Fra poesia e politica: Anton Francesco Menchi e Bartolomeo Sestini
Carlo Onofrio Gori
La
poesia estemporanea trae la sua lontana origine dal canto dei trovatori
franco-provenzali e fin dai fasti della Firenze rinascimentale trovò in Toscana
un terreno fertile per affermarsi e svilupparsi tant’è che fino ai primi anni
del boom economico sulle aie, nelle osterie, ai matrimoni o alle feste paesane
non era difficile imbattersi in qualche “bernascante”(dalla poesia giocosa di
Francesco Berni) che avesse il dono naturale di “cantar di poesia” su un
argomento suggeritogli solo qualche istante prima, sovente misurandosi in gare
con altri poeti estemporanei dette “contrasti”. Tutt’ora una ventina di
“superstiti” cultori dell’improvvisazione poetica ogni anno si ritrovano in
Maremma al festival di Ribolla, ma quello che oggi è circoscritto ad un momento
di riscoperta folkloristico-culturale, tutto sommato “di nicchia”, che ha
coinvolto anche noti personaggi dello spettacolo come Francesco Guccini, Davide
Riondino, Roberto Benigni, Carlo Monni ecc. in epoche passate si presentava come un vero e
proprio fenomeno sociale.
Infatti
nel Settecento il far versi divenne quasi una mania ed è soprattutto tra la
seconda parte di questo secolo e la prima parte dell’Ottocento, che la “poesia
a braccio”, particolare aspetto del verseggiare, divenne moda dilagante non
solo in Toscana, ma in tutt’Italia ed anche all'estero. La figura
dell'improvvisatore, singolare sintesi di abilità tecnica e di “spontaneità”,
coinvolgeva in quegli anni sia il popolo, che sulle piazze ascoltava divertito
ed estasiato le esibizioni di poeti “semplici” che così sbarcavano il lunario,
sia i borghesi ed i nobili che riempivano teatri e salotti per assistere alle
“accademie” estemporanee che poeti “dotti” praticavano come vero e proprio
redditizio mestiere. In ambito popolare l’argomento dell’improvvisatore era di
solito incentrato con tono scherzoso sui fatti del giorno, mentre invece nella
cerchia “bene” venivano sviluppati principalmente temi “seri”, di carattere
filosofico o scientifico, in ambedue i casi il metro preferito dal
poeta-cantore era l’ “ottava rima”, cioè ottave di endecasillabi in rima
alternata (ABABAB) e con i due versi di chiusura in rima baciata (CC).
Sarà
proprio in questo periodo che il territorio pistoiese, dove si manterrà sempre
viva questa tradizione, offrirà la sorpresa di due donne-poetesse famose
improvvisatrici: la “dotta” Maddalena Morelli Martinez, nota soprattutto col
nome arcadico di Corilla Olimpica (1750-1800) e, in anni successivi,
l’illetterata poetessa-pastora Beatrice (Bugelli) di Pian degli Ontani
(1802-1885) con la quale inizia la storia dell’ improvvisazione moderna,
schiettamente popolare, giunta praticamente inalterata fino a metà Novecento.
Ma
rimanendo a Pistoia merita ora soffermarsi sulle figure di altri due grandi
poeti estemporanei, interessanti non solo dal punto di vista
artistico-letterario, ma anche politico, che otterranno, specie nei primi anni
dell’Ottocento, un clamoroso successo: Anton Francesco Menchi (1762-1820?) e
Bartolomeo Sestini (1792-1822). I due, entrambi pistoiesi “di fuori città”, a
parte la comune passione (e l’interesse economico) per l’improvvisazione, erano
diversi per età, ambito sociale e, soprattutto, per sentire politico.
Siamo
infatti nel periodo in cui l’onda lunga della rivoluzione francese giunge, con
le armate napoleoniche, anche in Italia, ed il popolaresco Menchi, per il
messaggio “antigiacobino” veicolato dai suoi recitals, è rappresentato, come un
fior di “reazionario”; mentre il borghese Sestini, raffinato poeta e cantore,
ma anche organizzatore carbonaro di alto livello, è senz’altro classificabile
come “rivoluzionario”. Paradossalmente il Menchi è oggi ricordato in campo
pacifista ed antimilitarista per l’inno Partire, partirò, canzone da lui
composta in funzione antinapoleonica contro il reclutamento coatto dei giovani
italiani per la campagna di Russia, mentre del cospiratore Sestini, la cui fama
di novelliere romantico è affidata al poemetto La Pia, ispirato all'episodio
dantesco del V del Purgatorio, si ricordano pochi scritti e performances d’
intonazione politica.
Della
vita di Anton Francesco Menchi, nato nel 1762 a Cucciano, vicino a Campiglio
nella montagna pistoiese, non si sa molto, nemmeno la data esatta della morte,
né ci è rimasto un suo ritratto.
