustri e
organizzatore della nota “Festa delle spighe”
e con il famoso poeta monsummanese Giuseppe Giusti (1809-1850), sia
tra le poche figure di pistoiesi o del territorio pistoiese che abbiano
raggiunto nel periodo risorgimentale una dimensione
ed un rilievo apprezzabile a livello “nazionale”.
Giuseppe nasce l’11 aprile 1835 a Pisa, da genitori pistoiesi:
Gioconda Marini e Filippo Civinini. La famiglia è colta e discretamente
benestante: il padre Filippo era allora uno dei più illustri nomi del mondo
scientifico italiano, testimonianza viva con Filippo Pacini (1812-1883) ed Atto
Tigri (1813-1875) della straordinaria fioritura che in campo medico-scientifico
si ebbe a Pistoia nell’arco del XIX secolo. Si era formato a Università di Pisa
in anatomia, fisiologia e chirurgia, aveva poi svolto per tre anni l’incarico
di medico chirurgo a Pistoia, tornato poi a Pisa aveva fondato il gabinetto
fisio-patologico ed era divenuto docente di anatomia in quell’Università.
Autore di celebri pubblicazioni mediche pur di rimanere in Toscana aveva
rifiutato prestigiosi incarichi ad Atene e Parigi.
Filippo Civinini muore l’11 marzo 1844: la madre, con Giuseppe che
ha appena nove anni e con la figlia minore Giulia (da adulta conosciuta in
Pistoia, come poetessa e dirigente scolastica col cognome Civinini-Arrighi) torna allora a Pistoia, luogo che Civinini,
come notò Pietro Paolini, “...amò e predilesse e considerò sempre per ius
sanguinis come la sua vera città”.
Pistoia è un piccolo capoluogo del Granducato di Toscana allora
governato da Leopoldo II d’Asburgo Lorena, cugino primo dell’imperatore d’Austria
Ferdinando I, popolarmente e bonariamente soprannominato Canapone per via dei
biondissimi capelli, un sovrano che seguendo la politica del padre Ferdinando
III, (che a Restaurazione trionfante non aveva effettuato diffuse epurazioni o
clamorose e sanguinose vendette verso coloro che avevano collaborato col
governo francese) compatibilente con obblighi politico-dinastici, aveva
dimostrato di voler rendere il suo Stato quanto più possibile indipendente
dalla potente “casa madre” viennese, e a differenza degli altri sovrani
peninsulari, sovente zelanti esecutori dei diktat repressivi imperiali, si era
distinto per una politica abbastanza tollerante. In sostanza nel
Granducato, anche sotto Leopoldo II, si vorrà continuare a dimostrare a Vienna un
soddisfacente zelo inquisitorio anche se, per intelligente scelta politica, non
si vorranno creare martiri: spesso in cambio della delazione si prometterà ai patrioti
arrestati riduzione di pena o libertà.
L’intellettuale e politico fiorentino-monsummanese Ferdinando
Martini, gettando lo sguardo sul variegato panorama degli stati italiani del
tempo (da vari punti di vista generalmente sconfortante) e considerando le
importanti riforme politiche-amministrative-economiche-sociali, (promosse sì
dai Lorena, ma sollecitate ed attuate da un ceto dirigente toscano intelligente
e colto) valutata la tolleranza dei sovrani, sopravvalutata l’importanza
economica della mezzadria, descriverà ottimisticamente la Toscana di quegli
anni come la “terra di Bengodi”, ma sul piano economico-sociale, se
prescindiamo dalle condizioni dal ristretto mondo dei ceti abbienti, o
quantomeno benestanti, e scendiamo ad osservare lo stato effettivo delle masse
popolari vediamo che, anche a Pistoia, come nel resto del Granducato, solo
pochi hanno i mezzi per vivere in modo decente, molti sono i nullafacenti,
moltissimi gli analfabeti, precarie le condizioni generali della sanità,
diffusi i reati di vario tipo, ma non frequenti i delitti. E’ vero che in molti
altri Stati italiani, salvo poche eccezioni, si sta, da questo punto di vista,
forse peggio, ma questo è un altro discorso.
L’economia prevalente del territorio pistoiese è quella agricola,
ma è una agricoltura poco sviluppata, con poche grandi proprietà: i possidenti
nobili e altoborghesi abitano in città, e investono poco in migliorie affidando
i loro terreni a mezzadri che vivono soprattutto di monoculture (grano,
granturco, fagioli) e che sono quasi sempre in crisi per eventi quali siccità o
alluvioni.
Vi è anche una modesta industria serica, mentre, nel centro
cittadino esistono piccole imprese artigiane, soprattutto chiodifici con in
media 10 addetti. Molti altri lavorano in città come domestici (giardinieri,
camerieri, cuochi ecc.) nelle case dei 360 possidenti terrieri che vivono di
rendita, ci sono poi i commercianti e i piccoli artigiani delle botteghe (osti,
barbieri, merciai, ecc.) , molti sono i membri del clero e gli impiegati (di
basso livello) nelle amministrazioni civili e militari, non tantissimi i
professionisti (medici, professori, avvocati, ingegneri).
