Eroi senza armi: i "Giusti" della Toscana
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Questo articolo è riproducibile, del tutto o in parte, avendo però cura di citare chiaramente l'autore e le fonti.
La
tradizione talmudica onora con l’appellativo di “Giusto tra le Nazioni” il
non-ebreo che abbia salvato l’ebreo dalle persecuzioni. In tal senso nel 1953,
la Knesset, il Parlamento israeliano, ha adottato una legge concernente la
memoria dei Martiri e degli Eroi fondando un’istituzione ebraica universale sul
Monte della Rimembranza (Har HaZikaron) a Gerusalemme, il Memoriale di Yad
Vashem. Il titolo di “Giusto” individua e rende omaggio a chi, mentre infuriava
la Shoah, ha soccorso ebrei, disinteressatamente e suo rischio e pericolo, ed è
attribuito sulla base delle testimonianze oculari, oppure di documenti
attendibili. Al "Giusto" vengono consegnati una medaglia e un diploma
d'onore, durante una cerimonia che si svolge sia a Gerusalemme, che nel paese
d'origine e fino a poco tempo fa egli piantava un albero sul Monte della
Rimembranza, oggi invece, essendo ormai la collina fitta di piante, viene
apposta una targa col suo nome nella sede del Memoriale.
Gli
otto volumi dell’Enciclopedia dei Giusti, compilata dallo Yad Vashem, opera
“aperta”, sempre soggetta a nuove edizioni di aggiornamento ed incremento, ci
ricordano che oggi i “Giusti tra le Nazioni” sono più di 20.000, mentre il
volume che riguarda il nostro Paese, recentemente pubblicato, I Giusti d'Italia.
I non ebrei che salvarono gli ebrei, 1943-45, ci dice che già alla fine del
2005 gli italiani riconosciuti tali si aggiravano intorno ai 400, senza contare
i dossier nel frattempo all’esame. Scorrendo il libro ci è sembrato senz’altro
“giusto” soffermarsi, anche con il corredo di altri documenti, sulle pagine dei
23 Dossier che narrano le vicende e celebrano le figure dei "Giusti"
toscani.
Dopo
l’8 settembre 1943, l'occupazione tedesca e la nascita della RSI, anche in
Toscana, dove furono istituiti o potenziati almeno quattro grossi campi di
internamento, l’apparato politico e statale fascista repubblicano collaborò
attivamente con i nazisti e, spesso di propria iniziativa, mobilitò nella
caccia all’ebreo non solo le camice nere, ma anche polizia e carabinieri.
E’
in questo clima che maturano gli episodi di coraggio e di valore dei “Giusti”
toscani ed è a Firenze il numero maggiore di dossier che li riguarda, anche
perché il capoluogo toscano, con Torino, Genova e Roma, è uno dei quattro
maggiori centri della Delasem in Italia. Qui opera il giovane rabbino Nathan
Cassuto che crea un efficiente gruppo di assistenza ai profughi giunti in
Italia dalle loro zone di rifugio dei Balcani oppure del Sud della Francia,
fino ad allora occupate dalle truppe italiane. L’arrivo dei tedeschi e la
chiusura della Comunità aggravava il problema di assistenza agli ebrei
stranieri che continuavano ad affluire in città così il rabbino ed altri
esponenti dell’organizzazione chiesero aiuto alla Chiesa cattolica fiorentina;
i contatti con il cardinale Elia Dalla Costa furono tenuti tramite Giorgio La
Pira, che abitava nel convento di San Marco. L’appoggio non si fece attendere
ed il cardinale convocò immediatamente Padre Cipriano Ricotti, domenicano di
San Marco, originario di Pistoia, e poi Don Leto Casini, parroco di Varlungo,
incaricandoli di trovare riparo ai profughi. Grazie a Ricotti e a Casini,
l’assistenza della Delasem tramite il neocostituto Comitato ebraico-cristiano
assunse in breve proporzioni notevoli: i profughi venivano accompagnati in
rifugi di transito come il Seminario minore, da dove poi venivano smistati
verso insospettabili case private e soprattutto conventi e istituti religiosi
(oltre ventuno) toscani ed umbri. Per chi voleva continuare la fuga verso le
zone liberate o la neutrale Svizzera fu necessario trovare vestiario, viveri e
documenti falsi che arrivavano sia tramite Mario Finzi, della Delasem
bolognese, che mediante contatti con la Resistenza toscana attivati da Padre
Ricotti. Noto in quest’ambito l’oscuro, faticoso e rischioso compito di
“postino” fra Firenze e Assisi svolto dal grande campione ciclista Gino
Bartali.
