mercoledì 31 luglio 2013

Renato Risaliti. Le attuali sollevazioni nel mondo islamico (in particolare in Africa settentrionale) Relazione al Convegno in San Domenico, Pistoia, 9 marzo 2011

Le attuali sollevazioni nel mondo islamico (in particolare in Africa settentrionale) 2011.03.09

Prima di venire qui mi sono riletto le note che avevo ascritto circa 20 anni fa sull’Egitto e la Tunisia pubblicati per la prima volta su “Vita Sociale” e “Koinonia”, e poi ripubblicate nel mio volume Alla ricerca del Paese felice (1999) e in quello recente (2011) Ricordi.
Non ho nulla da cambiare.
Però tutti i giornalisti e tutta la stampa italiana non potrebbe ripubblicare quello che avevano stampato senza vergogna.
E perché?
Perché erano menzogne allo stato puro. Mubarak e Ben Alì sarebbero state le immagini dell’islam moderato. Già questi moderati hanno ordinato di uccidere centinaia di persone in Egitto e altrettante in Tunisia.
E, purtroppo, siamo solo all’inizio. Questo perché è avvenuto? E’ doveroso chiederselo.
1) perché la nostra stampa è alla periferia dell’impero americano, ormai in completa decadenza e ritirata  e descriveva la situazione che i centri di ricerca americani diffondevano.
La verità è che la CIA attanagliata da insanabili conflitti interni non riesce a fornire informazioni precise ai suoi committenti politici che sono ossessionati dal concetto del politically correct (politicamente corretto) perché i regimi tunisino, egiziano, saudita, libico, etc. mascheravano la loro intransigenza politico religiosa islamica sotto il manto dell’amicizia con gli USA.
In verità anche i centri di ricerca sul Medio Oriente fanno ricerche superficiali e avventate prima di tutto perché, anche loro, per avere fondi statali agiscono, ricercano e analizzano la situazione del Medio Oriente secondo lo schema prefissato del politically correct, schema aggravato da erronei schemi americani della loro sociologia che è, sì, capace di vedere prima di altri i punti deboli, ma poi non è in grado di approfondire la ricerca.
Sono anni che nei miei scritti mi sforzo di ripetere che l’islam moderato è una semplice autoillusione americana fino a che non si rivedranno i cosiddetti fondamenti dell’islam così come sono stati codificati nei primi tre secoli dell’egira cioè verso il X secolo dell’era cristiana. Vale la pena ripeterli:
a) Sei miscredente? Ogni retto musulmano ha l’obbligo di ucciderti (parlo di dovere !) immediatamente.
2) Sei un apostata? Cioè dall’islam passi al cristianesimo o l’ebraismo. La stessa pena.
3) Sei un dissenziente? La stessa pena.
E’ ovvio che con queste tre premesse “teologiche” non si può affermare nessun regime democratico, ma solo la caricatura della democrazia.
Per rendere permanente un regime democratico in un paese islamico è necessaria una riforma religiosa che riveda questi cosiddetti fondamenti che sono fondamenti di violenza continua su tutta la società.
In questo aveva perfettamente ragione Benedetto XVI che nel suo discorso “programmatico” di Ratisbona e con il quale dichiarai subito il mio accordo. La situazione è ulteriormente aggravata da altro. Nell’islam è praticamente assente un concetto chiave del tomismo cioè “il bene comune”.
La confusione mai risolta fra società religiosa e politica cioè fra Stato e Chiesa ha condotto tutti i paesi in cui si è verificata la conquista arabo islamica, dopo una prima fioritura, ad un processo inarrestabile di desertificazione in senso lato.
Gli arabi erano una popolazione nomade e tali sono rimasti in grandi proporzioni.
Naturalmente come tutti i popoli conquistatori si sono fusi con la popolazione locale nel corso del tempo ed hanno finito per creare popoli nuovi.
Uno dei miti più eclatanti del nasserismo in Egitto e altrove è stato quello che esistesse ancora una sola nazione araba. Era un mito e come tale ha fatto fallimento ovunque in pochissimo tempo.
Quando sono esplosi i  moti di rivolta prima in Tunisia e poi in Egitto ero in ospedale. Il caso ha voluto che mio vicino di letto fosse un egiziano copto. Costui mi ha confermato quello che già in parte sapevo e cioè che in Egitto i copti, cioè la popolazione originaria, è molto di più del 10% di cui parla tutta la stampa mondiale, ma arriva forse al 30-35% della popolazione e nell’Egitto centrale è la grande maggioranza della popolazione.
La classe dirigente rappresentata in primo luogo dall’esercito e dai funzionari è islamica e opprime in modo più o meno velato in infiniti modi i copti che resistono alle loro continue pretese di ogni genere..
I cristiani in Egitto sono più numerosi che negli altri paesi del Medio Oriente perché l’islam arabico è spesso un modo di vita più che una fede.
L’islam egiziano non ha mai potuto emarginare i copti perché il modo di vita è quello di una popolazione agricola non nomade ma stanziata stabilmente sulla terra da moltissimi secoli (forse 7000 anni) a causa delle esondazioni annuali del Nilo, esondazioni che in seguito alla separazione del Sud Sudan dal Sudan e dei piani di sfruttamento delle acque del Nilo da parte dei paesi nilotici dell’Africa centrale possono e potranno provocare serie crisi senza precedenti e una guerra fra i diversi stati africani anche entro pochissimi anni.
