“L’Illustration” e la Campagna d’Italia del 1859. 3 (fine)
La prima vittima nella guerra è
la verità.
L’immagine della guerra ha una lunga storia e la letteratura di argomento
bellico è nata insieme alla guerra stessa. L’epica dell’Iliade di Omero
(secc.IX-VIII a.C) è l’origine dell’interpretazione eroica della guerra: quella
di Troia può essere considerata la guerra madre della civiltà occidentale.
Soltanto gli eroi possono determinare le sorti di un conflitto, purché gli dei
siano loro favorevoli. La rappresentazione visiva della guerra ha cominciato ad
evocare, timidamente, l’azione, il pericolo e la sofferenza solo con il
Rinascimento: sono le battaglie famose di Leonardo (Battaglia di Anghiari,
1505), di Piero della Francesca ( Battaglia di Costantino e Massenzio, 1458
ca.) e di Paolo Uccello (Battaglia di San Romano, 1435-1440). Comunque, i
maestri del Rinascimento e i loro allievi non riuscirono a superare le barriere
della tradizione. I guerrieri erano eroi e le battaglie rimasero meravigliose
composizioni formali in onore dei loro committenti. I primi esperimenti di rappresentazione
documentaria della guerra apparvero con la Rivoluzione Francese e l’impero
napoleonico. Sono le 83 acqueforti di Francisco Goya , Los Desastres de la
Guerra, incise tra il 1810 e il 1820, che denunciano le atrocità compiute dai soldati
francesi per soffocare le aspirazioni libertarie degli spagnoli. Queste
“gravures” verranno pubblicate per la prima volta, ad eccezione di tre lastre,
nel 1863, dopo la morte di Goya, avvenuta il 16 aprile 1828 a Bordeaux. Lo
stimolo di trasmettere la realtà della guerra con la pittura sopravviverà e
continuerà a ispirare artisti come Yvon, Beaucé, Vernet, Pietro Tetar van
Elven, in Francia, Menzel in Germania, Ademollo, Bossoli, Fattori, Joli, in
Italia. Ma fu con la diffusione dei giornali, soprattutto in Inghilterra e
Francia attraverso le celebri testate quali The Illustrated London News e
L’Illustration. Journal Universel che si afferma un giornalismo di carattere
mondano e commerciale di grande consumo, espressione dei ceti dominanti. Anche
i giornali che, a partire dalla metà del secolo XIX, aumentarono bruscamente di
numero e tiratura, erano legati alla tradizione della lettura pubblica, della
discussione comune e, dunque, ad una forma collettiva. Poiché, a causa del
livello della tecnica tipografica prima del 1850, erano cari, venivano
generalmente acquistati in abbonamento, oppure consultati nei caffè o nelle
sedi di società di lettura. Oltre ai nobili, che leggevano e discutevano tra
loro nei salotti, oltre ai circoli borghesi dei commercianti, le società di
lettura consentivano a loro volta, a pagamento, l’accesso alle informazioni. La
linea editoriale dell’Illustration, elaborata da Charton, Paulin e Dubochet è
quella di un giornale apolitico e neutrale. “L’Illustration non è una tribuna politica;
la sua unica ambizione è quella di riflettere, come uno specchio fedele, gli
uomini e le cose del suo tempo, nell’interesse dei suoi lettori attuali e per
l’educazione di questi, che avranno il compito di rivedere, controllare, più
tardi, le pagine scritte senza altra passione che quella per la verità” (L’IJU,
“Prefazione”, tomo IV, primo marzo 1845).
Nonostante
i redattori rivendichino una neutralità politica, la rubrica Histoire de la
semaine (Storia della settimana), articolo di fondo del direttore J.B.Paulin,
esprime, nella scelta dei soggetti, degli articoli culturali e nel loro
trattamento, la volontà di mantenere lo status quo, ovvero un accordo tacito
con le classi emergenti. La costruzione della rete ferroviaria, la tipografia,
il telegrafo o la fotografia, i viaggi, la colonizzazione, le catastrofi
naturali, sono l’oggetto di numerosi reportages e testimoniano l’attenzione per
il progresso tecnico e le innovazioni tecnologiche. Centrale su tutto
l’immagine. Le incisioni sono
selezionate secondo il loro potere di seduzione. Prima di istruire il lettore,
le illustrazioni devono affascinare e suscitare l’interesse a comprare il
giornale. L’immagine è intesa come un modo di conoscere le varie forme del
sapere.