La
sua più dettagliata ricostruzione biografica resta a tutt’oggi quella dello
studioso pistoiese Giuseppe Arcangeli che con lo pseudonimo di Lorenzo Selva,
lo commemorò con l’articolo L'ultimo dei giullari apparso nel 1847 su “La
rivista di Firenze”. Il biografo ci rivela che il suo palcoscenico preferito
era Piazza del Granduca (oggi Piazza Signoria) in Firenze dove improvvisava
ogni martedì e venerdì, giorni di mercato, davanti una gran folla di campagnoli
richiamati dal suo tamburello a sonagli e dall’esibizione della sua inseparabile
faina addomesticata. Per l’Arcangeli il Menchi fu il più famoso poeta popolare
toscano del suo tempo: “La sua celebrità quanto è piccola per altezza è
altrettanto grande per estensione…non è contadino del Pistoiese…del Lucchese e
del Fiorentino che non ne sappia vita, morte e miracoli, non ne citi ad ogni
momento …i versi di vario metro… i quali hanno avuto più edizioni delle
tragedie d'Alfieri e della Divina Commedia. Basti il dire che hanno affaticato
i torchi del Marescandoli a Lucca, del Formigli a Firenze, del Vannini a
Prato”. E, a riprova di tale notorietà, l'articolista suggerisce di guardare
nei “panieri dei merciai, che vanno … di casa in casa, a vendere …alle
ambiziose massaie …[dove]…accanto alle stringhe, ai bottoni da camicia, agli
zolfanelli fosforici, trova un posto onorario anche la letteratura…del celebre
Menchi”.
Se
è vero che il Menchi nelle sue performances si schierò con la “reazione”, è
altrettanto vero che lo fece sempre con disinteresse certo che dai mutamenti
rivoluzionari giunti d’Oltralpe non sarebbero venuti quei vantaggi per il
popolo tanto esaltati dai “giacobini” locali. Infatti il suo sentire politico
collima con quello dei popolani che affollano i suoi spettacoli e che con il
suo obolo gli permettono di vivere, gente che sarà prima di tutto colpita nella
sua tradizionale religiosità dalla “miscredenza” e dall’attivismo antipapalino
dei francesi e dei loro seguaci e poi, negli interessi e negli affetti,
dall’introduzione della leva obbligatoria. Ecco perchè il Menchi, prima scrisse
l'inno per l'Armata sanfedista aretina del Viva Maria, descrisse poi,
ampliandole e drammatizzandole, le angherie cui Napoleone sottopose Pio VII,
compose infine quel suo famoso Partire, partirò.
Ma
quando, caduto nel 1814 Napoleone e tornato il Granduca, quel popolo, a cui
apparteneva lo stesso Menchi, riprende a mormorare contro le ingiustizie dei
potenti di turno, ecco che il cantastorie pistoiese è pronto ad interpretarne
gli umori con aperte denuncie ed entra così, lui “reazionario”, nel mirino dei
poliziotti del Buon Governo granducale.
Di
altro ambito e spessore culturale Bartolomeo Sestini, nato il 14 ottobre 1792 a
Santomato nei pressi di Pistoia, da Francesco, perito agrimensore e da
Maddalena Bigini. Passò i primi anni di vita nella villetta chiamata “La
Torricella” ed ebbe come maestro il parroco Stefano Diddi. La sua formazione fu
indirizzata verso lo studio della matematica e della geometria, ma anche del
disegno che imparò presso il pittore Giuseppe Vannacci di Pistoia, materie che poi
approfondì con successo all’ Accademia Fiorentina. Ma i suoi preferiti erano
gli studi letterari ed a Firenze conobbe e fu amico del poeta Francesco
Benedetti, di Cortona condividendone le idee patriottiche che poi discusse
anche con Ugo Foscolo che nella villa di Bellosguardo componeva Le Grazie.