Sul piano politico-culturale emerge, fin dal tempo delle riforme
ricciane del 1786 e poi della presenza francese, una costante dicotomia, fra
città, disposta ad aprirsi al “nuovo”, e campagna, tendenzialmente
“conservatrice”, aspetto del resto rilevabile in un singolare assetto
amministrativo creato dal Granduca nel 1774 e durato fino al 1877: da una parte
un comune “cittadino” delimitato dalle mura, dall’altra le “cortine”: quattro
comuni (P.ta al Borgo, P.ta Lucchese, P.ta S. Marco e P.ta Carratica) i cui
confini iniziavano dai sobborghi e finivano nel contado o nella montagna.
In una Pistoia, storicamente definita “faziosa”, spiccheranno
anche nel corso del Risorgimento, profonde divisioni politiche: i
filogranducali, soprattutto notabili e patriziato, più o meno “illuminati” a
seconda dei momenti; i cattolici, preti compresi, non pochi inizialmente,
sull’onda delle riforme introdotte da Pio IX nel 1947-48, favorevoli
all’ipotesi patriottica neo-guelfa (federazione di stati italiani sotto la
guida del papa), poi in gran parte riassorbiti dalla destra “clericale”
antiunitaria; i liberali moderati, generalmente di ceto medio-alto; ed infine i
democratici, per lo più intellettuali delle professioni ed artigiani, vivace e
consistente componente “di sinistra” (radical-massoni, mazziniani, garibaldini,
ecc.) del periodo risorgimentale pistoiese.
In questo ambiente il giovane Civinini si dimostra indubbiamente
precoce: un rapporto riassuntivo sulla sua personalità stilato dalla Sottoprefetturadi
Pistoia nel 1863, quindi ad Unità avvenuta, ci dice che Giuseppe “…mostrò fin
da giovinetto svegliatissimo ingegno pronto e vivace” apprese ben presto in
Prato “i primi erudimenti dell’istruzione letteraria e religiosa”, poi come
esterno passò a studiare al Seminario di Pistoia che, con il liceo Forteguerri
di Piazza della Sapienza, era una delle maggiori e prestigiose scuole della
Toscana.
Arriva il 1847 ed in Toscana, nell'ambito del processo
riformatore suscitato in Italia dall'elezione di Papa Pio IX, il Granduca Leopoldo II il 6 maggio concede la libertà di
stampa che, pur mantenendo una censura preventiva, permette la pubblicazione di giornali
politici, e il 4 settembre viene creata la Guardia Civica. Nello
stesso periodo il Granducato di Toscana, lo Stato Pontificio e il Regno di
Sardegna firmano i Preliminari della Lega doganale, da tutti i patrioti salutata
come premessa di future maggiori integrazioni.
Preparati dai fermenti del 1847, scoppiano in Europa i moti del
1848: tremano gli autocrati, artefici e fautori della Reazione e della Santa
Alleanza, si solleva la stessa Vienna chiedendo riforme democratiche. La paura
che la situazione trascenda e che non solo la borghesia, ma anche i ceti
popolari entrino in scena, propugnando mutamenti, non soltanto di tipo
politico-giuridico-patriottico, ma di carattere economico-sociale è forte e
tangibile, non a caso il 21 febbraio 1848 appare nelle librerie di Londra Il
Manifesto del Partito Comunista scritto da Karl Marx e
Friedrich Engels che così inizia: “Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro del comunismo.
Tutte le potenze della vecchia Europa si sono coalizzate in una sacra caccia
alle streghe contro questo spettro: il papa e lo zar, Metternich e Guizot,
radicali francesi e poliziotti tedeschi.”
In Italia i sovrani, “restaurati” dal Congresso di Vienna del 1815
di fronte ai fermenti borghesi e popolari, o fuggono come i duchi
emiliani di Parma e Modena, o scelgono il male minore e sono costretti a concedere statuti e
costituzioni.
Mentre Milano e Venezia si ribellano con le armi al dominio
asburgico, Carlo Alberto sovrano del Regno di Sardegna, a cui molti patrioti
moderati italiani guardano con speranza come allo “stato guida” sulla via
dell’Unità, dichiara guerra all’Austria e dal Piemonte muove verso Milano
insorta e liberata dal moto popolare delle “Cinque Giornate”, definite proprio da
Engels “la più gloriosa” fra le rivoluzioni del 1848.
Civinini ha 13 anni ed è troppo giovane per unirsi ai 171 patrioti
pistoiesi che con i volontari “civici”, o con gli universitari toscani di Pisa
e di Siena, o con i soldati del generale Cesare De Laugier, inviati obtorto
collo da Leopoldo II a combattere sui campi lombardi contro l’Austria, si
distingueranno il 29 maggio 1848 nell’ impari quanto gloriosa battaglia di Curtatone Montanara che
consentirà l’effimera vittoria piemontese di Goito del giorno successivo. Tuttavia pur rimanendo
a Pistoia il ragazzo, politicamente precoce, si “dimostra caldissimo per i
politici avvenimenti e a infondere nei coetanei la scintilla di libertà”.