Anche gli arabisti europei, a partire dai francesi, hanno grosse colpe, hanno fatto sempre finta di ignorare il conflitto più grave del Maghreb: quello fra popolazioni arabo islamizzate della costa e quelle berbere dell’interno. E’ un conflitto che va avanti da 25 secoli: dalla colonizzazione dei fenici.
Le “Monde diplomatique” è lo specchio abbastanza fedele delle infedeltà dei francesi nella analisi delle società multirazziali dell’Africa settentrionale.
L’aspetto più grave della mancata analisi di quelle società islamiche viste in modo differenziato paese per paese, perché la situazione storica, economico sociale e culturale religioso è diversa. I Centri americani di ricerca per primi sono responsabili di queste analisi, ma anche il nostro IAI è colpevole di aver seguito più o meno pedissequamente quelli americani o francesi.
Ma allora perché queste esplosioni simultanee di rivolta? E qui la stampa occidentale dà un’unica risposta: la sete di democrazia, è nata una classe media del mondo globalizzato.
Una parte minore di una verità.
Ricordo ai cristiani presenti che cosa dice la prima invocazione del Padre nostro? “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. La stampa, tutta, finge di ignorare che i prezzi del grano sono aumentati del 70%. In paesi dominati da oligarchie corrotte oltre ogni credibilità che domina spesso popolazioni etnicamente eterogenee questa è stata l’ultima goccia che ha fatto travalicare il calice della sopportazione.
Ad esempio la Libia non è abitata solo da arabi, ma anche da berberi, tuareg e tabu. E poi forse la divisione di base è data dall’esistenza di numerose tribù (almeno 143). La democrazie è un concetto limitato al solo capo tribù. Il resto sono solo sovrastrutture mentali di noi occidentali. Nell’islam il concetto di democrazia non si trova.
E’ il capo tribù e solo lui che concede o nega la fedeltà al capo che sta a Tripoli. Il rischio che da una triplice divisione (Senussia,Pirenaica, Tripolitania e Fezzan) si passi alla diaspora di tipo somalo è assai concreto.
Infatti nessuno di questi centri occidentali di ricerca aveva previsto le esplosioni di rivolta di oggi. Tutti si erano cullati nell’autoillusione che tutto fosse chiaro e spiegato.
E’ bastato l’aumento del prezzo delle derrate alimentari per far crollare l’edificio di illusioni dei centri di ricerca occidentali.
Nessuno dei corrispondenti in loco aveva mai riferito le infinite violenze di cui erano e sono oggetto tutte le minoranze che a volte come i berberi nel Magreb sono e rimangono la grande maggioranza della popolazione. Solo in Libia i berberi sono una minoranza ma assieme a loro ci sono i tuareg e i tabu. E chi sono i capi tribù che rimangono fedeli a Ghedaffi? Quali i gradi di parentela e interessi fra loro?
L’aspetto più grave della situazione sociale politica e culturale di queste popolazioni profondamente ingenue è che sono disabituate alla  lotta politica da sempre. Infatti, spesso e volentieri l’unico luogo di aggregazione sono le moschee e questa una delle ragioni del successo del fondamentalismo. Perché è solo nelle moschee che si opera fattivamente la beneficenza e l’accoglienza sociale.
Basterà un minimo errore occidentale per riaccenderlo in violente fiammate.
Va escluso l’Egitto (e/o la Siria e Irak) dove ci sono minoranze cristiane che, però, da secoli sono state abituate alla sottomissione alle autorità islamiche e fortemente abituate all’arbitrio violento, da sempre, dall’epoca della conquista di queste stesse autorità. I soprusi personali e sociali sono infiniti e spesso impercettibili.
E’ evidente che la mia visione della condizione dei cristiani nel Mashrek è profondamente antitetica a quella di Franco Cardini o dei francescani di Terrasanta tutta basata sull’unità mistica dei cristiani senza tener presente quello che è stato lo specifico nel sociale nella dottrina neotomista. E soprattutto la condizione sociale dei cristiani nel Mashrek.
Il gregge cristiano quando non ha organizzazioni sociali che lo uniscono, quando c’è la repressione violenta tende a disperdersi. Questa è una semplice verità che ai vari Pizzaballa non viene neanche in mente.
Ma ritorniamo alla questioni di ordine generale. Va detto che questa ondata di rivolte in tutto il Medio Oriente è il primo contraccolpo alla forte crisi economica che ha portato per le enormi masse dei diseredati di questi paesi ad un notevole aumento dei beni di prima necessità e in particolare delle derrate alimentari, del pane in particolare, ma è anche perché in seguito all’espansione produttiva di ben tre  se non quattro mezzi continenti (Cina, India, Brasile e ora anche Sud Africa) c’è stato un aumento dei consumi e quindi una accresciuta domanda di grano e cereali per non parlare di carne ed altri prodotti di prima necessità di impossibile portata per enormi masse umane, anche se in Cina si è cercato per tempo con leggi che non permettono più di un figlio se non a determinate condizioni di maggiori tasse. Anche la scelta USA di usare molti cereali per creare gas e petrolio ha avuto un grosso peso in questi aumenti dei prezzi dei cereali.