Per
alimentare il bisogno di informazioni, il settimanale trasforma dei fatti in
eventi consumabili: l’immagine è un criterio di selezione che orienta la scelta
editoriale. Se il disegno arriva troppo tardi per essere stampato,
l’avvenimento non è segnalato. In questo quadro, le incisioni da fotografie
costituiscono una fonte iconografica supplementare e il loro valore
d’informazione non è superiore a quello del disegno. Sotto il secondo impero di
Napoleone III (1852-1870), l’illustrazione appare come uno dei mezzi per
acquisire nuove quote del mercato dell’industria culturale francese, nonché del
consenso politico. Per questo motivo è necessario controllare. La costituzione
del 1852 non parla di stampa; è per decreto che Napoleone III intende
controllarla. I decreti del 17 e del 23 febbraio 1852 sono semplici e lineari:
nessun giornale può essere pubblicato senza l’autorizzazione del governo
(autorizzazione rinnovabile nell’occasione del cambiamento del redattore capo,
per esempio, o del gerente); tutti i quotidiani pagano una cauzione (eccetto i
giornali o riviste letterarie, scientifiche, artistiche); un diritto di bollo
di sei centesimi per numero. Inoltre, il decreto, individuò la figura del
direttore responsabile, ossia di una persona che doveva rispondere dei
contenuti degli articoli, distinta dall’editore-tipografo. La legislazione
francese prevedeva la possibilità di applicare una censura preventiva per
l’apertura di nuovi giornali, d’altro canto operò una distinzione fondamentale
tra i “reati di stampa”, che consistevano nella pubblicazione di giornali senza
autorizzazione, e i reati “a mezzo stampa” scaturiti da una qualche forma di
offesa (diffamazione, oltraggio all’imperatore, ingiuria, attentato contro le
leggi e la morale). Sul piano pratico il decreto prevedeva il pagamento delle
infrazioni entro tre giorni dalla notifica; la soppressione del giornale per la
somma di due condanne entro due anni. L’arma più insidiosa era l’ammonimento:
due ammonimenti significano la sospensione del giornale per un tempo
indeterminato (dunque una diminuzione della tiratura del giornale). Malgrado
questa sorveglianza poliziesca, la stampa conosce una diffusione considerevole.
Nel 1852, a Parigi, si contano 14 quotidiani politici per un totale di 200.000
abbonati. La maggior parte sono finanziati dal regime, a cominciare dal Le
Moniteur, giornale ufficiale dell’impero. Ugualmente sostenuti dal governo, Le
Cositu-tionel e Le Pays, ritenuti testate di sinistra, che si pongono al
servizio di Napoleone III. I due giornali sono stati riscattati da Jules-Isac
Mirès, uno dei grandi finanziatori del secondo impero. Egli acquista e rivende
le concessioni della ferrovie, in Francia, in Italia e Spagna, gli altiforni, i
terreni a Marsiglia e gli immobili a Parigi.
“L’Illustration” e la guerra del
1859. L’appoggio
della Francia al Regno Sabaudo, durante la seconda guerra di indipendenza,
suscita grande interesse nell’opinione pubblica transalpina. La redazione del
settimanale l’Illustration vede l’opportunità di fare un grosso investimento
finanziario per conquistare sempre più larghe fasce di lettori ansiosi di
partecipare a questo grande avvenimento politico, militare e mediatico. Si
profila dunque uno dei primi reportages sullo sfondo dei principi di libertà,
di autonomia, tanto agognati dagli intellettuali italiani moderati e
soprattutto da Cavour. Accanto a pittori, disegnatori e incisori, quali i
Durand, i Beaucé, i Tetar van Elven, i Gaildrau, i Férat, i Giacomelli, i Marc,
i Lange, i Provost, i Pontremoli, i Worms, i Rouargue, si dedicarono alla
cronaca illustrata caricaturisti celebri come Cham, Gavarni, Stop, Bertall. A
questa schiera di artisti dobbiamo aggiungere grandi fotografi prestati al
disegno, come Clifford, Chambay e Lecorgne, Crette, Disdéri, Duroni, Irvoy, Le
Gray, Mayer e Pierson, Capitano Pellé, Richebourg, Tournachon (Jeune). Vengono
inviati, a seguito dell’Armata di Francia, noti corrispondenti di guerra, quali
De La Varenne, Ferré, Paulin J.B. e Paulin Victor, Joubert, Rosier, Forey,
Texier, Avriard, Quesnoy. A questi si aggiungono altri artisti e scrittori,
meno noti, ma veri professionisti nel loro campo. L’elenco sarebbe notevole.