Nel Granducato il sovrano Leopoldo II, timoroso per gli sviluppi
ultra-democratici del processo riformatore toscano, dopo aver cercato in vari
modi di rimanere sul trono con l’appoggio del Regno Sardo, il 30
gennaio 1849 abbandona Firenze per rifugiarsi prima a Siena e poi, seguendo
l’esempio di Pio IX, nella fortezza napoletana di Gaeta, sotto la protezione
del Re delle Due Sicilie.
Ai primi di febbraio, mentre
a Roma viene proclamata la Repubblica Romana, a Firenze si crea un governo provvisorio
repubblicano guidato da un triumvirato formato da noti patrioti e dirigenti
democratici: lo scrittore livornese Francesco Domenico Guerrazzi, il
fucecchiese Giuseppe Montanelli, anch’egli scrittore, e l’avvocato pratese
Giuseppe Mazzoni.
In quel periodo denso di importanti avvenimenti Civinini, precoce
quanto fervente mazziniano, a quattordici anni aderisce alla “Giovine Italia”,
particolarmente attiva a Pistoia già dalla seconda metà del 1831, cioè da
quattro anni prima che Giuseppe nascesse, per l’attività di personaggi quali
Francesco Franchini, Baldastricca Tolomei, Giuseppe Betti, ecc.
L’esperienza repubblicana
toscana durò fino ad aprile quando, dopo la fine dell’Armistizio di Salasco, la
ripresa delle ostilità piemontesi contro l’Austria e la definitiva disfatta di
Carlo Alberto a Novara, i dirigenti moderati fiorentini (Capponi, Ricasoli,
Serristori, Torrigiani, Capoquadri, ecc.) rovesciarono, con un “golpe”
dell’esercito e della guardia nazionale, il governo Guerrazzi e per
evitare un'invasione austriaca, richiamarono il granduca, confidando che
avrebbe mantenuto le riforme. Speranza vana: il
comandante del corpo di spedizione austriaco in Toscana,
tenente-feldmaresciallo d'Aspre, cala da Parma con 18.000 uomini, vince la
fiera resistenza dei democratici livornesi bombardando, fucilando patrioti e
poi saccheggiando la città, infine occupa Firenze. Alcuni mesi più tardi
Leopoldo II in divisa da generale austriaco e scortato da truppe asburgiche,
torna in Toscana sbarcando a Viareggio: tutto ciò segna la fine della spontanea
simpatia che i toscani avevano fino ad allora riservato al “mite” sovrano
“Canapone”.
In Toscana è quindi, di nuovo, col sostegno delle armi austriache,
Restaurazione granducale. A Pistoia cadono uccisi dagli occupanti imperiali i
giovani martiri Attilio Frosini, Sergio Sacconi e Torello Biagioni ed insieme a
tanti altri patrioti anche l’appena quattordicenne Civinini diventa un “serio
pericolo” per l’ “ordine costituito” e viene attivamente ricercato per “lesa
maestà” dalla polizia granducale: aiutato dai suoi compagni di fede politica
riesce ad eludere gli zelanti sbirri toscani ed ad imbarcarsi per l’
Inghilterra rifugiandosi a Liverpool sotto il falso nome di John Smith.
Dal 1850 al 1857 per Civinini seguiranno, come vedremo, sette anni
di intensa attività cospirativa che lo vedranno alternarsi fra Toscana e
Piemonte, ospite frequente sia delle carceri granducali che di quelle del Regno
Sardo.
Con passaporto falso rientra infatti in Italia, e si stabilisce a
Genova, città tradizionalmente “rivoluzionaria” e grande porto del Regno di
Sardegna, dove è protetto dall’esule mazziniano pistoiese Francesco Franchini
(già combattente a Curtatone e ministro dell'istruzione del Governo Guerrazzi),
ma viene in seguito arrestato dalla polizia sabauda, guardinga ma
sostanzialmente tollerante verso i patrioti moderati quanto particolarmente
attiva contro i repubblicani: il governo granducale ottiene dal governo
piemontese l’estradizione di Civinini in Toscana. Il giovanissimo mazziniano
rimane in carcere per tre mesi e mezzo, ma “non parla”, tenendo fieramente
testa a inquirenti del “Buon Governo” (Ministero dell’Interno) granducale: dopo
un processo, non emergendo prove a suo carico, sarà rilasciato, ma posto in
libertà vigilata.
Sceglie allora di abitare a Firenze dove conosce i fratelli
Bianchi della famosa tipografia Bianchi-Barbèra, è però sospettato di
appartenere alla rete del mazziniano pratese Piero Cironi e, di nuovo ricercato
dalla polizia granducale, è aiutato a nascondersi dalla marchesa Lucrezia
Firidolfi-Ricasoli moglie del barone Bettino Ricasoli, il politico
liberal-moderato che avrà un ruolo fondamentale nel processo di unificazione
della Toscana al Regno Sabaudo, divenendo il primo premier non piemontese dopo
la morte di Cavour.