L’aumento della popolazione mondiale, soprattutto nel cosiddetto terzo mondo con la contemporanea regressione o stasi demografica nei paesi industrializzati è fonte di nuovi e possibili gravi squilibri mondiali nei rapporti di forza reale a livello mondiale e non si sa dove andranno a parare nel prossimo futuro.
Già si è visto l’afflusso di un numero enorme di profughi dalla Tunisia, ancora non si sa quanti potranno essere dall’Egitto e/o dall’Iran e a maggior ragione della Libia. L’esodo improvviso di tante persone può essere solo una valvola si sfogo provvisorio nell’immediato, ma può provocare un ulteriore declassamento economico di tanti stati islamici.
In ogni caso dimostrano che questi paesi hanno classi dirigenti inadeguate rispetto alle necessità, corrotte, senza prestigio sociale, un potere spesso esercitato con la violenza allo stato puro.
In molte zone, dicevo, l’unica autorità è il capo tribù che spesso usa l’interpretazione cranica a suo libito per giunta insindacabile.
Ma questo non potrà non portare ad ulteriori gravi conflitti sociali con esiti imprevisti e imprevedibili
Già oggi, come ha dimostrato F. Roiatti nel suo saggio Il nuovo colonialismo (Università Bocconi, 2010), nel 2050 sulla terra vivranno presumibilmente 9 miliardi di persone. Per nutrire tutti sarà necessario produrre circa un miliardo di tonnellate in più di cereali.
Il cibo assieme all’acqua stanno sempre più diventando problemi cruciali. Ci sono paesi come la Cina, l’India ma anche Arabia Saudita, Libia e Corea del Sud e gli Emirati arabi che dispongono di notevoli risorse finanziarie ma non di territori ampi di terra agricola e coltivabile e che hanno incominciato a comprare o affittare terra in altri paesi e/o continenti come l’Africa e l’Asia.
Dal luglio 2007 all’aprile 2009 quasi 20 milioni di ettari di terra coltivabile sono stati oggetto di negoziati e accordi fra governi e società private.
Nel libro si racconta chi sono questi neocolonialisti e dove agiscono e quali insidie o opportunità si presentino a loro. Un discorso particolare andrebbe fatto, anzi va fatto, sulla persistenza di regimi tribali in quasi tutti se non tutti gli stati arabo islamici delizia e croce, o se volete causa e effetto o meglio una delle cause delle attuali convulsioni economico sociali. E’ chiaro che il sistema tribale è in perfetta antitesi con la globalizzazione in atto in tutto il mondo. La contemporaneità di queste sollevazioni ricorda il nostro fatidico 1848. E se il 1848 segnò di fatto la fine della Santa Alleanza queste sollevazioni segneranno la fine del regime tribale un po’ in tutti i paesi oppure causa ed effetto di tumulti senza fine come in Somalia? E’ molto probabile che i fondamentalisti cercheranno di convogliare il profondissimo divario sociale contro Israele, ma sono tentativi destinati a ritorcersi contro di loro. Non ci si può cibare di miti. L’incapacità delle classi dirigenti arabe è sotto gli occhi di tutti e soprattutto delle masse enormi di poveri senza arte né parte, senza lavoro. In molti paesi la lotta sta assumendo carattere di lotta fra una minoranza privilegiata sunnita e una maggioranza poverissima sciita. In altri come l’Arabia Saudita è destinata ad assumere i caratteri della lotta fra popolazione (cristiana) immigrata e élite araba locale musulmana. Insomma ci troviamo davanti ad una grande varietà di situazioni che è difficile prevedere quali e quante diverse soluzioni si potranno verificare. Molto dipenderà dall’atteggiamento delle parti in lotta nel corso concreto delle immancabili lotte future. Ogni previsione è quindi prematura.
Conclusioni.
Il processo di scomposizione e ricomposizione di tutta la fascia che va dall’Atlantico al Golfo Persico ha origini e motivazioni complesse ma i due elementi scatenanti sono la crisi social alimentare e generazionale che l’ha resa esplosiva per le gravi deficienze  delle classi dirigenti islamiche guidate da una religione/modo di vita in contrasto stridente con la società globalizzata. Le giovani generazioni sono state toccate dai media e possono fare i loro confronti.
E’ possibile che ci siano linee di questo tipo:
Maghreb: disgregazione fra società arabizzate e berberi (Marocco, Algeria, Tunisia). Per tenerli ancora uniti secoli di vita in comune sono importanti come anche la superiorità della cultura araba. Disaggregazione della Libica e del Sud Sudan dal Sudan ormai avvenuta. Maggior peso dei copti in Egitto.
Mashrek: creazione di enclaves cristiane fra Libano, Siria e Irak. Creazione di un grande stato curdo che ridurrebbe molto la potenza turca (circa il 40% del territorio) e la sua importanza geostrategica. Possibili secessioni in Iran e Pakistan.
Uno scenario dei prossimi 20/50 anni ad essere ottimisti.