Ovviamente questo grande staff, messo in piedi dalla redazione del giornale,
punta soprattutto alla rappresentazione iconografica della guerra: dal disegno
all’incisione, avvalendosi, in qualche caso, della esordiente fotografia Non si
può considerare una vero reportage, un’inchiesta fotografica nel vero senso
della parola, ma ha tutti crismi per diventarlo. I corrispondenti agiscono sul
terreno operativo, seguendo gli spostamenti delle truppe, per quanto viene loro
concesso dalla censura militare, e inviano i loro dispacci, le loro lettres
alla redazione del giornale, che ovviamente li pubblica non in tempo reale, pur
avvalendosi del telegrafo e delle ferrovie. In effetti le inchieste affidate
dai grandi giornali ai corrispondenti, agli inviati, erano condannate ad avere
un pubblico ristretto, perché la stampa di riviste illustrate con fotografia,
erano troppo costose e continuava ad essere un’eccezione, mentre l’inserimento
della foto vera e propria nel giornale fu ritardato dalla tradizionale
preferenza per disegni e incisioni. Per capire il taglio sia delle
corrispondenze, sia che delle gravures dell’Illustration, basta rileggere la
pubblicità che serpeggia in molti numeri del settimanale: “ Gli editori
dell’Illustration annunciano, per i primi giorni del mese di novembre del 1859,
la messa in vendita di un’opera che riguarda la “guerre d’Italie”. La campagna
d’Italia, così gloriosa per la Francia, merita che il suo ricordo venga
conservato per gli eroici sforzi dell’armata che, sotto la guida
dell’Imperatore, ha fatto rivivere la gloria militare del primo impero. […]
Molte di queste incisioni sono tratte dall’album del Sig.Valentin Jumel, capo
di stato maggiore, e sono di proprietà dell’Imperatore”.
Le
parole più ricorrenti nelle corrispondenze dall’Italia sono eroismo e gloria,
come in questa reiterante pubblicità. La guerra rappresentata dai disegnatori,
dagli incisori del settimanale francese è priva di spessore realistico,
atemporale. Come dice Massimo Dini,
giornalista de Il Sole 24 ore, Panorama e L’Europeo, inviato corrispondente
nelle aree più degradate del mondo: “I governi, i grandi potentati politici ed
economici hanno tradizionalmente cercato di fornire al “popolo” una
rappresentazione addolcita o eroica della guerra. I media (partendo dagli anni
Cinquanta dell’Ottocento, quando il giornale negli Usa cominciava a diventare
alla portata di tutti o quasi) si sono spesso adeguati ricorrendo a formule scritte
e visive che, almeno quanto a meccanismi di fondo, non differiscono molto da
quelle attuali. In sintesi, la guerra viene spettacolarizzata, ridotta a
fiction, svuotata di realtà. All’epoca, nel 1859, per quanto riguarda la
Francia, la guerra è raccontata iconograficamente come fosse un evento da
palcoscenico, una perfomance operistica o teatrale. Il cosiddetto “teatro di
guerra”, inteso come zona delle operazioni belliche, si trasforma in un teatro
della guerra. Osservando le stampe de L’Illustration, dove sembra di assistere
a una messinscena con molti movimenti corali, rare scene di morte
(caratterizzate da gesti enfatici, recitativi) e molti scenari idilliaci,
illusionistici come lo sono le quinte teatrali, tornano alla mente capolavori
come “Notre Dame de Paris” di Victor Hugo”.
I re, i principi, i grandi generali (vedi tav.1) erano rappresentati a
cavallo coperti di pennacchi, di fregi e nastrini, come grandi moschettieri.
Gli uomini in battaglia dipinti come eroi che morivano con le armi in pugno levate
verso l’alto, verso la dea gloria. La carica della cavalleria che travolge il
nemico, l’aggressività feroce degli zuavi che annichiliscono gli austriaci,
sono i soggetti preferiti dai disegnatori e dagli incisori. Le battaglie sono
viste come “opportunità eroiche” inviate dal destino per premiare il coraggio
delle truppe. Non c’è posto per la paura, per la vigliaccheria. Niente verità,
ma solo una “semplice mediazione” della realtà, per rappresentarla come faceva
comodo ai re e ai governi, perché la guerra apparisse alle masse un fatto
necessario, ineluttabile, da vivere con onore e non come crudele massacro al
servizio degli interessi di altri. Le corrispondenze dei vari inviati, Paulin,
De la Varenne, Quesnoy, Ferré, sono pure descrizioni militaristiche,
spostamenti di truppe, attacchi, fughe del nemico, vittorie inconfutabili, dove
la morte è solo un esercizio aritmetico e il dolore non trapela mai. I morti
sono dei manichini pronti per il disegnatore di Magenta (tav.3). La propaganda
prende il sopravvento nella mitologia della bontà verso gli sconfitti, verso i
feriti. Perfino la simpatia dei viennesi verso i prigionieri francesi e
piemontesi, rinchiusi nella Franz-Josef Kasserm (tav.4). Un’aureola di
sacralità copre la nuda verità dei massacri, dei corpo a corpo nelle case di
Magenta, ma è all’opera la censura, la provvida censura che impedisce ai
corrispondenti e ai disegnatori di essere sul posto per descrivere la realtà.