Purtroppo
però l’opera di una spia infiltrata dalle SS nel Comitato, tal Felice Ischio da
Torino, portò alle retate del 6/7 novembre a Firenze, Montecatini e Bologna, in
seguito alle quali Padre Ricotti, molto esposto, venne prudenzialmente
trasferito dalle gerarchie ecclesiastiche nel convento di Prato e poi, il 26
novembre, all’arresto della dirigenza del Comitato ed alla scoperta di molti
rifugiati. Cassuto e ed altri vennero arrestati e deportati, mentre Don Leto
Casini, tradotto ed interrogato a Villa Triste, poté poi scampare alle grinfie
degli sgherri di Carità solo grazie ad un intervento deciso ed autorevole, ma
indubbiamente rischioso, del cardinale Elia Dalla Costa. Continuò la sua opera,
per la quale è stato anche insignito, il 25 aprile 2004, della Medaglia d’oro
alla Memoria, nella completa clandestinità.
In
ogni singolo dossier ci sono a volte molti “Giusti” che aiutano un solo ebreo,
mentre nel caso di questi due eccezionali “Giusti”, Padre Ricotti (Dossier
2244) e Don Casini (D. 3546), avvenne esattamente il contrario: gli ebrei
aiutati sembrano essere stati circa 300-400, soltanto nel periodo
ottobre-novembre 1943.
Altri
religiosi vicini al Comitato si assunsero allora il compito di ospitare e
salvare non pochi rifugiati superstiti dalle retate di fine novembre, fra
questi spiccano i nomi di Don Giulio Facibeni, figura carismatica della chiesa
fiorentina, Pievano di Rifredi e fondatore dell’Opera Madonnina del Grappa (D.
2987), che nascose vari giovani nel suo orfanotrofio e di Don Giovanni Simioni
(D. 3546) che salvò 12 donne e bambini trasferendoli con un rischioso viaggio
nell’originaria Treviso dove furono poi accolti da Don Angelo Della Torre e Don
Giuseppe De Zotti. Altri “Giusti” fiorentini sono: Madre Maddalena Cei (D.
2961) che salvò la vita a 12 ragazze ebree polacche e belghe facendole
travestire da suore e nascondendole nel convento delle Serve di Maria SS.
Addolorata di via Faentina; il sessantenne Don Giulio Gradassi (D. 3433) che
accolse la famiglia ebrea-polacca Pick; Lina e Mario Canterini (D. 1615) che
salvarono i figli di Nathan Cassuto, Daniel ed Anna (poi purtroppo morta di
malattia a Montecatini Alto); il pastore evangelico Tullio Vinay (D. 1621) che
con i coniugi Amato e Letizia Billour (D. 3323), anch’essi evangelici, mise in
salvo altri vari membri della famiglia Cassuto; Luciana Boldetti (D. 1336) che
ospitò Anna Ottolenghi riuscendo poi a farle varcare la frontiera Svizzera;
Gennaro Campolmi, azionista, (D. 2199) che procurò numerosi documenti falsi ai
rifugiati e poi salvò con l’aiuto dell’amico Luigi Pugi (D. 781) la famiglia
del suo datore di lavoro Goffredo Passigli; Lelio e Lina Lai Vannini (D. 1875)
che accolsero la piccola Margherita Neehama Calfon trattandola come una figlia;
Leonilda Barsotti Pancani che diede rifugio a quattro ebrei stranieri nella sua
casa di via della Vigna Vecchia 3.
Prato
annovera fra i “Giusti” Gino Signori (D. 1294), noto pittore, che durante la
sua permanenza come internato militare al lavoro coatto ad Amburgo salvò, anche
grazie alla sua mansione di infermiere ed alla perfetta conoscenza del tedesco,
numerose donne ebree.
In
provincia di Pistoia sono tre i dossier dei “Giusti”: quello delle famiglie di
Sem e Maria Grassi di Agliana e di Pietro ed Albina Gori di Montale (D. 2620)
che salvarono la vita ad Alberto Saltiel; quello della famiglia di Umberto ed
Amina Natali (D. 3710) che a Pescia misero in salvo le sorelle fiorentine Lea,
Michal e Miriam Della Riccia; ed infine quello della pesciatina Frisino Basso
Lida (D. 1559) che nella sua casa di Lunata (LU) grazie anche all’aiuto dei
padri del Convento di Porcari e di due partigiani, Michele Lombardi e Roberto
Bartolozzi, trasse in salvo un folto gruppo di ebrei organizzando la fuga di
cinque di essi in Svizzera.
A
Lucca un coraggioso sacerdote oblato, il “Giusto” Don Arturo Paoli (D. 2560),
sotto la diretta protezione dell’arcivescovo Antonio Torrini, diede vita con
l’eroico ebreo pisano Giorgio Nissim, che aveva dovuto per sicurezza lasciare
la propria città dove stava svolgendo una vasta opera di soccorso, ad un
Comitato collegato alle Delasem di Genova e Firenze ed operante dal convento di
via del Giardino Botanico. Il Comitato con il concorso di Don Siro Niccolai,
Don Guido Staderini e Don Renzo Tambellini, e con l’aiuto di partigiani, di
civili di ogni condizione e di religiosi e religiose di varie congregazioni,
riuscì a nascondere in Lucchesia e Garfagnana decine e decine di rifugiati
provenienti dalla Francia oppure delle vicine Pisa e Livorno.
