giovedì 22 agosto 2013

Carlo O. Gori. Berlusconi: una questione non solo politica, ma soprattutto....etica...

Berlusconi: una questione non solo politica, ma soprattutto....etica...

Obiettivamente, politicamente parlando, fanno un po' troppa invero irritante "tenerezza" (comprensibile, ma non c'è niente di politicamente "adulto") tutti i bizantinismi giuridici e politici messi in atto dai politici di seconda fascia (di prima ce n'è...solo uno…Lui!) del centro-destra per salvare, con la cosiddetta "agibilità politica", ancora una volta il leader Silvio ( …e per salvarsi anche il loro scranno) ormai condannato in via definitiva con conseguenze ben previste dalle leggi vigenti. Anche costo di far cadere governi condivisi. Non so se la prima condanna definitiva raccolta dall'ex-cavaliere sia giusta, ingiusta o parzialmente giusta, se ci sia stato "accanimento" o meno, ma “candido” Lui certamente non lo è stato e non è e se avesse un po' di dignità si sarebbe già da sè dimesso.  Va bene la riconoscenza dei suoi seguaci, ma il fatto è che sarebbe bene che questi politici del centro-destra si decidessero finalmente a camminare con le loro gambe per raccogliere i consensi del loro bacino elettorale, che esiste nei fatti e che è tutt'altro che minoritario, senza sempre contare sui "miracoli" politico-mediatici" del solito "santo Silvio" (per minorità politica a loro stessi dovuta) visto che prima o poi lo dovranno fare, anche per l'età di quest'ultimo... ...la democrazia (una volta a sinistra si sarebbe detto "democrazia borghese", ma qui...è storia...) è una cosa, "un'arte" direi, molto difficile da gestire, che deve prescindere da capi carismatici ed incontestabili, ma presuppone che ci siano leggi (più o meno buone) che finché non vengono possibilmente con la partecipazione più ampia e condivisa possibile, anche con lotte dure da una parte e dall'altra, cambiate, vanno da tutti, volenti o nolenti, rispettate. Devono prevalere, più che gli egoismi (anche profetici e/o leaderistici) il senso della Comunità, e direi in senso risorgimentale della Nazione e della Patria. Personalmente, ad esempio, pur essendo di sinistra, "nel piccolo" (ma spesso "dal piccolo" si vede "il grande") quando a suo tempo c'erano le partite Italia-Urss, ho sempre tifato per l'Italia a differenza di quanto facevano molti miei compagni. Ho sempre pensato che in democrazia (non in dittatura dove i diritti personali vengono violati) per dirla all'inglese: "my Country, right or wrong, is my Country"......senza nazionalismi prevaricatori, ma con orgoglio (anche critico sul "presente" e sul "passato"), ma sempre con dignità...perché senza nemmeno un'identità (anche se forse storicamente non sempre cristallina...ma chi in giro è senza peccato, scagli la prima pietra....)...dove si va?

                                                                                                                   
                                                 