                                                                                                                 
                          

                             Renato Risaliti



























sabato 27 luglio 2013

Renato Risaliti. Alle origini del conflitto culturale fra Russia e Polonia

Alle origini del conflitto culturale fra Russia e Polonia

Nel passato la slavistica ha spesso trascurato un aspetto del conflitto culturale che vede la Russia e la Polonia contrapposte su problemi di breve e di lungo periodo.
Nelle pagine che abbiamo tradotto dal russo di Jaochim Lelewel sulla storia dello stato russo di Karamzin si celano molti aspetti di questa sempre riaffiorante contrapposizione sia sull’origine degli slavi che cela un aspetto poco noto della storiografia romantica ripreso da Marx, l’aspetto nascostamente razzista oltre che quello conclamato classista che coinvolge il rapporto fra mondo lavico e germanico.
Ci sono in questa polemica idiosincrasie sia russe sia polacche.Non a caso i russi si sono ben guardati da ripubblicare i dieci articoli che Lelewel riuscì a pubblicare sulla rivista russa Severnyj archiv fra il 1822 e il 1824 aiutato da due polacchi russificati Bulgarin e Senkovski.
Ma anche gli studiosi polacchi si sono ben guardati dal ripubblicare i dieci articoli ma solo i primi quattro in cui Lelewel fa un raffronto fra le linee portanti della Storia del popolo polacco di Naruszewicz e la Storia dello stato russo di Karamzin. Per gli articoli successivi adducono il fatto della loro mancata pubblicazione in polacco, il fatto incontestabile che Bulgarin, giornalista al servizio delle autorità zariste, avrebbe alterato il senso stesso degli articoli di Lelewel, ma si sono ben guardati dal pubblicare il testo che a loro giudizio sarebbe originale.
Solo “Slavic Review” nel 1972 affrontò in parte la questione, ma senza apportare risultati soddisfacenti e conclusivi.
Oggi noi siamo in grado, sulla base delle carte Ciampi esistenti presso la biblioteca Forteguerriana di Pistoia, di portare nuova luce con la stampa anastatica di due documenti a firma di Lelewel conservati. Va tenuto presente che Ciampi aveva stretto una forte amicizia e collaborazione con lo storico e uomo politico polacco Lelewel come si evince dalle lettere da noi rinvenute alla biblioteca Jagiellonska di Cracovia e in corso di stampa.
E’ implicito che Lelewel e Karamzin siano portatori di queste due diverse culture. Quindi il problema sollevato dallo studioso polacco A. Walicki nel suo Una uotopia conservatrice. La storia degli slavofili di una contrapposizione fra il repubblicanesimo democratico di Lelewel e il principio autocratico di cui si fa portabandiera Karamzin è un contrasto che segna con un filo rosso tutta la polemica storiografica fra i due paesi e che prosegue tutt’ora.
La polemica di Lelewel sull’origine degli slavi non si capisce fino in fondo, anzi si corre il rischio di sopravalutarla o al contrario di sottovalutarla, se si astrae dal contesto storico culturale  in senso ampio in cui è nata. Non si può fare come ha fatto unA parte della storiografia polacca o russa, limitandola all’ambito slavo. La polemica sull’origine degli slavi intesa nel senso di quali fossero le caratteristiche economico sociali e istituzionali dei popoli slavi e, nel caso concreto dei polacchi e dei russi, non si può, anzi è meglio dire, non si deve astrarre dalle correnti storiografiche che nascono e si affermano a livello europeo nel campo della storiografia.
In questo campo specifico, quello storiografico, nasce e si afferma all’epoca della Restaurazione la corrente “romantica” con le opere di Thierry e/o di altri storici del pensiero della Restaurazione. (1)
La storiografia italiana dell’epoca ed anche quella successiva, a parer nostro, non ha ben focalizzato il problema perciò lo ha ignorato, oppure lo ha riferito, però in sostanza, travisandolo. In quest’ultima categoria sono da annoverarsi gli storici appartenenti alla storiografia marxista che ha ripetutamente parlato dell’influenza degli storici “borghesi” francesi dell’epoca della restaurazione sulla formazione del pensiero marxista della lotta di classe, concetto basilare del marxismo.