Lo stato maggiore piemontese, in forza della legge del 25 aprile 1859: Art.1. E’ vietata d’or innanzi e durante la
guerra la pubblicazione, per mezzo della stampa o di qualsivoglia artificio
meccanico atto a riprodurre il pensiero, di notizie, relazioni o polemiche che
in qualunque modo si riferiscono agli Eserciti o all’andamento della guerra, e
che non siano ufficialmente comunicate o pubblicate dal Governo. Art.4. I
contravventori agli articoli precedenti sono puniti col carcere da sei giorni
ad un anno, e colla multa da lire 100 a 1000, oltre il sequestro degli scritti
e stampati.Il comando francese pubblica invece, una notifica con la quale si
vieta ai fotografi e ai cronisti di ritrarre i soldati sul campo di battaglia o
nei ricoveri di fortuna, pena la confisca degli apparati e dei disegni, e la
condanna ai lavori militari per tre mesi. L’armata francese porta con sé una
stamperia ambulante (tav.4) per narrare, secondo i canoni della propaganda
imperiale, che tutto è sotto controllo. I bravi borghesi possono attendere ai
loro affari in santa pace. La guerra li farà ancora più ricchi e potenti. I
comandi militari sono provvisti di uffici stampa e censura che curano i
rapporti con la stampa, selezionano le foto da pubblicare, censurano le
corrispondenze dei giornalisti nelle zone di guerra. Ma i divieti non fermano la verità. Una
verità amara sulla carneficina di Solferino dove giacciono, alla fine della
battaglia, quarantamila morti e centomila feriti rimasti senza assistenza. In
quella zona si trova Jean Henry Dunant, uomo d’affari ginevrino, che rimane
atterrito dai drammatici esiti della ferocia dei combattimenti. Successivamente
il suo impegno, profuso sul campo, nell’ambito dell’assistenza ai feriti,
culminerà nella fondazione della Croce Rossa Internazionale. La sua
testimonianza dolorosa, raccontata nel libro Un ricordo di Solferino, ci svela
la nuda verità degli orrori della guerra. “A San Martino, un ufficiale dei
bersaglieri, il capitano Pallavicini, è ferito; i suoi soldati lo raccolgono
tra le loro braccia, lo trasportano e lo adagiano in una cappella dove riceve
le prime cure. Ma gli Austriaci, momentaneamente ricacciati, ritornano alla
carica e penetrano nella chiesa: i bersaglieri, troppo poco numerosi per
resistere, son costretti ad abbandonare il loro comandante; di lì a poco alcuni
Croati, dando piglio a grosse pietre che si trovano presso la porta, spaccano
la testa al povero capitano. In mezzo a questi combattimenti, così diversi e
senza quartiere, che dappertutto si rinnovano, si sentono imprecazioni uscire
di bocca di uomini delle più diverse nazionalità, molti dei quali sono
costretti ad essere omicidi a vent’anni (p.32) […]. Il sole del 25 (giugno,
ndr) illuminò uno dei più orrendi spettacoli che si possano immaginare. Il
campo di battaglia è coperto dappertutto di cadaveri e di carogne; le strade, i
fossati, i dirupi, le macchie, i prati sono disseminati di corpi senza vita e
gli accessi a Solferino ne sono letteralmente punteggiati. I campi sono
devastati, il grano e il granoturco sono abbattuti, le siepi sconvolte, orti e
giardini messi a sacco; di tratto in tratto s’incontrano pozze di sangue. I
villaggi sono deserti e portano il segno dei guasti operati dalla fucileria,
dai razzi incendiari, dalle bombe, dalle granate e dagli obici; le mura sono
sconquassate e sbrecciate, le case sforacchiate, lesionate, piene di crepe; gli
abitanti, che hanno trascorso circa venti ore nascosti al riparo nelle cantine,
senza luce e senza viveri, cominciano a uscirne con un’espressione di
stordimento che attesta il terrore lungamente sofferto (p.42) . […] Altri sono
inquieti e agitati da un tremito convulso, in stato di collasso nervoso; altri
ancora, con le piaghe aperte su cui ha già cominciato a svilupparsi
l’infezione, sono come pazzi di dolore, chiedono di essere finiti e si
contorcono, con il viso contratto, negli ultimi spasimi dell’agonia ( p.43).