                                    Carlo Onofrio Gori










sabato 17 agosto 2013

Renato Risaliti. Egitto 2013

Sugli avvenimenti egiziani

Sarebbe facile e semplicistico ricordare che tutta la stampa italiana  (e anche occidentale) due anni fa quando furono rovesciati  i regimi cosiddetti laici tirannici di ben Alì in Tunisia, e di Mubarack in Egitto, parlò erroneamente  di “primavera araba”.
Era un tragico autoinganno che aveva una origine nelle erronee impostazioni culturali della sociologia e storiografia americana che non hanno mai voluto vedere la realtà della cultura islamica basata dal VII secolo dall’Egira su una identificazione totale fra stato e religione, fra politica e religione: Questa erronea  impostazione culturale fondata sulla incapacità  a definire la shariah per quello che è: una concezione interpretativa, unica e totalitaria, della società e quindi assolutamente antinomica ai principi della civiltà occidentale.. Ma questo modo di procedere andava e va benissimo ai americani, sia repubblicani che democratici, per consolidare l’alleanza di ferreo con la monarchia feudale dell’Arabia Saudita e con tutte le fo9rze feudali del mondo arabo e musulmano. Anzi su questo autoinganno si basa la politica americana e occidentale per tenere divisi i paesi del Medio Oriente fra loro e al loro interno. Questo errore iniziale èstato ulteriormente aggravato dalle errate valutazioni iniziali sull’origini dei tumulti popolari che non avvennero, come fu gabellato da tutti i mass media, dal desiderio di libertà di questi popoli  da regimi oppressivi, vessatori, corrotti  oltre ogni credibilità, ma anche e soprattutto per il peso insopportabile della crisi economica e dell’aumento del 70%  del prezzo delle granaglie. La gente moriva letteralmente di fame. Com’è sempre successo nella storia di tutti i popoli quando il popolo ha fame non cìè religione che la possa attenuare: i popoli si ribellano. Così è sempre stato, è e sarà fino a che il sole brillerà sulle sciagure umane. Morsi e i fratelli musulmani hanno approfittato del momento per promettere un miraggio: i principi coranici e dell’islam produrranno il miracolo. La gente in larga misura vi ha creduto, ma è stata, come era da attendersi, crudelmente delusa. Piazza Tahir stracolma è stata la testimonianza più cocente di questa delusione. Morsi, sul quale Obama aveva fatto tanto affidamento data la sua educazione americana, si è dimostrato un incapace, un integralista islamico, assetato di potere per sé e i suoi collaboratori.
L’Esercito ne ha approfittato per riprendersi  il potere che a partire dal 1952 ha sempre avuto. In sostanza si sono permessi di bloccare per settimane il normale  traffico della capitale. Avvertiti ripetutamente invocavano il ritorno di Morsi e di tutte le sopraffazioni  islamiche cui avevano dato prova i cosiddetti “fratelli musulmani”.
Errore nell’errore, quest’ultimi si sono presentati alla prova con le armi in pugno. Le decine di agenti uccisi dimostra che gli islamisti già avevano le armi e che poi hanno resistito con la forza di quelle armi. L’Esercito, la forza politico-militare più moderna in Egitto e in tutto il Medio Oriente li ha sconfitti sul campo. Ora deve addirittura proteggere gli islamisti. Come abbiamo visto in tv nella moschea  Al Fatah, dall’ira popolare.
Questi i fatti!
La lezione da trarre:

1)      si dimostra  una volta ancora che con il fanatismo religioso non si può risolvere nessun problema sociale;
2)      l’Occidente ha appoggiato, con un autolesionismo incredibile, le forze più arretrare delle società islamiche;
3)      e ora quella strada, dopo aver provocato questi conflitti sanguinosi ha raccolto solo due risultati:
                       
                        a)      ha diviso quelle società per continuare a                                             sfruttarle meglio;
                         b)      non ha vere alternative da proporre.

                                                                                        
                                     

                                Renato Risaliti








giovedì 15 agosto 2013

Carlo Onofrio Gori. Noi credevamo di Mario Martone: il cinema italiano e il Risorgimento