Giuseppe infatti vive nascosto ed isolato per circa un anno in una
soffitta del centro fiorentino poi riesce e a riparare in Piemonte dove insegna
come maestro elementare a Cuneo ed a Mondovì ed inizia l’attività giornalistica
collaborando a "L' Italia del popolo" di Genova ed a" La
Sentinella delle Alpi" di Cuneo.
Nel 1857 rientra clandestinamente in Toscana e con il fidato
collaboratore di Mazzini, Maurizio Quadrio, prepara e dirige l’ insurrezione di
Livorno del 30 giugno che si svolge in contemporanea con il moto di Genova e
con la spedizione di Carlo Pisacane nel Sud: esemplari imprese mazziniane,
tanto generose, quanto mal organizzate e quindi, fatalmente, destinate al
fallimento.
Tuttavia
la fortuna arride ancora una volta a Civinini che riesce a riparare nel Regno
di Sardegna stabilendosi nella capitale sabauda.
A Torino
intesse due amicizie che da questo momento avranno un ruolo fondamentale nelle
sue successive scelte politiche e di vita: quella con il repubblicano lucchese
Antonio Mordini, che nel 1860 sarà prodittatore di Garibaldi in Sicilia ed
artifice del plebiscito che unirà l'isola all'Italia, e quella col livornese,
amico di Mazzini, Adriano Lemmi, che successivamente sarà definito “il
banchiere della rivoluzione italiana”, e poi nel 1885 verrà eletto gran maestro
della Massoneria.
Segue
quest'ultimo per due anni, prima in Svizzera e poi in Turchia a Costantinopoli,
come istitutore dei suoi figli Emilio e Attilio.
Intanto
nel 1859, anno della guerra austro-franco-piemontese, in Toscana una pacifica
sollevazione popolare caccia il 27 aprile il granduca Leopoldo II ed il
Plebiscito del marzo 1860 sancirà l'annessione, fortemente voluta e “pilotata”
da Bettino Ricasoli, dell’ex-Granducato al Regno Sabaudo: con analoghi quasi
contemporanei plebisciti aderiranno all’annessione i ducati di Parma e di
Modena e le Legazioni pontificie dell'Emilia e della Romagna.
Nel 1860
Civinini, superata ormai l'intransigenza repubblicana di Mazzini, inizia la sua
fase “garibaldina”, più possibilista circa le alleanze politiche ed il ruolo
dei Savoia nel processo di unificazione: alla notizia della Spedizione dei
Mille, lascia il Bosforo e raggiunge a Palermo il Generale che gli affida
incarichi nell'intendenza dell'Esercito meridionale dove si distinguerà per
competenza e correttezza.
A
testimonianza significativa di quel periodo resta una sua lettera autografa,
conservata alla Biblioteca Forteguerriana di Pistoia, inviata alla sorella
Giulia alla vigilia dello sbarco in Calabria. In essa Giuseppe manifesta il
timore per uno scontro a fuoco che potrebbe essergli fatale , ma scherzando su
una suo foto che lo ritrae a Palermo in divisa di ufficale garibaldino,
afferma: “Se mai morissi ti farà un po’ ridere la mia ridicola figura
travestita all’Eroica. Se no rideremo insieme, quando, dopo entrati a Napoli,
io chiederò un congedo di un mese, che passerò con voi e cogli amici”.
Mentre
Garibaldi entra in Napoli ed il Meridione è via via liberato, Cavour ottiene il
preoccupato consenso di Napoleone III, “tutore” sia del potere temporale del
Papa che dell'indipendenza nord-italiana, affinché le truppe piemontesi
invadano i territori pontifici dell’Umbria e delle Marche per dirigersi
incontro ai volontari garibaldini e così scongiurare la, peraltro abbastanza
incerta, possibilità di un Sud repubblicano: si va così di fatto a compiere
quell'Unità peninsulare Nord-Sud che certo non era fra le principali
aspirazioni nè dell' Imperatore francese né dei moderati sabaudi. Sul Volturno
i volontari garibaldini sconfiggono in una grande battaglia campale ingenti ed
agguerrite forze borboniche impedendo la revanche di Francesco II. Con lo
storico incontro, tradizionalmente collocato a Teano, Garibaldi cede a Vittorio
Emanuele II, i territori conquistati e così si conclude la Campagna
meridionale.
Dopo il
discusso scioglimento dell’esercito dei volontari del Generale (solo pochi politicamente
“fidati” verranno ammessi dopo un dura selezione nell'esercito sabaudo) i
garibaldini rientrano nelle loro città: Civinini torna a Pistoia nei primi giorni di dicembre e come tutti gli
altri 250 reduci concittadini, considerati potenziali oppositori del Re e del
governo Cavour, è attentamente sorvegliato dalla polizia. Una commissione
prefettizia di vigilanza capeggiata da Gustavo Bianchi si occupa di Giuseppe
per certe sue “tirate” antigovernative profferite nel bel mezzo del mercato
della Sala in divisa di capitano garibaldino, ma la successiva inchiesta
giudiziaria proscioglie Civinini da ogni addebito.