A
Pisa, le famiglie Di Porto, dopo l’emanazione dell’ordine di cattura di tutti
gli ebrei da parte della RSI dei primi di dicembre 1943, si trasferirono in un casolare
abbandonato nelle campagne di Montecatini Val di Cecina. Individuati, vennero
avvertiti di un imminente rastrellamento dal medico Marcello Guidi e dal
brigadiere dei carabinieri Francesco Soro. Soccorsi da molti contadini,
trovarono poi sicura e definitiva accoglienza nel podere Le Tinte gestito dalla
famiglia Bartalucci composta da Biagio, dal figlio Bruno, dalla moglie Armida
Belucci e dalla nuora Giacomina Gallinaro (D. 2362).
A
Marina di Carrara, malgrado il continuo andirivieni delle truppe tedesche che
presidiavano la “Gotica”, la famiglia del fervente antifascista Alessandro
Sgatti, composta dalla moglie Irina e dalla figlia Luce (D. 2382) riuscì ad
accogliere dal novembre ‘43 all’aprile ‘45, nascondendone abilmente l’identità
e trattandolo come un figlio, il tredicenne milanese Adolfo Vitta il cui padre
era stato deportato ad Auschwitz.
A
Siena il sig. Giacomo Sadun, avuta notizia della retata romana dell’ottobre
1943, decise di nascondere la sua numerosa famiglia (9 persone): le donne trovarono
asilo presso il convento di S. Regina protette dalla madre superiora Moggi,
mentre gli uomini furono accolti nella parrocchia di Don Rosadini a S. Agnese a
Vignano. Alla notizia delle irruzioni nazifasciste del dicembre 1943 nei
conventi fiorentini la famiglia ritenne consigliabile lasciare i propri rifugi
e venne per lungo tempo ospitata dall’anziana signora Elvira Pannini (D. 1653)
e poi dalle famiglie Adami e Cardini.
A
Giampiereta, paese di montagna in provincia di Arezzo, trovò asilo Umberto
Franchetti, noto pediatra fiorentino, con la moglie Anny Pontremoli e le figlie
Lina, Celestina e Luisa. La famiglia sfuggita nel capoluogo toscano alla retata
nazifascita di novembre, venne affidata da un amico del professore, frate
Achille del convento de La Verna, a Francesco ed Emilia Ciuccoli (D. 4282), che
la ospitò amorevolmente sottraendola anche, con l’aiuto di tutti i paesani,
all’ identificazione durante un rastrellamento antipartigiano operato nella
zona dalla divisione Hermann Goering.
Infine,
in provincia di Grosseto, ben due dossier riguardanti otto “Giusti” interessano
il suggestivo borgo di Pitigliano, la “piccola Gerusalemme”, sede di una delle
più antiche comunità ebraiche italiane che prima delle leggi razziali arrivava
al dieci per cento della popolazione locale. Il Dossier 5295 riguarda Agostino
e Annunziata Nucciarelli, Sem ed Adele Perugini, Domenico e Letizia Simonelli
che con l’aiuto di altri compaesani salvarono la numerosa famiglia Poggi Sadun,
mentre il Dossier 2824 concerne il “Giusto” Fortunato Sonno che mise in salvo
la famiglia Servi che viveva a Pitigliano da molte generazioni.
Queste,
in sintesi, le storie ed i nomi dei “Giusti” toscani: ciascuna meriterebbe per
lo meno lo spazio di un articolo. Dei lettori potranno tuttavia meravigliarsi
di non aver trovato qualche protagonista di consimili episodi a loro noti, ma
in proposito Yad Vashem è chiaro: i finora riconosciuti “Giusti” sono molti
meno di quelli che dovrebbero essere, molte pratiche sono aperte, comunque la
conditio sine qua non per l’avvio delle procedura di riconoscimento, (lunga,
complessa e rigorosa) è che salvato/i e/o salvatore/i, o loro discendenti,
debbano farne esplicita richiesta e questo in molti casi non è stato (ancora)
fatto poiché i “Giusti” obbedirono ad un dovere morale come la cosa più
naturale da fare in simili circostanze, senza chiedere ed aspettarsi niente.
Uscirono così dalla vasta e comoda “zona grigia” dell’indifferenza,
dell’opportunismo, della paura, affrontando serenamente i pericoli
rappresentati da persecutori fanatici, spie ed interessati delatori. Umili
eroi senza armi riscattarono, anch’essi, l’onore del nostro Paese.
Carlo Onofrio Gori
Sintesi e
rielaborazione dell’articolo di Carlo O. Gori, “I Giusti” di Toscana: schiaffo all’“indifferenza”. La storia dei
toscani che operarono in favore degli ebrei durante le persecuzioni
nazifasciste, il ruolo della chiesa e della gente comune, in “Microstoria”,
n. 51 (gen-mar. 2007).
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