[…] “Tra i morti, alcuni soldati hanno un aspetto sereno e sono quelli che,
colpiti d’improvviso, sono rimasti uccisi sul colpo; ma moltissimi caduti sono
rimasti contraffati dalle torture dell’agonia, con le membra irrigidite, il
corpo chiazzato di macchie livide, le mani affondate nel terreno, gli occhi
smisuratamente aperti, i baffi irti, una smorfia sinistra e convulsa che lascia
vedere i loro denti serrati “(p.46). […] Sparsi a migliaia sui poggi, sui
contrafforti, sulle sporgenze collinose, dispersi tra le macchie e i boschi o
nella campagna e nella piana di Medole, vestiti di lacere casacche di tela, di
cappotti grigi lordi di fango o di giubbe bianche tutte arrossate di sangue, i
cadaveri degli Austriaci sono divorati da sciami di mosche e gli uccelli da
preda si librano su quei corpi verdastri, nella speranza di cibarsene; li si
ammucchia a centinaia in fosse comuni (p. 47) […] In parecchi punti il panico
s’impadronisce delle truppe tedesche, e per alcuni reggimenti la ritirata si
trasforma in rotta completa; invano gli ufficiali, che si sono battuti come
leoni, cercano di trattenerli; le esortazioni, le ingiurie, i colpi di pistola,
nulla li arresta: il loro spavento è troppo grande e, pur essendosi battuti con
coraggio, preferiscono lasciarsi colpire e insultare piuttosto che rinunciare
alla fuga ( p.37).
Questi
resoconti nei bollettini ufficiali degli stati maggiori degli eserciti
belligeranti non ci sono. Ci sono le immagini rassicuranti dei feriti francesi
che pescano sul lago di Como ( tav.7) che testimoniano, in modo mistificatorio,
che la guerra può riservare anche momenti piacevoli a coloro che il destino ha
voluto graziare. Questa è l’immagine tranquillizzante che Napoleone III vuole
mandare ai francesi, ignari dei costi umani che la campagna d’Italia ha
comportato. Solo un piccolo squarcio sulle atrocità che la guerra riversa sui
civili è il massacro della famiglia Cignoli, avvenuto il 12 giugno a
Torricella, presso Voghera, da parte delle truppe del feldmaresciallo Urban (v.
L’IJU, n.852, 25 giugno 1859).
“Quando inizia una guerra la
prima vittima è la verità.”
Non so chi l’ha detto, forse Eschilo o Iram Johson, ma non ne ho sentite di più
vere. Montagne di falsità annegano l’opinione pubblica ogni qualvolta scoppia
una guerra. Mistificazioni e ipocrisie prefabbricate dagli addetti alla
comunicazione di massa e veicolate dai corrispondenti di guerra al servizio del
potente di turno. Gli inviati, i
reporters fanno un lavoro difficile che non ammette mediazioni tra notizia e
verità. Lippmann in un suo saggio (L’opinione pubblica, parte VII, I giornali,
p.13), apparso in America nel 1922, ma tradotto in Italia solo nel 1963,
analizza la separazione fra la verità e la notizia. “L’ipotesi più feconda è
che la notizia e la verità non siano la stessa cosa, e debbano essere
chiaramente distinte. La funzione della notizia è di segnalare un fatto, la
funzione della verità è di portare alla luce i fatti nascosti, di metterli in
relazione tra loro e di dare un quadro della realtà che consenta agli uomini di
agire. Solo là dove le condizioni sociali assumono una forma riconoscibile e
misurabile, il corpo della verità e il corpo della notizia coincidono”. Solo in
questa prospettiva i corrispondenti possono cogliere il senso degli avvenimenti
a cui assistono. E tuttavia, poiché i loro resoconti sono sempre avvincenti,
finiscono per incidere solchi profondi nella memoria collettiva che le
successive analisi storiche e sociologiche non sempre riescono a colmare
eliminando il pregiudizio e le falsità.