Il 17
marzo 1861 Vittorio Emanuele II è proclamato re d’Italia e da questo periodo
Civinini diviene un sempre più stretto collaboratore di Garibaldi, tantochè è
accanto al Generale nel 1862 durante l’ennesima sfortunata impresa di liberare
Roma, partita dalla Sicilia al grido di “O Roma o morte!” e conclusasi in
Calabria nello scontro fratricida del 29 agosto sull’Aspromonte fra volontari
garibaldini ed esercito regio, scontro che si arrestò solo quando tutti si
accorsero che il Generale era stato ferito.
Così Civinini
aveva scritto dalla Sicilia alla sorella Giulia: “…Che che ne dicano i bugiardi
telegrammi dello svergognatissimo governo [Rattazzi] gli affari nostri vanno a
meraviglia. Il nostro piccolo esercito si accresce ogni giorno; dovunque le
popolazioni ci accogono con tale entusiasmo che pare una frenesia…ad ogni costo
vogliamo compere il nostro giuramento "O Roma, o Morte"; e credo che
potreno avere Roma, se no, sapremo morire col nostro generale, ed il sangue
noostrosarà la condanna della casa di Savoia”.
Civinini
condivide col Generale la prigionia nel carcere di Varignano vicino a La Spezia
e, dopo esser stato amnistiato, l'esilio a Caprera. Come abbiamo visto sarà di
nuovo accanto a lui a Bezzecca, nella malcondotta guerra del 1866 che, tutto
sommato, portò alla liberazione del Veneto.
E' ormai
una “firma” nota del giornalismo politico, infatti dopo le collobarazioni con
"L' Italia del popolo" e "La Sentinella delle Alpi",
nel 1861 a Torino diviene redattore e poi direttore della voce del “partito
garibaldino” "Il Diritto", di proprietà dell'amico Lemmi e si
affilia alla Loggia massonica “Dante Alighieri”, dove, tra gli altri, trova
come confratelli Agostino Depretis, che dal 1876 al 1887 sarà, salvo brevi
periodi, Presidente del Consiglio per la Sinistra, il repubblicano Aurelio
Saffi, già triumviro con Mazzini e Armellini della Repubblica Romana del 1849,
l’amico Mordini e tanti altri protagonisti del Risorgimento.
Dopo
Aspromonte Civinini intensifica la sua svolta possibilista avvicinandosi alle
posizioni legalitarie di quella parte dei democratici (Francesco Crispi, Angelo
Bargoni, Antonio Mordini, Giuseppe Lazzaro, ecc.) che di lì a poco verranno
sconfessati da Garibaldi ed afferma: “…la guerra che noi vogliamo ora, in
Parlamento e fuori non può vincersi a schioppettate e finirà soltanto quel
giorno in cui il Re d'Italia salirà sul Campidoglio”.
Insieme
al Crispi si oppone, entrando in attrito con l'amico Mordini, alla Convenzione
italo-francese del Settembre 1864 ed al trasferimento della capitale a Firenze
che a molti patrioti appariva come la rinuncia definitiva a Roma capitale.
Tuttavia finisce per accettare il fatto compiuto e così torna in Toscana
spostando la sede del giornale "Il Diritto" a Firenze.
Conosciuto
ormai in tutto il Paese, candidato per la Sinistra in più collegi per l'IX
Legislatura, Civinini, appena trentenne, viene eletto nel ballottaggio delle
elezioni suppletive del collegio di Pistoia 2 con 337 voti contro i 317 del
liberale Giovanni Camici, appoggiato da "La Nazione", giornale
della “Consorteria” dei moderati di Bettino Ricasoli e Marco Minghetti.
Le cifre
confermano come il suffragio e la politica parlamentare fossero allora
appannaggio di pochi istruiti ed abbienti, tuttavia Civinini, al contrario del
suo avversario, presenta un programma elettorale e viene appoggiato anche da un
manifesto di non aventi diritto al voto. Comunque, paradossalmente, l'outsider
Civinini, candidato democratico-progressista, dovette il suo successo
elettorale al decisivo convergere sul suo nome dei voti, da lui non richiesti,
della destra clericale dei cosiddetti “paolotti”, che consideravano il potente
liberal-moderato Camici, anch’egli come Civinini massone, il loro vero e più
pericoloso avversario.
“Egli –
scrisse di Giuseppe, Vittorio Capponi –
grato a tanta prova di fiducia e affetto fermò proposito di adoperarsi quel
meglio che saprebbe, in pro del proprio paese; né vi mancò. Che se non tutti i
suoi concittadini ed amici furono paghi del suo operato, ciò avvenne solo per
diversità di opinioni; ma niuno ebbe mai a tacciarlo d’indolenza o di slealtà”.