Questa corrente storiografica ha ripetutamente accennato all’importanza degli storici francesi (Thierry, Guisot, Michelet), però ha quantomeno minimizzato sulla scia di Marx la particolarità del concetto della “lotta di classe” presso questi storici concepita in Francia come una lotta fra i galloromani (contadini sottomessi) e feudatari, i conquistatori delle Gallie, di origine franco tedesca o in Inghilterra fra l’elemento celtogermanico o anglosassone (contadini sottomessi) e i conquistatori dominatori (franco normanni). In sostanza hanno ignorato l’angolatura razzista degli storici francesi della Restaurazione, angolatura che riacquista peso in seguito ai movimenti immigratori in atto nell’Europa odierna. E questo ci spinge a riesaminare il problema. Affronto questo problema storiografico perché ebbe una notevole incidenza sulla letteratura. Basti pensare a Ivanhoe di W. Scott e i suoi “continuatori” in senso lato in tutte le letterature europee: dai romanzi di Victor Hugo, ai Promessi sposi di A. Manzoni e Guerra e Pace di Tolstoj. [a conclusione torneremo sull’influenza specifica di questa problematica nella letteratura russa degli ani Venti del secolo decimonono].
L’impostazione degli storici francesi del periodo della restaurazione acquistò un particolare peso a livello europeo e soprattutto in Polonia e in Russia.
Già nel Settecento diversi storici tedeschi che vivevano in Russia, leggendo anzi studiando la più antica cronaca russa Povest’ o vremennych let (Racconto dei tempi passati) erano giunti alla conclusione che presso i russi lo stato era sorto in seguito alla chiamata dei varjagi (normanni), in altre parole, grazie all’elemento tedesco perché gli slavi per le loro caratteristiche non sarebbero stati in grado di creare uno stato con le loro forze (2). Questa seconda parte era una conclusione abbastanza razzista che fin dall’inizio suscitò le più vivaci reazioni dei russi a partire dal grande fisico e chimico M. Lomonosov (3).
La storia normannista aveva la sua forte base nella prima cronaca russa e questo non poteva essere negato. Ma fin dall’inizio furono fatte una serie di osservazioni e avanzati dubbi.
Questa polemica che corre per tutto il secondo Settecento riesplode nei primi decenni dell’Ottocento quando Karamzin il padre del romanticismo russo (che in Russia si chiamò sentimentalismo) sollecitato dagli ambienti di corte, se non dallo stesso zar Alessandro I, si mise a fare lo storico professionale e scrisse un vero monumento storico La storia dello stato russo, che ha dignità letteraria (e fu tradotta quasi subito anche in italiano) (4).
Ebbene N. Karamzin nella sua storia fece sua la teoria normannista cioè della chiamata dei principi normanni (Rjurik etc.) per superare le continue discordie esistenti fra le tribù slave.
Apriti cielo! [Riparleremo di questo aspetto]. Va tuttavia precisato che fra l’impostazione degli storici francesi e slavi (russi e polacchi) ci sono analogie, ma anche differenze. In primis, perché i normanni non sarebbero stati conquistatori ma sarebbero stati “chiamati”. Ma da chi in particolare? E poi i normanni in Russia sarebbero stati rapidamente assimilati forse perché il loro numero era assai piccolo rispetto agli slavi. In terzo luogo, questa polemica nasce a causa della chiamata da parte di Pietro I e dei suoi successori degli storici tedeschi che fornirono subito questa interpretazione della storia russa desunta dai documenti storici.
Si aprì una vivacissima discussione storico politico letteraria sia in Russia sia in Polonia perché dopo il 1815 la Polonia era entrata a far parte dell’impero russo.
Nikolaj M. Karamzin aveva affermato:
“L’autocrazia è il Palladio della Russia, la sua completezza è necessaria per la sua felicità (!)” (5). E’ evidente per chi conosce l’origine dei popoli slavi che la veče è l’antica assemblea dove si prendevano le decisioni, ma questo fatto, ovviamente generava dei conflitti. L’autocrazia cioè il potere assoluto di un principe serve per porre fine a questi conflitti. Ma il principe e la sua druzina erano di origine straniera! Vi è in questo un conflitto etnico sociale.