Un disegnatore de
“L’Illustration” sul campo di battaglia di Magenta. Al sig. Edmond Texier, Un
disegnatore de L’Illustration, in una lettera indirizzata da Magenta al Siècle,
alla data del 6 [giugno], si esprimeva così: “La vista del campo di battaglia
ci ha particolarmente scombussolati. In capo a 10 minuti, ho provato, da parte
mia, un vivo desiderio di andare via, e ho chiuso gli occhi per non vedere
tutti questi visi cinerei, contratti dal dolore, prima della morte. Un uomo,
coperto da un kèpi era tranquillamente seduto su un rialzo del terreno e
disegnava, in pieno sole, questa scena di dissoluzione. Mi sono avvicinato e ho
riconosciuto in lui il sig. Giacomelli, uno dei più coraggiosi disegnatori de
L’Illustration.” Noi abbiamo, in effetti, ricevuto, dal nostro corrispondente,
un disegno del campo di Magenta dopo la battaglia. Rappresentava, a tinte
spaventose, l’aspetto dei luoghi, con gli orrori che la guerra aveva prodotto:
i raccolti calpestati, le vigne sradicate, i resti della battaglia confusamente
sparsi: uomini, cavalli e armi. Questa pittura realistica scuote in maniera
viva i sentimenti, già provati, che il sig. Texier ha così ben descritto nella
sua lettera e dai quali cercava di fuggire. Ci è sembrato che fosse un triste
supplemento da aggiungere al glorioso bollettino della vittoria di Magenta, e,
per questo motivo,non l’abbiamo pubblicato. Tutti sanno a quale prezzo si
conquista la gloria militare, ma almeno non bisogna che delle immagini
strazianti sviliscano ciò che c’è da amare nella più bella vittoria. Siamo
dell’avviso del sig. Amédée Achard, corrispondente del Journal des Débats che
ha provato, alla vista del campo di battaglia di Magenta, le stesse impressioni
del sig. Texier: “I quadri rappresentano con arte questo spettacolo di lutti
dove il sangue scorre a fiotti, e mescolano l’azione e la vita in queste feste
della morte. Essi animano i volti, si vedono soltanto gli sforzi supremi del
coraggio e ci si interessa solo dell’eroismo. Ma un campo di battaglia dove il
silenzio è maestro e dove solo la solitudine è presente … ah, quale affresco!”
Alcuni
lettori potrebbero rimpiangere la triste verità che avrebbe mostrato anche solo
una parte del quadro del sig. Giacomelli, ma la descrizione scritta del sig.
Texier è sufficientemente precisa e fedele da renderlo inutile. A coloro che
amano una fredda tragedia, noi facciamo vedere dove il campo di battaglia
inizia; se vogliono andare oltre possono aiutarsi con l’immaginazione e i
reportages già pubblicati.
La tipografia ambulante
dell’Armata d’Italia.
Tutti i giornali hanno parlato della stampa dell’armata d’Italia, organizzata
secondo gli ordini dell’Imperatore dal sig. de Saint Georges, direttore della
stampa imperiale. Questa stampa è la stessa che funzionò in oriente durante
tutta la durata della guerra di Crimea. Essa è installata dentro un furgone
speciale, nel quale si può comporre e stampare anche durante la marcia, nei
casi di urgenza. L’esperienza dimostra che un tipografo e due compositori, che
costituiscono tutto il personale, sono sufficienti a tutte le necessità.
L’interno di questo furgone è disposto in modo da contenere tutto: le casse, la
stampa e i suoi accessori, la scorta della carta, l’acqua per la macerazione, i
retini, i distanziatori, ecc., in una parola è un laboratorio completo di
tipografia racchiuso nello spazio più ristretto, dove tutto è al suo posto, e
che ha il vantaggio di seguire tutti i movimenti dell’esercito, anche i più rapidi.
“Abbiamo
letto in molti giornali un servizio interessante sull’accoglienza dei nostri
prigionieri a Vienna, prima della firma della pace, ma a Vienna si era a
conoscenza dei trattamenti di benevolenza francese verso i prigionieri
austriaci. Malgrado fosse stato affermato che i francesi erano violenti, la
realtà era che, invece, la Francia vittoriosa non aveva rinunciato alle sue
abitudini più dolci, la sua pietà è testimoniata dal suo atteggiamento verso i
nemici vinti. Gli abitanti di Vienna non hanno voluto mostrarsi meno
caritatevoli. La lettera e il disegno che seguiranno sono la prova di questa
reciprocità generosa. Oggi, che i vincitori hanno abbracciato i vinti, sembra
che il fatto non sia straordinario, ma, ripeto ancora una volta che accadeva
prima della pace e dopo Solferino. Ecco la lettera del nostro corrispondente da
Vienna. “Signore, Il disegno che vi invio mostra che la popolazione austriaca è
stata sensibile ai racconti dell’accoglienza fatta in Francia ai nostri
prigionieri di guerra. I prigionieri franco-sardi, rinchiusi per qualche ora
nella Franz-Josef Kasserme, sono stati da parte della popolazione viennese
oggetto della più toccante simpatia. Il mio disegno vi mostra la vera
situazione. Tutto ciò che può addolcire il destino doloroso di queste vittime
della guerra è stato loro offerto con premura. Denaro, sigarette in quantità,
tabacco, viveri, birra, perfino dei mazzolini di fiori hanno riempito gli zaini
dei soldati, calati dalle finestre per mezzo di funi e ritirati con dentro queste
provviste. Le signore, i bambini, gli uomini di tutte le classi sociali, i
soldati in attività, gli invalidi del nostro primo impero si fanno dovere di
offrire ai nostri soldati queste testimonianze della loro pietà caritatevole.
