Considerazioni
sulla metodologia della ricerca storica *
Professor
Risaliti, nella replica ad una domanda
fatta da un signore in sala mi è parso di capire che il fine specifico del
lavoro storico sia quello di ricercare la verità e in secondo luogo quello di
capire i risvolti umani che stanno dietro ai fatti storici. Su questo concetto
di verità vorrei una sua precisazione perché ho l'impressione che questo
termine possa apparire ambiguo e deviante, se non inserito in un quadro storico‑sociale e politico preciso.
Nella
storia passata e recente, molte volte gli intellettuali, con la pretesa di
ricoprire nella società un ruolo a parte, fondato sulla conoscenza
"disinteressata" e separata dalla dinamica sociale e politica, si
sono prestati, invece, ad eseguire studi che non avevano niente di scientifico,
rigoroso, neutrale. Non hanno perseguito il fine, che lei ha accennato nel suo
intervento, di ricerca della verità storica.
Gli
storici ufficiali, "accreditati", quelli che insieme ad altri creano
valori, norme, cultura, hanno sempre svolto operazioni di supporto e di legittimazione
alla leadership del momento.
Se
si guarda bene, la storia è sempre stata scritta dai vincitori e mai dai vinti.
Chi
ha il potere in quel momento,in quel periodo, ha bisogno di controllare il
consenso della collettività.
Ha
bisogno di intellettuali, più o meno allineati, s'intende in buona fede, ai
quali commissionare lavori, pubblicazioni, convegni, seminari, che diano fiato
alla politica del committente.
Ciò
è talmente evidente che non è necessario scomodare la storia dell'arte, la
storia della letteratura, recente e passata, per capire la collocazione degli
intellettuali.
A
questo proposito, vorrei sapere il suo giudizio sull'autonomia degli
intellettuali. Esiste questa autonomia o è un falso problema? Chi scrive la
storia, come, per chi?
Siccome
il prof. Petracchi non ha potuto rispondermi adeguatamente perché il mio
intervento, in ordine di tempo, era l'ultimo e si era fatto tardi, il
presidente della nostra Associazione mi ha invitato a scrivere qualche
riflessione sui temi scaturiti dalla mia domanda.
Ho
accettato ben volentieri e illustrerò alcune questioni, che vorrei dibattere
col prof. Petracchi e i relatori intervenuti nella conferenza‑seminario su Resistenza nazionale
e locale: le fonti e i metodi della ricerca storica.
Devo
dire che per quanto riguarda la metodologia della ricerca storica le relazioni
e il dibattito hanno offerto pochi spunti di confronto. Nessuno, mi sembra, ha
chiarito bene il suo punto di vista e le caratteristiche dell'osservazione
storica che lo hanno guidato nella sua indagine. Le relazioni sono state
presentate come prodotti da divulgare, da far conoscere in modo da rileggere
alcuni luoghi comuni sulla Resistenza come fatto storico e politico.
Difficilmente
gli intellettuali, i ricercatori, lasciano tracce tangibili del loro percorso:
forse non hanno una metodologia critica e tutto si riduce ad un descrittivismo
soggettivo, oppure si mimetizzano dietro un linguaggio di parole più che di
fatti, di prove, di testimonianze diverse, di "discipline ausiliarie"
e complementari: “L’itinerario che l'esploratore stabilisce in partenza, egli
stesso sa bene in anticipo che non lo seguirà passo passo. Ma, a non averne
uno, rischierebbe di errare a caso per l'eternità”. E' una citazione presa in
prestito da Marc Bloch (Apologia della storia o Mestiere di storico,Torino,
Einaudi, 1998, p.52) che chiarisce, meglio di me, cosa intendo come percorso di
ricerca; di percorsi ce ne sono tanti, basta esplicitarli, farli capire
all'inizio del lavoro.
In
maniera schematica vorrei indicare alcuni elementi che caratterizzano
l'osservazione storica in modo da
aprire un dibattito su questi punti, che apparentemente sembrano evidenti, ma
in realtà offrono spunti al dubbio e alla discussione.
1)
Il fatto storico sarebbe un dato certo, reale, o vero o falso, indiscutibile.
Questa evidenza è assai radicata tra i ricercatori storici. Mettere in
questione questa convinzione non significa affatto che ci si debba rifugiare in
uno scontato relativismo (a ciascuno la propria verità storica). Da una parte i
fatti storici vengono percepiti in modo differente (perché occultati in modo
diverso) secondo il tempo, il luogo, il ricercatore, il committente e
l'ideologia di riferimento. Dall'altra parte, essi sfuggono alla
sperimentazione diretta a causa della loro natura "passata"; essi non
sono percepibili se non per progressive approssimazioni, sempre più vicine al
reale, mai compiute né complete.