Vorrei osservare qui che non condivido la tesi di Giuseppe Ricuperati che la nazione sia morta. Anzi assistiamo in tutto il mondo al suo fiorire. Basti pensare che sotto i nostri occhi si è sfasciata l’idea di unità di nazioni arabe. Oggi ci sono oltre 10 nazioni arabe. Nei paesi di lingua portoghese non si può fare la riforma dell’alfabeto perché si formano subito sei o sette nazioni lusitane. Nella America Latina si assiste allo stesso fenomeno con lo spagnolo casigliano ormai fra Argentini e Messicani le differenze sono più che sensibili. Lo stesso fenomeno nei paesi di lingua inglese. Una nuova unità etnica di cui si favoleggiava in URSS si è frantumata ai primi dissensi politici. La formazione delle nazioni richiede secoli e non possono apparire o scomparire per semplici processi politici transeunti.
Alle tesi di Karamzin in Russia si opposero immediatamente i decabristi che invece esaltavano la veče come organo autoctono degli slavi, quindi organo popolare e democratico per eccellenza (6).
In sostanza si apre davanti a noi un conflitto che è conflitto etnicosociale, istituzionale, ma che non tarderà a trasferirsi anche in ambito letterario, ma in modo apparentemente assai confuso, una matassa che solo i formalisti russi hanno permesso di dipanare (7).
Un conflitto etnico sociale, ma assume anche una valenza istituzionale immediata, se collocata storicamente nell’epoca della Restaurazione, perché il principio a cui faceva riferimento Karamzin era di carattere monarchico, mentre i decabristi si rifacevano alla veče che era un organo nella sua essenza democratico e repubblicano. Questa polemica finì per andare oltre la Russia strettamente intesa, e finì per riflettersi nel dibattito all’interno della Polonia. I patrioti polacchi con alla testa Joachin Lelewel, il maggiore storico polacco e membro del futuro governo provvisorio che guidò l’insurrezione antizarista del 1830-31 sollecitato da Bulgarin, un polacco russificato, ma grosso giornalista, scrisse sulla stampa russa articoli a favore della vece e quindi dei principi repubblicani (8). Questi suoi scritti ebbero una favorevole accoglienza da parte di numerosi decabristi (9) Non solo! Vennero seguiti con attenzione da uno storico italiano Sebastiano Ciampi che in quegli anni insegnava all’Università di Varsavia dopo aver lasciato l’insegnamento all’Università di Pisa. Nelle sue carte si trovano i sunti in francese di questi articoli di Lelewel pubblicati sulla rivista russa “Severnyj archiv”. Secondo la grafia questi riassunti sono di Lelewel!
Dicevamo che i decabristi idealizzavano la Veče in primo luogo di Novgorod.
Secondo una certa tradizione non confortata da documenti storici attendibili nella vita delle Veče di Novgorod si sarebbe distinto Vadim, un personaggio leggendario. Già nell’epoca di Caterina II uno scrittore come Knjažnin aveva cantato le gesta di Vadim, cosa di cui l’Imperatrice si era preoccupata perché nello scritto vi vide un forte pathos repubblicano (10).
All’inizio degli anni Venti dell’Ottocento Vadim suscitò l’interesse di V.F. Raevskij che in seguitò chiamò un figlio suo Vadim (11). Lo stesso Puškin ha ricordato il personaggio Vadim nemico della tirannia (12).
Infine K.F. Ryleev, uno dei cinque martiri decabristi, noto poeta cittadino nei suoi Dumy (Pensieri) canta con emozione di Vadim definito “uno slavo libero nell’animo” (13).
Occorre nelle mie conclusioni sottolineare un’apparente contraddizione dei fatti letterari russi rispetto ala nostra storia letteraria e di alcuni altri paesi europei già messa in luce dai Archaisty i novatory Karamzin che sul piano letterario era un innovatore essendo il capo del preromanticismo russo, sul piano storico politico era un conservatore, un difensore dell’autocrazia; finisce negli anni Venti per schierarsi contro gli esponenti decabristi che come Ryleev o Kjuč Kelbeker erano classicisti, ma che sul piano politico erano innovatori e quindi sono a favore degli eroi romantici difensori della Veče cioè dell’istituzione democratica, popolare e repubblicana!