Nel 1866
Civinini, come abbiamo visto all'inizio, ha un sussulto di intransigenza
opponendosi fieramente alla guerra contro l’Austria perché gestita dal governo
di Destra e rimproverando i suoi compagni di sacrificare la Libertà all'Unità,
così rompe clamorosamente col Crispi, relatore in quei frangenti di un disegno
di legge per la tutela della sicurezza interna dello Stato.
E'
costretto così a lasciare la direzione de "Il Diritto" e fonda
"Il Nuovo diritto" in un clima di generale rimescolamento
politico che favorisce intese fra Destra liberale e Sinistra moderata e che
prelude al “trasformismo” degli anni successivi.
Tutto
ciò, ed anche la sua naturale insofferenza verso le discipline di schieramento
politico, come la vecchia amicizia col Ricasoli, spiega forse la sua clamorosa
svolta politica del 1867: si candida, sempre a Pistoia, con la Destra
ricasoliana e viene riletto al Parlamento.
Significativo il fatto che il 14 luglio di quell'anno, durante la
famosa visita di Garibaldi a Pistoia, quando il Generale, oltre a curarsi
l’artrite ai fanghi di Monsummano stava preparando una spedizione nella Stato
Pontificio, lui che era stato suo fedelissimo segretario, risultasse assente in
città, come fu da tutti notato nell' affollatissimo meeting
serale all’Arena Matteini dove, durante intervalli di una rappresentazione
teatrale, il Generale, con accanto l'avv. Gargini con la consorte Marietta, il Franchini e padre Gavazzi, potè ascoltare
l'attore Lollio declamare alcuni versi composti in suo onore dalla sorella di
Giuseppe, la signora Giulia Civinini Arrighi.
Ovviamente
in quel 1867 Civinini non sarà, come era stato fino all’anno precedente, accanto al generale Garibaldi anche negli
altri cruciali appuntamenti di quell’anno: né 24 settembre, quando il Generale avrebbe
di nuovo, suo malgrado, fatto sosta a Pistoia, nell'allora importante stazione
ferroviaria, tradotto prigioniero ad Alessandria dopo esser stato “scaricato”
dal governo ed arrestato a Sinalunga nei pressi del confine pontificio, né
quando in quel frangente i garibaldini ed i democratici pistoiesi tenteranno
inutilmente di liberare il Generale dando poi vita a tumulti protrattisi in
città fino al giorno 26 e nemmeno un mese dopo, il 20 ottobre, quando altri 66
pistoiesi saranno di nuovo accanto a Garibaldi nella sfortunata impresa che si
concluderà il 3 novembre a Mentana sotto il fuoco degli Chassepot francesi.
Nell'agosto
1868, a Firenze quel Parlamento, in cui era stato eletto per la seconda volta
Civinini, approvò, su proposta del ministro Cambray-Digny, la concessione per
quindici anni della privativa del monopolio della coltivazione e della
manifattura del tabacco ad una “regìa cointeressata” costituita da una società
anonima di capitalisti privati italiani ed esteri, lo Stato ottenne in cambio
una anticipazione di 180 milioni di lire-oro. Votarono a favore la Destra
governativa e la Sinistra “possibilista” del “Terzo partito” di Mordini, si
opposero il gruppo del Rattazzi, la “Permanente” (Destra piemontese), il Lanza
e il Sella, la Sinistra del Crispi e la Sinistra radicale di Bertani.
Mentre era
in via di conclusione la cruenta repressione delle variamente motivate rivolte antistatali
che dal 1861 avevano interessato non poche zone delle campagne meridionali
(storicamente sintetizzate nella definizione di “brigantaggio postunitario”) e
nel Paese stava per entrare in vigore la famigerata “tassa sul macinato” che
avrebbe reso oppressiva la pressione fiscale dello Stato sulle masse popolari,
la concessione della regìa rafforzò i legami fra entourage governativo e
capitalismo bancario.
Da parte
degli oppositori della concessione si manifestarono fondati sospetti che
l'approvazione parlamentare fosse stata favorita da finanziamenti illeciti da
parte di noti banchieri interessati nell'affare ad un folto numero, circa una
sessantina, di deputati.
Civinini,
il cui voto era stato fra quelli determinanti per l'approvazione del monopolio
privato, violentemente accusato dall’ex-amico Crispi, sia in Parlamento, sia
sulle colonne del “Gazzettino rosa” di Milano, giornale del radicale Felice
Cavallotti, per forti interessi personali nell'operazione, è trascinato con
altri nel primo vero grosso scandalo politico dell'Italia post-unitaria.
Gli
accusatori non riescono a produrre prove e Civinini esce assolto dall'inchiesta
parlamentare e vincitore dai successivi strascichi giudiziari, ma fra qualche
storico rimarrà per lungo tempo il sospetto che tramite un suo protetto,
Salvatore Tringali, avesse ottenuto delle partecipazioni nella regìa, anche se
a convenzione approvata. Tuttavia è vero anche che la morte troverà poi il
giornalista pistoiese in condizioni economiche tutt’altro che floride al punto
che nel 1871 gli amici per poterlo seppellire con la medaglia di deputato
dovranno prima riscattarla dal Monte di Pietà!