2)
Ogni intellettuale, ogni ricercatore, come certificato di garanzia del proprio
lavoro si serve di una buona e accreditata bibliografia. Una buona bibliografia
deve distinguere rigorosamente i materiali primari (fonti) e gli scritti degli
altri storici (opere).Tra gli scritti che rendono possibile la conoscenza del
passato, anche gli storici rivendicano uno status speciale, ancora una volta su
base corporativa: gli scritti di storia e non di diritto,di medicina, di
filosofia, di letteratura. Le ricerche dei loro colleghi accademici sono così
distinte dagli altri materiali relativi al passato: leggi, altri atti pubblici,
documenti amministrativi, corrispondenze private, discorsi pubblici ecc. Ma
questa comoda convenzione è una dubbia certezza, poiché ogni materiale,
qualunque sia il suo carattere e la sua data, sia esso contemporaneo ai fatti o
posteriore, riflette solo in modo incompleto la realtà storica. Piuttosto la
rifrange, attraverso le preoccupazioni e gli interessi collettivi o individuali
di chi l'ha stabilito. Lo storico non è più neutrale del legislatore, dello
scriba, dell'archivista, del memorialista.
3)
Ogni fenomeno storico, come ogni fatto linguistico, dovrebbe essere analizzato
sia in una serie verticale, nella dimensione temporale (diacronia), sia in una
serie orizzontale con riferimento a tutto ciò che è.
contemporaneo(sincronia).Gli assertori di questo metodo vogliono inchiodare
l'uomo, immobilizzarlo all'incrocio di queste due dimensioni, incasellando,
cosi, tutto il campo storico. Per restare nell'immagine, diciamo che invece
dell'incasellamento diacronia‑sincronia,
rispetto al quale l'osservatore è esterno, si può considerare una specie di
spirale al centro della quale si trova l'osservatore interno al campo storico.
Il
rapporto del nostro tempo con ciascuna epoca del passato è più importante del
rapporto di ogni epoca del passato con ciò che ne rimane.
4)
La periodizzazione è un’ estensione, un affinamento della diacronia. Lo
studioso non solo privilegia la successione dei fatti nel tempo, ma il suo
compito principale sarebbe quello di organizzare questo flusso temporale, di
evidenziarne i cardini, le fasi più o meno statiche e le brusche accelerazioni,
i periodi. Questo tipo di analisi storica fa parte della vecchia nostalgia
della storia universale. La mania della periodizzazione è ulteriormente
rafforzata dalla pratica pedagogica: dal momento che il solo obiettivo della
storia è quello di fornire un quadro neutro della successione temporale, il cui
sviluppo avverrebbe al di fuori di noi, risulta di pratica utilità fissare dei
punti di riferimento. Ancora, viene scambiata per certezza una tecnica di
studio, giustificata in certi casi solamente. Non viene mai fatto presente il
quadro ideologico in cui avviene questa operazione: ogni cultura ha un suo modo
di periodicizzare.
5)
Non si fa analisi storica scientifica se non si ricorre ai parametri
quantitativi. I quantificatori trascurano ostinatamente tutto ciò che le cifre
con cui alimentano i computers hanno di incerto, di soggettivo. Queste cifre
valgono soltanto per quel che valevano le intenzioni, i fini di chi le ha
scelte, in breve, la sua ideologia.
Quando
si vuole imporre, di un fenomeno storico, una tesi, una certa verità storica,
si prendono questi dati "neutri", numeri, tabelle, grafici, e si
trascurano le evidenze politiche, umane, che hanno determinato quel fenomeno
storico. Nessuno ci dice perché si sono
prese certe cifre invece di altre. Nessuno ci svela chi è il vero committente
dietro la ricerca storica. Sulla base di queste evidenze, fatti storici fonti e
opere, diacronia e sincronia, periodizzazione, quantificazione (inventario incompleto)
si può descrivere un certo numeri di caratteri fondamentali del discorso
storico.
Sono
i caratteri che riflettono la nostra visione del mondo, la nostra ideologia; il
discorso dello storico ne costituisce al tempo stesso il riflesso e il sostegno.
Luigi Angeli
*
Intervento al Convegno pistoiese "Resistenza nazionale e locale: apologia o libera ricerca? Le Fonti e metodi della ricerca storica" organizzato dall' Associazione Culturale Proteo Pistoia i cui Atti furono pubblicati nel 2003.
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