L’Illustration, pubblicando il mio disegno ci darà una notizia che è il segno
della sua imparzialità in favore di un nemico che sa onorare le virtù eroiche
dei suoi avversari. Ricevete, signore, F: Kanitz. Ringraziamo il nostro
eccellente corrispondente inviandogli una copia di questo numero dove la
Francia e l’Austria si abbracciano come due nemici riconciliati.” (V. Paulin n.
856, 23 luglio 1859)
“L’Armata francese d’ Italia. Il
gioco del lotto a Piacenza – Il gioco della pesca a Como. Al signor direttore de
L’Illustration. Signore, il momento non è dei migliori per raccontare le
impressioni occasionali del viaggio. Il turista che percorre l’Italia ritrova
dappertutto le stesse situazioni, e si può dire anche gli stessi uomini. Non
c’è che un solo sentimento e una sola nazione. Tutti i pensieri, tutti gli
interessi sono volti verso un unico obiettivo: l’indipendenza italiana. […] A
Piacenza, dove sono passato, l’esercito francese era ben rappresentato. Tremila
dei nostri feriti erano stati portati in questa città e suddivisi in sei
ospedali. Si contano ancora dal 500 a 600 malati. Sotto l’impressione dei
ricordi dolorosi che fa nascere la presenza di queste bravi soldati, Piacenza
mi è sembrata ancora più tetra. Sono stato testimone di una scena di cui non
avevo nessuna idea e che mi ha fatto dimenticare la tristezza della città. […]
La folla, in mezzo alla quale si vedevano numerosi militari francesi, cittadini
di Piacenza, uomini e donne del popolo, presentava una piacevole mescolanza. Un
abate, che aveva una cartella, mi ha voluto spiegare il gioco. E’ una
tradizione sia italiana che francese fare beneficenza con la lotteria; ma,
mentre le nostre lotterie durano alcuni anni, in Italia il risultato della
lotteria si conosce subito. […] Tutto ciò non assomiglia granché a una scena
naïf di cui io fui testimone a Como. Questa città ha ricevuto anche molti dei
nostri feriti, che sono stati alloggiati in una bella villa utilizzata come
ospedale. Sapete, senza dubbio, che gli abitanti di Como hanno la reputazione
di essere eccellenti soldati. I nostri bravi feriti sono dunque in buone mani.
Non ci sono parole per descrivere questa bella città e la magnificenza del
lago; sulle colline che lo circondano si innalzano delle deliziose ville
appartenenti, nella maggior parte ai ricchi abitanti di Milano. Dalla deliziosa
passeggiata, l’Ulmo o l’Ormoie, si gioisce dei più bei punti di vista che si
possano immaginare. I nostri convalescenti alloggiano dunque a Como in
eccellenti condizioni. Disgraziatamente le nostre truppe non sono formate da poeti
amanti del lago, ed hanno ben presto esaurito la loro ammirazione per le
bellezze della natura; l’inattività li ha portati a diventare pescatori. Non
immagino un’attività più svilente per il carattere bellicoso dei nostri
soldati. Feu Coupigny assicurava che per diventare un buon pescatore, se non
era troppo tardi, la qualità essenziale era di essere un buon diplomatico. Ciò
deve intendersi, forse, come possedere flemma e predisposizione al
silenzio. Siate dunque francesi e
pescatori in linea; a questo compito! Ebbene, signore, sono stato molto colpito
nel vedere i nostri convalescenti occupati in questa innocente attività. Ci
sono due lati del nostro carattere: da una parte l’ardore che apportiamo alla
guerra e che proviene dal sentimento dell’onore e della gloria, dall’altro
l’amabilità delle nostre abitudini. Ho pensato, signore, che i due disegni che
vi invio, e che ho fatto fare, su vostra richiesta, da due artisti desiderosi
di piacere ai vostri lettori, avrebbero riscosso se non un grande interesse e
curiosità, almeno un certo apprezzamento. Gradite, signore… (G. Avriard Parigi,
n. 865, 24 settembre 1859 )
“Morte di Alexandre Paulin (2
novembre 1859).