Intanto
il 4 settembre 1870
Napoleone III, lo strenuo difensore del potere temporale pontificio, cade in
seguito alla sconfitta nella guerra franco-prussiana, a Parigi si instaura la Comune
e il 20 settembre le truppe italiane occupano Roma.
Civinini nel frattempo, dal ottobre 1869, era divenuto direttore
de "La Nazione". Il pistoiese diede al giornale, un'impronta di
accentuata serietà pubblicando racconti tratti dal "Monthly
Chronicle" e dal "New York Magazine" e novelle di Dickens,
romanzi grandi giornalisti come Ferdinando Martini (Peccato e penitenza")
e e Giuseppe Bandi (Pietro Carnesecchi), di Mario Pratesi (Le viole
di Marianna), ed altri.
Nelle pagine del quotidiano fiorentino apparvero rubriche
letterarie, bibliografiche, musicali, artistiche che negli ambienti culturali
si guadagnarono duratura e meritata fama. Con lo pseudonimo di Forsitan firmò
gli articoli apparsi nella rubrica Le conversazioni del giovedì, poi
raccolti dalla sorella Giulia Civinini-Arrighi e stampati postumi col titolo Le
conversazioni del giovedì e altri scritti politici e letterari in
Pistoia dalla tipografia Niccolai nel 1885.
Il
giornalismo non lo distolse mai dalla sua attività parlamentare, anzi ne fu
stimolante supporto, attività che in tutte le legislature alle quali partecipò
sempre fu intensa. Fra i suoi interventi alla Camera gli storici sottolineano
quelli riguardanti il progetto di legge per le “disposizioni eccezionali in
materia di sicurezza interna” (8 maggio 1866), il “trattato di commercio e
navigazione e convenzione postale con l'Austria” (l febbraio 1867), la
“questione romana” (10 dicembre 1867), la “legge per il riordinamento delle
amministrazioni dello Stato e la istituzione di uffici finanziari” (11 dicembre
1868), la legge per togliere l'esenzione dei chierici dalla leva, ecc.
Civinini,
nel gennaio del 1871, si schierò contro la “legge delle Guarentigie” volta a
regolare, dopo la fine dello Stato Pontificio, i rapporti tra Stato e Chiesa e
assicurare al Pontefice il libero esercizio del potere spirituale. Civinini
temeva che con tale legge (peraltro poi respinta da Pio IX che rivendicava il
diritto della Chiesa di mantenere il potere temporale) approvata dalla Camera e
dal Senato a stragrande maggioranza e, malgrado l'assenza di rapporti
diplomatici tra le parti, rimasta in vigore fino al Concordato del 1929, il
Vaticano avrebbe continuato ad influire in modo sensibile nelle scelte
politiche della società italiana.
Nei suoi
ultimi interventi sulla politica estera Civinini, manifestando posizioni ostili
nei confronti della Francia di Napoleone III, fino al 1870 supremo
“controllore” degli sviluppi dell’Indipendenza italiana, sostenne, non senza
contrasti interni al quotidiano, quella politica estera filogermanica che anni
dopo verrà attuata proprio dal suo “nemico” Crispi. Significativo, ad esempio,
un suo saggio apparso sulla "Nuova Antologia" dove, tra l'altro,
affermava: “…occorre tenere per quanto più si può bassa la Francia ... avere
amiche le potenze ... anti-papali ... fondarci sopra una solida base
conservativa ed ... anche liberale. Le nostre diffidenze verso la Germania ...
ci esporranno veramente a quei pericoli di cui tanto temiamo ... fra i
clericali di Versailles e i comunisti di Parigi”.
Erano le
ultime battute della sue vicenda umana e politica, da circa un anno rieletto al
Parlamento, e proprio “.. quando pareva doversi schiudere per lui – nota il
Capponi – una luminosa e lieta carriera, quasi ricompensa di travagli per
lunghi anni con eroico coraggio sofferti”
moriva nella sua casa di Firenze il 19 dicembre 1871 a soli 36 anni per
un tumore, probabilmente alimentato dallo stress e dai dispiaceri dell' affaire
della regìa tabacchi e dal dolore per la morte della figlia Gioconda, avvenuta
pochi mesi prima della sua.
Lasciava
vedova la moglie, la francese Antonietta Klein con un figlio, Filippo, e forte
il rimpianto in tutti gli amici e in coloro che ne lo conobbero e ne
apprezzarono le qualità per quello che ancora avrebbe potuto fare per il Paese
che aveva contribuito a costruire.
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Bibliografia
essenziale su Giuseppe Civinini
V.
Capponi, Biografia pistoiese, Pistoia, Tip. Rossetti, 1878.
V.
Cecconi, Giuseppe Civinini di Pistoja. Patriota, deputato giornalista,
Pistoia, Brigata del Leoncino, dicembre 2000
A.