Noi credevamo di Mario Martone:  il cinema italiano e il Risorgimento  

Noi credevamo, ispirato al libro omonimo di Anna Banti, sebbene  film “patriottico-critico”, era di per sé già destinato, uscendo alla fine del 2010, a far da battistrada alle previste, “utili” e “necessarie”, ma “difficili”, Celebrazioni per il 150° dell’Unità, minate dagli affanni della crisi economica e “costrette” fra le recenti ed ignoranti ripulse “leghiste” del Nord e le ricorrenti suggestioni  neoborboniche della “controstoria” del Sud.
Il “risorgimentale” film, inizialmente boicottato dalla distribuzione, ma apprezzato dal pubblico, è stato poi meritatamente “servito” come “piatto forte” nei dibattiti di molti eventi celebrativi del 2011, e ciò ha indubbiamente contribuito ad alimentarne la notorietà (e gli incassi) al contrario di quanto è accaduto ai più recenti, peraltro più “limitati” nelle ambizioni e anche discutibili, film sulla Resistenza, quali ad es.: Porzûs di Martinelli, I piccoli maestri di Luchetti, il Partigiano Johnny di Chiesa.
In quattro capitoli, “Le Scelte” (1828-32), “Domenico” (1852-55), “Angelo” (1856-58), “L'alba della Nazione” (1862-68), si racconta la storia di tre ragazzi del Cilento che nel 1828 aderiscono alla Giovine Italia prendendo poi vie diverse. Angelo e Domenico, sono di origine nobiliare, mentre Salvatore è il figlio del popolo che sconterà quasi subito la sua condizione subalterna perché, creduto traditore, verrà ucciso da Angelo, il più invasato, che finirà poi travolto dai suoi stessi ideologici furori. Ma sarà soprattutto con lo sguardo di Domenico, idealista ma “umano”, che gli spettatori ripercorreranno alcuni episodi della storia del Risorgimento. Argomento questo trattato da lunga data nel cinema italiano dove, a prescindere da regimi e governi, registi come Blasetti, Brignone, Gallone, Rossellini, Visconti, De Sica, Alessandrini, Rosi, il prolifico Magni, e solo per citarne alcuni, hanno soprattutto dato fiato all’immagine “ufficiale”, edificante ed eroica, della “vulgata” risorgimentale. Martone usa invece quella nostra storia come pretesto e metafora e ne sottolinea i lati oscuri e le contraddizioni. Tuttavia chi rammenta opere comeAllonsanfan, Quanto è bello lu murire acciso, Bronte sa che, in senso antiapologetico, il cinema italiano, nella temperie politica degli anni ’70, si era già espresso sul Risorgimento con opere di assoluto vigore nel solco della linea interpretativa di Salvemini e Gramsci: democratica, repubblicana e meridionalista.
Del resto lo stesso Martone  (“L'Espresso”, 11 ottobre 2012 pag. 103) ha affermato: "Ho girato Noi credevamo mirando a ciò che è sotto la pelle della storia, ho cercato di cogliere il clima esistenziale vissuto da ragazzi diventati uomini e mai piegati sotto il peso di una lotta disperata, quei mazziniani antenati dei partigiani, dei movimenti degli anni '60 e '70, dei democratici che in Italia conoscono una storia drammaticamente altalenante, tra faticate vittorie e continue sconfitte”.
Anche in tal senso il film di Martone, per sin troppo evidente somiglianza, richiama alla memoria La meglio gioventù  di Marco Tullio Giordana che nel 2003 ebbe vasto successo: non a caso il bravo Luigi Lo Cascio è il fil rouge di ambedue i film, il Nicola di Giordana e il Domenico dell’età matura di Martone.
Nel film, il ’48 e la Repubblica romana, l’impresa dei Mille (quasi si volesse evitare il confronto con i registi che questi fatti li hanno ampiamente trattati, oppure di scivolare nella retorica risorgimentale) compaiono solo come echi lontani, infatti gli eventi rappresentati sono: il cruento epilogo dei moti antiborbonici del Cilento, la fallita eliminazione di Carlo Alberto, i moti del 1834 in Savoia, l’attentato di Orsini contro Napoleone III, ed infine, l’Aspromonte del ’67, che per i democratici segnerà la fine delle residue speranze mazziniane e garibaldine e sancirà  il trionfo del patriottismo “moderato” nel segno della sabauda “diplomazia-armata”, espansionistica e repressiva.
Un film importante e dalle grandi ambizioni e allusioni, ed è questo il suo vero limite: una materia ampia che Martone e il suo sceneggiatore Giancarlo De Cataldo, smarrendo a volte lo slancio narrativo, fatalmente sono spesso costretti a sintetizzare con la necessità di un didatticismo incombente che sottrae passione e anima ai personaggi indulgendo invece in “facili” immagini provocatorie che ci riportano al presente, come la modernità della scala metallica percorsa da Angelo e Orsini verso la ghigliottina o i pali in cemento armato delle case mai finite, oggi frequenti nel paesaggio del nostro Meridione. Inoltre non sempre risulta in equilibrio il mix realtà/finzione-figure di fantasia/personaggi storici. Di quest’ultimi Martone, rispetto ai “padri della Patria”, ne privilegia alcuni fra i “secondari”: generosi idealisti come la Belgiojoso e Orsini a fronte di un  Crispi, figura emblematica del tradimento degli ideali repubblicani, ma anch’essi, in questa filologica ricostruzione, sono forse quelli meno riusciti poiché appare in loro un qualcosa di  irrisolto. Resta sullo sfondo, molto defilato, un Mazzini-Servillo (qui già vecchio dal 1830, quando aveva solo 25 anni!), mentre Garibaldi, a cavallo sulla vetta di un colle, è solo una notturna evocativa ombra, in una scena suggestiva, ma un po’ melodrammatica.
Su altri piani di analisi il film è notevole: la colonna sonora, diretta da Roberto Abbado, propone musiche coeve da opere di Verdi, Rossini e Bellini, mentre il canto popolare Camicia rossa accompagna i titoli di coda; la scenografia nella ricostruzione ambientale è valida; oltremodo suggestiva la fotografia di un ‘800 pittorico macchiaiolo ed impressionista.
Insomma, soprattutto se visto più  d’ una volta (e in ciò il tour celebrativo facilita),  indubbiamente un buon film, malgrado che, come si sa, la pervicace ricerca dell’ottimo sovente possa essere... nemica del buono.

                                                                                                               
                 




                          Carlo Onofrio Gori










Questo articolo è riproducibile parzialmente o totalmente previo consenso o citazione esplicita dell'Autore.


Articolo pubblicato in: "Il Grandevetro" , n. 215 [109 n.s.] (mag.-giu. 2013)