   
                                        


                                                  Renato Risaliti











NOTE
01.          B.G. REJZOV, Francuzskaja romantičeskaja istoriografija Leningrad, 1956; Cfr. V.M. DALIN, Istoria Francii XIX-XX vekov, M, nauka, 1981, pp. 7-41.
02.          B.D. GREKOV, Kievskaja Rus’, M, 1953; Cfr. B.A. RYBAKOV, Remeslo Drevnej Rusi, M. 1948; Cfr. A.M. SACHAROV, Normauskaja teorija, “S.I.E.”, M, 1967 col. 348.
03.          V.P. LISCOV, Lomonosov Michail Vasil’evič, “SIE”, vol. 8, Moskva, Sov. Enciklopedija, 1965, col. 768.
04.          KARAMZIN, Istoria dell’Impero di Russia, vol. I-IX, Venezia 1828-29
05.          Cfr. R. RISALITI, Storia della Russia dalle origini all’Ottocento, Milano, B. Mondadori, 2005, p. 188.
06.          S.S. VOLK, Istoričeskie vzgljady dekabristov, M-L, Izd. Ak. Nauk SSSR, 1958, p. 335.
07.          R. RISALITI, Storia della Russia, Milano, Bruno Mondatori, 2005, p. 236.
08.          A. WALICKI, Una utopia conservatrice. Storia degli slavofili, Torino, Einaudi, 1973, p. 55.
09.          S.S. VOLK, Op. cit., pp. 318-319.
10.          Vosstanie dekabristov, vol. II, M-L, 1926, p. 167; Cfr. R. RISALITI, Storia del teatro russo dalle origini a Ostrovskij, vol. I, FI, 1998, p. 37.
11.          Poety dekabristy, L, 1949, p. 224.
12.          A.S. PUSKIN, Polnoe sobranie sočinenij v 10 tomach, vol. V, p. 489.

13.          K. F. RYLEEV, Polnoe sobranie sočinenij, M-L, 1934, p.







venerdì 19 luglio 2013

Leandro Piantini. Risorgimento. Recensione al romanzo I traditori di Giancarlo De Cataldo

Leandro Piantini. Recensione al romanzo I traditori  di Giancarlo De Cataldo

Per i 150 anni dell’unità nazionale tra i tanti libri usciti spicca questo romanzo -fiume di Giancarlo De Cataldo che costituisce un evento importante. De Cataldo è anche l’autore, insieme al regista Mario Martone, della sceneggiatura del film Noi credevamo dedicato al Risorgimento.
Il romanzo racconta tutto o almeno una parte significativa di quell’epopea, avvalendosi di un’originale impostazione storica e di un perfetto taglio narrativo. L’autore ha diviso la narrazione in lunghi capitoli dedicati ciascuno ad una fase cruciale del periodo che va dai moti mazziniani del       1844 in Calabria, attraverso l’attività e i tentativi eversivi che vedono all’opera le varie formazioni patriottiche in lotta contro i regimi assolutisti, e si spinge attraverso quei convulsi decenni fino alla proclamazione dell’Unità, e agli ultimi tentativi garibaldini di conquistare Roma con le armi.
Il romanzo si avvale della fluidità e dell’eleganza della narrazione, nella quale si intrecciano descrizioni di ambienti (anche non italiani, per esempio la Londra dove Mazzini e altri patrioti sono in esilio ),i dialoghi tra i personaggi e soprattutto molte azioni, politiche e militari, descritte in modo vivace con una tecnica quasi teatrale e cinematografica. Tra i nodi narrativi meglio raccontati vorrei segnalare l’attentato contro Napoleone terzo compiuto a Parigi da Felice Orsini e dai suoi amici, che provocò un’orrenda strage senza peraltro raggiungere l’obbiettivo.
I traditori è dunque un racconto vibrante in cui sono rappresentati fatti, situazioni, conflitti politici e personali, e quindi balzano in primo piano ideologie e lotte politiche: i temi che hanno interessato per anni la ricerca storiografica sul Risorgimento ma che forse hanno lasciato pressoché indifferente in Italia il grande pubblico.
Magari proprio il libro di De Cataldo potrebbe far scoprire a chi conserva soltanto pallidi ricordi scolastici del Risorgimento, che esso fu un grande evento, nonostante le ambiguità, le doppiezze di alcuni suoi protagonisti e i nodi storici irrisolti (per esempio la questione meridionale) che ha lasciato in eredità. Insomma molti da un libro come questo potrebbero convincersi che il Risorgimento fu pur con i suoi difetti un periodo di grandi sogni e di passioni, da amare dunque e non da disprezzare, e sicuramente da conoscere meglio.
La narrazione di De Cataldo mette in scena numerosi attori: cospiratori, giovani rivoluzionari, idealisti e attentatori, gente del popolo e naturalmente i grandi protagonisti come Carlo Alberto, Mazzini, Garibaldi e Cavour. L’autore fa intrecciare le vite dei personaggi storici con quelle di personaggi di fantasia, e l’aver inserito episodi romanzati accanto a quelli veri a mio parere giova non poco al risultato artistico. Ci sono regnanti e comprimari, in azione nelle insurrezioni, nelle guerre d’indipendenza, nella difesa di Roma nel 1849; ed accanto ad essi troviamo le spie, i doppiogiochisti, i trafficanti, e perché no anche mafiosi e camorristi, in un caleidoscopio di azioni coraggiose ed eroiche mischiate con i sotterfugi, i calcoli di potere, le viltà ecc., in modo tale che tutti, aristocratici borghesi e popolani vengono a recitare una specie di happening nazionale che molto assomiglia a quello che sovente si è ripetuto nel nostro paese e che, mutatis mutandis, si ripete ancor oggi.
Al centro di tutto vi è soprattutto Giuseppe Mazzini, visto nei vari spostamenti cui lo costrinsero le esigenze rivoluzionarie e la caccia che gli davano i governi reazionari e le polizie di mezza Europa, mentre sul suo capo pendeva una condanna a morte.
Se Mazzini è il protagonista storico, quello “inventato” è il barone veneziano Lorenzo di Vallelaura, arrestato nel ’44 in Calabria e costretto a diventare spia degli Austriaci per aver salva la vita. E come spia Lorenzo fa da filo conduttore del racconto, sempre al centro degli eventi e delle macchinazioni, impeccabile nell’eseguire il suo compito di riuscire sempre a sapere tutto quello che Mazzini, il Maestro, ordisce ai danni dell’Austria, e capace sempre di non farsi smascherare, anche se qualcuno intuisce chi è, anzi sembra averlo capito Mazzini stesso ma non lo rivela a nessuno. In fondo quella spia così intelligente fa comodo a tutti. E Lorenzo benché sia una spia direi che si dimostra il più bravo di tutti. Fra tanti rivoluzionari incapaci e pasticcioni egli è professionalmente impeccabile. Ed è giusto perciò che finisca la sua carriera da eroe. Questo spione, che aveva cominciato come rivoluzionario, lo troviamo nel 1867 sulle barricate di Villa Glori a combattere nell’ultimo disperato tentativo dei garibaldini di conquistare Roma con le armi, senza aspettare l’aiuto delle diplomazie europee come avverrà con Porta Pia nel 1870. “Mani robuste lo afferrano, qualcuno gli massaggia le costole a calci, un ufficiale ordina di legarlo e metterlo insieme agli altri. A notte lo portano al carcere del San Michele. Ancora vivo”.
Giancarlo De Cataldo. I traditori, Torino, Einaudi, 2010, pp. 554, euro 21.