Chiti, A proposito del primo deputato di Pistoia, in: "Bullettino
storico pistoiese", vol. 42, n. 4 (1940).
F.
Civinini, Nel cinquantenario della morte di Giuseppe Garibaldi : sacri
documenti inediti, in: "Bullettino storico pistoiese", a. 34, n. 2 (1932).
F.
Civinini, Una lettera politica inedita di Francesco De Santis, in "Bullettino
storico pistoiese", a. 33, n. 2 (1931).
G.
Civinini, Le conversazioni del giovedì e altri scritti politici e letterari
di Giuseppe Civinini con proemio di Ruggero Bonghi, Pistoia, Tipografia
Niccolai, 1885.
G.
Civinini, Un esule italiano a Costantinopoli nel 1859, tre lettere di
Giuseppe Civinini ; [a cura di Filippo Civinini], Pistoia, Off. Tip.
Coop.va, 1912.
G.
Civinini Arrighi, La prima giovinezza di Giuseppe Civinini : memorie,
Firenze, Ufficio della Rassegna nazionale, 1906.
T.
Dolfi, Giuseppe Civinini direttore de La Nazione e la guerra
franco-prussiana, (16 ottobre 1869-19 dicembre 1871), in: "Argomenti
storici",
n.s., n. 4 (1996).
Fondo
Civinini. Biblioteca comunale Forteguerriana, Pistoia.
Francesco
Crispi e Giuseppe Civinini, in: "Bullettino storico
pistoiese", a.
31, n. 1 (1929).
A.
Gori, Giuseppe Civinini nella crisi democrazia risorgimentale. Tesi di
laurea. Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Magistero, 1972-1973.
A.
Gori, Note inerenti una lettera politica di F. De Sanctis a G. Civinini e
due missive del Civinini a De Sanctis, in: "Rassegna storica
toscana", n.
2 (1989).
C.
O. Gori, Un garibaldino che divenne direttore de La Nazione: la storia del
deputato pistoiese Giuseppe Civinini, in: "Microstoria", a.
2, n. 10 (apr. 2000).
C.
O. Gori, Profilo di un garibaldino pistoiese: Giuseppe Civinini, in "Camicia
rossa", n.
2 (mag.-lug. 2002).
F.
La Porta, Giuseppe Civinini e la vita politica pistoiese nei primi anni
dell'Unità d'Italia, Tesi di laurea. Università degli Studi di Firenze,
Facoltà di Magistero, 1998-1999.
L.
R. Levi Sandri, Il giallo della regìa: con una nota di Leonardo Sciascia,
Roma, Armando Editore, 1983.
A.
Linacher, Discorso commemorativo di Giuseppe Civinini pronunciato nel salone
del palazzo comunale di Pistoia,
Pistoia, Tip. Niccolai, 1904.
P.
Paolini-C. Gabrielli Rosi, Due lettere di A. Mordini a G. Civinini, in: "La
Provincia di Lucca", (1961).
P.
Paolini-L. Ubaldi, Profili di patrioti pistoiesi, Pistoia, 1960.
G.
Petracchi, Mito e realtà di Garibaldi in una città di provincia, Pistoia
1859-1904, in Garibaldi a Pistoia: mito, fortuna, realtà. Catalogo
della Mostra, Pistoia, Edizioni del Comune di Pistoia, 1982.
Raccolta
A. Chiappelli, Biblioteca comunale Forteguerriana, Pistoia.
*
Pubblico, a seguito degli articoli degli altri soci, questo mio intervento tenuto a Pistoia il 22 marzo 2011 all'Istituto Professionale di Stato per l' Agricoltura e l'Ambiente "Barone Carlo De Franceschi" in occasione della Giornata di Studio Personaggi pistoiesi del Risorgimento e successivamente pubblicato nello stesso anno e con lo stesso tit. in una monografia comprendente gli atti di quel convegno. Il personaggio in oggetto è Giuseppe Civinini su quale ho scritto molto e tenuto nel corso di questi ultimi anni vari Convegni.
Non inserisco miei dati bio-bibliografici per chi ne volesse saper di più mi permetto di rimandare qui sotto ai link dei miei blog:
http://goriblogstoria.blogspot.it/
http://goriblogstoria360.blogspot.it/
http://historiablogoriarchiviosplinder-cog.blogspot.it/
COG
*
Pubblico, a seguito degli articoli degli altri soci, questo mio intervento tenuto a Pistoia il 22 marzo 2011 all'Istituto Professionale di Stato per l' Agricoltura e l'Ambiente "Barone Carlo De Franceschi" in occasione della Giornata di Studio Personaggi pistoiesi del Risorgimento e successivamente pubblicato nello stesso anno e con lo stesso tit. in una monografia comprendente gli atti di quel convegno. Il personaggio in oggetto è Giuseppe Civinini su quale ho scritto molto e tenuto nel corso di questi ultimi anni vari Convegni.
Non inserisco miei dati bio-bibliografici per chi ne volesse saper di più mi permetto di rimandare qui sotto ai link dei miei blog:
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