Finiti gli studi si stabilì a Santomato aiutando il padre nella
ristrutturazione della villa di Celle e nella costruzione del parco, ma un
rapido susseguirsi di disgrazie familiari, iniziato con la morte della madre,
poi della donna amata, uccisa da un fulmine e per la quale comporrà nel 1814
sua prima raccolta di poesie Amori Campestri, e concluso con quella del babbo,
lo sospingeranno nel baratro di una profonda depressione. Lo salverà l’incontro
ed il sodalizio con l’ ormai ricco e famoso improvvisatore pistoiese Giovan
Jacopo Baldinotti, col quale intraprese quella che sarà la sua vera
professione. Debuttò con successo in una tournée di accademie di poesia
improvvisata in Toscana e Romagna e fu probabilmente in questo periodo che,
incontrando a Cortona Zanobi Zucchini, uno dei capi della Carboneria toscana,
ne divenne un adepto. Quel che è certo è che nel maggio del 1815, dopo esser
tornato per breve tempo a Pistoia, uscì allo scoperto partecipando all’ impresa
dell’ormai traballante re di Napoli Gioacchino Murat, che appoggiato dalla
Carboneria aveva, col proclama di Rimini, incitato gli italiani ad unirsi e
combattere per l’indipendenza. Fu in questa occasione che scrisse l'Inno di
Guerra per le armate napoletane composto dal poeta Sestini e messo in musica
dal maestro Rossini, ma la sconfitta di Tolentino vanificò ben presto il
velleitario ed ambizioso progetto murattiano e Bartolomeo, dopo esser riparato
a Macerata, forte di una fama poetica che ormai andava consolidandosi, poté
riprendere nell’Italia centrale la sua redditizia attività di improvvisatore.
In questo periodo pubblica gli Amori campestri (1814), alcune improvvisazioni
(Roma 1815), gli Idillj (Pistoia 1816) e nel contempo intensifica il suo pericoloso
impegno cospirativo. Ottenuto dai carbonari di Napoli il titolo di “Fondatore
Maggiore” con potestà di aprire “Vendite”, ne fa subito buon uso nel 1817
quando, nel corso di una lunga ed acclamata tournée di poesia improvvisata in
Sicilia, rimette in sesto la Carboneria isolana aprendo nuove “Vendite” a
Palermo, Trapani, Caltagirone, ecc. Scoperto, dopo quaranta giorni di dura
galera, viene nel luglio 1819, pare per intervento del Ministro degli esteri
del Granducato, espulso ed imbarcato alla volta di Livorno.
Rientrato
a Pistoia riprende i contatti con i carbonari locali (dal 1815 la polizia aveva
annotato i nomi di Passerini, Focosi, Sozzifanti, Ricci, Monti, Gigli,
Maestripieri, Bartolini, Paolini ecc.) e nel contempo, fra la fine del 1819 e
l’inizio del 1820, tiene due applaudite e redditizie “accademie” al Teatro dei
Risvegliati (oggi Teatro Manzoni): è infatti ormai considerato il migliore
degli improvvisatori “colti”, ricevuto nei più esclusivi salotti italiani,
tuttavia nel contempo, curiosamente, non disdegna la frequentazione delle
bettole fiorentine misurandosi in memorabili “contrasti” col poeta popolare
Somigli.
E’
poi, sempre nella sua doppia veste di poeta-cospiratore, a Firenze, Empoli,
Livorno, Genova, in Lombardia, torna infine in Toscana, ma ormai su di lui,
considerato “uno dei capi e dei primi introduttori in Firenze della Carboneria.
Pende mandato d'arresto”, ma gli va tutto sommato ancora bene, e con decreto
del 16 giugno 1821, viene espulso insieme al fiorentino Vincenzo Montelatici ed
Andrea Orsini di Imola.
Lasciata
a malincuore la Toscana, e forse messa da parte l’attività cospirativa, lo
troviamo nel settembre 1821 a Viterbo, dove compone e rappresenta le tragedie
Guido di Monfort e il Trionfo di Santa Rosa; è a Roma alla fine del 1821 dove,
rinverdendo i fasti settecenteschi di Corilla Olimpica, frequenta le accademie
degli Arcadi e dei Tiberini delle quali era socio, consolida presso il clero e
la nobiltà la sua fama di grande improvvisatore, ed attende alla stesura de La
Pia.
E’
all’apice del successo ed anche la Francia dove - come ricorda il suo biografo
Atto Vannucci - “Venti giornali parlavano più volte onorevolmente di lui”, lo
reclama. Lascia Roma il 20 luglio 1822, sbarca a Marsiglia ed il 12 ottobre è a
Parigi dove ottiene il trionfo in varie accademie. Ma alla fine d'ottobre venne
“assalito da fortissima infiammazione …il l0 novembre entrato in delirio perdè
la conoscenza…”
L’11
novembre 1822 si concluse la sua vita, tanto breve quanto intensamente ed
onorevolmente vissuta.
Carlo Onofrio Gori
Rielaborazione del mio articolo: Carlo
Onofrio Gori, Far versi a Pistoia. Anton Francesco Menchi e Bartolomeo
Sestini, due poeti estemporanei pistoiesi nel primo Ottocento, in
“Microstoria”, n. 54 (ott-dic. 2007)
pubblicato anche in: http://goriblogstoria.blogspot.it/2012/01/carlo-onofrio-gori-risorgimento_07.html
Questo articolo è riproducibile, del tutto o in parte, avendo però cura di citare chiaramente l'autore e le fonti.
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