       
                            

                                Leandro Piantini



















lunedì 15 luglio 2013

C.O. Gori. Patria nostra, quando mai sarai veramente indipendente?

Patria nostra, quando mai sarai veramente indipendente?

Sono arrivati oggi in Italia i primi aerei F35, che ci sono stati imposti da trattati internazionali (leggi bene…dagli USA che li fabbricano.!).    
Miliardi buttati per guerre “esterne” (e non prendiamoci per il culo con le cosiddette "missioni di pace") che come “satelliti”, per conto d'altri, gli Usa, dobbiamo insieme ad altri europei condurre. Secondo la Costituzione italiana, dovremmo fare guerra solo per la difesa del territorio nazionale. 
E poi i soldi, e molti, buttati (a parte il principio-guerre, ma nello specifico tecnico, anche per dei "bidoni" sensibili ai fulmini - l'hanno detto, anche dove li hanno costruiti, negli Usa  - che ci hanno rifilato)....Logica degli F 35 accettata in Italia dai soliti guerrafondai ed “esclusivi” “patrioti” (???)  italiani, nella logica delle solite fogne di italico collaterale ed esclusivo arricchimento di pochi. 
Operazione quella degli F35 inutile e deleteria per il contribuente italiano...altro che la "nostra industria italiana che ci partecipa”... questi son tecnologici e miliardari "cascami" utili solo a chi ce li impone e poi a chi (quei pochi) servilmente e convenientemente "li piglia" e "li gestisce" "e ci guadagna" e che vengono imposti al popolo italiano ...a tutto il popolo italiano, come quasi dovesse ingoiare una sgradevole purga ... 
...che se le facciano "loro" (gli Usa), le "loro" guerre (e non ci vengano qui in Italia, i “nostri”, Napolitano in testa, a raccontare le solita trita ed irridente favola delle "missioni di pace") e con i loro mezzi, così magari ripensano anche un po', gestendosi queste situazioni nelle quali si sono messi, da soli, alle caz...te che fanno, e non da ora, in politica internazionale...
Una riflessione, il grande Giuseppe Mazzini, uno degli artefici delnostro Risorgimento, così delineò la nostra Patria: "Una, libera, indipendente, repubblicana"
Quindi: una riflessione per i governi italiani: "Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso." (I. Kant)
                                                                                                                 
                   


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