Venerdì scorso hanno avuto luogo, nella chiesa dei Piccoli Padri, le esequie
del Signor Paulin, capo redattore. Tutti gli amici dell’eccellente uomo che
abbiamo perduto sono venuti per rendergli gli ultimi onori. Nella folla delle
persone che riempivano la chiesa si distinguevano: I Signori Thiers, Mignet, de Rémusat, Cousin, Emile
Péreire, Littré, Barthelemy Saint-Hilare, Stourm, direttore generale delle
poste, il dottor Cruvelhier, Horace Vernet, Ambroise e Hyacinthe Firmin, Didot
padre e figli et Henri Didot, il generale Morris, A. d’Eichtall, Gavarni,
Vincent e Jacques Dubochet, Bastide, Buchez, Bixio, Edmond Texier, Jules Janin,
Mazerès, D. Nisard, Théodore e Ferdinand de Lesseps, Jules Simon, Guinard, Regnier
du Theatre-Francaise, L.Reybaud, Cauchois-Lemaire, Taschereau, Fellman, F.
Lacroix, Ch. Thomas, Pelletan, C. Gide, Géruzez, Prévost-Paradol, Viardot,
Degousée, Peyrat, Tax. Delord, Etienne, Charton, Trémisot, tesoriere della
città di Parigi, A. Grun, Hingray, Guyot, Sionnest, Paillard de Villeneuve,
Thierry, Tourneux, Souverain, Plon, Michel Lévy, etc. La maggior parte dei
giornalisti di Parigi ha sentito il dovere di seguire il corteo funebre. Il
figlio del sig. Paulin e la signora A. Dumont aprivano il corteo, sostenuti dal
sig. Armand Le Chevalier e dai redattori e artisti disegnatori de
L’illustration. E’ toccato soprattutto al nostro collega più anziano, sig.
Philippe Busoni, l’onere di esprimere il dolore che è nel cuore di noi tutti
collaboratori del sig. Paulin, che abbiamo perduto, nello stesso tempo, un
amico dolce e disponibile, e un maestro saggio i cui suggerimenti e consigli ci
sono stati sempre utili. Il sig. Busoni, ispirato dal suo dolore, ha trovato
un’eloquenza degna dell’uomo di cui elogiava la vita e il carattere. Delegando
al nostro collaboratore la responsabilità di compiere questo pietoso dovere,
sapevamo quello che dovevamo aspettarci dalla nobiltà del suo cuore e dal
fascino della sua parola. Riproduciamo qui il discorso che è stato ascoltato
con un raccoglimento profondo. “[…] Entrò presto nella carriera militare per
lasciarla dopo poco, per buttarsi nella mischia delle lotte politiche e delle
questioni pubbliche. […] Non abbiamo dimenticato i suoi importanti articoli
scritti per il National. Fu anche redattore assiduo e molto importante de
L’Illustration, che aveva fondato e diretto. La stampa parigina si unisce al
cordoglio e noi citeremo l’articolo di Edmond Texier del Siècle: “Paulin
apparteneva alla brillante generazione che salutò con grande entusiasmo la
rinascita della libertà. I suoi studi di diritto, appena terminati, furono
compromessi dalla cospirazione di Belfort, dove fu arrestato, imprigionato e
condotto davanti alla corte d’assise dell’Alto Reno che lo rimise in libertà.
Un po’ più tardi fondò, con Thiers, Mignet e Carrel il National, di cui fu il
responsabile fino al 1834, che abbandonò solo alla morte di Carrel: si
accontentava di pubblicare, ogni tanto, nel giornale, qualche articolo molto
acuto, molto spirituale e molto pungente. Nei primi anni del governo del 1830
fu portato alla sbarra della corte dei Pari; e un procuratore generale che più
tardi doveva diventare ministro di giustizia, si lasciò trasportare dalla foga
del suo temperamento irascibile al punto da chiedere la sua condanna a morte.
Ci fu un immenso scoppio di risa, e Paulin rideva anche lui più forte dei suoi
giudici, che gli lasciarono la testa sulle spalle e lo assolsero. Quello che
c’era di particolare e di raro nel carattere di Paulin, era il fervore dei suoi
convincimenti politici. Le sue amicizie con molti capi dell’opposizione
liberale, soprattutto con Armand Carrel, lo destinarono ad essere fondatore e
collaboratore del National. La sua opera più importante, però, fu
L’Illustration, che fondò nel 1843 e che diresse fino alla morte. Il mondo della stampa ha perso un uomo
onesto, il liberalismo piange un soldato leale, la letteratura rimpiangerà per
sempre uno scrittore senza arroganza, che ha potuto avere, sì, degli invidiosi,
ma mai dei nemici. Ferré (Parigi, n.872, 12 novembre 1859)
Luigi Angeli
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Sontag S., Davanti al
dolore degli altri, Milano, Mondadori, 2003Parti precedenti:
http://asperaprometeo.blogspot.it/2013/05/luigi-angeli-lillustration-e-la.html
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