sabato 25 maggio 2013

AsperaPrometeo. A Pistoia giovedì 30 maggio alle ore 17 presso la libreria LoSpaziodiviadell'Ospizio presentazione di Zibaldone Moscovita di Renato Risaliti



Zibaldone Moscovita. Introduzione

Questo volume è il diario nudo e crudo di una catastrofe annunciata, «la più grande tragedia del XX secolo», con un bilancio minimo di morti di fame, inedia, disperati suicidi, di almeno venti milioni
di persone, scomparsi per risuscitare il cadavere del capitalismo russo  fra gli evviva entusiasti dell' Occidente trionfante.
L'Occidente pensava di aver sotterrato «il comunismo» o quello che si credeva tale e invece contribuiva alla (ri)nascita di un "mostro", quello russo, che lo aveva tormentato per almeno due secoli nel vecchio mondo ...
Ma si sa che le vie del Signore sono imperscrutabili ... Nel 1991, nel mese di giugno, fui invitato a Carrara a tenere una conferenza sull'Unione Sovietica dalla locale associazione Italia-URSS.
Quando entrai nella sala, la trovai piena di gente e in prima fila sedeva un gruppo di operai in tuta. Il presidente dell' Associazione mi invitò a parlare. lo esordii con queste parole: «Amici e cittadini,
quando si parla di URSS tutti pensano che sia un monolite. Niente di  più falso! Esistono più differenze fra un estone e un azerbajgiano che fra uno svedese e un siciliano!» Non l'avessi mai detto. Subito un operaio in tuta alzò la mano e disse: «Mozione d'ordine». «Bene - fece la presidente - di che si tratta?». «Vorrei sapere, incalzò l'operaio in tuta, chi è che ha chiamato a parlare dell'URSS quest'elemento antisovietico?». Un vero fulmine a ciel sereno. Parapiglia in sala, poi prevalse la tesi che mi lasciassero proseguire, bontà loro!
Quell' operaio, in buona fede, ma disinformato, non immaginava che l'URSS, nel giugno 1991, stava per crollare sotto il peso delle proprie contraddizioni e di un contrasto politico che era impersonato da due dirigenti statali, che si chiamavano Gorbacev (presidente dell'URSS) e El'cin (presidente della Russia).
In verità si trattava di una falsa alternativa, nel senso che ambedue, forse senza rendersi conto di tutte le implicazioni vicine e lontane, volevano la fine dell'Unità dell'Unione Sovietica.
A dire la verità, chi teorizzò per primo la fine dell'URSS fu Gorbačëv, quando inopinatamente inventò la favola della «casa comune europea» che era uno schiaffo a tutta la tradizione storico-culturale della Russia, per non parlare dei popoli di tradizione islamista dell'Asia Centrale e in parte del Caucaso.
El'cin, da bravo speculatore, si gettò con foga nella breccia ideale e culturale aperta dal suo avversario politico e rincarò la dose secessionista invitando tutte le repubbliche a prendersi tanta indipendenza quanto pareva loro necessario. A questo punto l'URSS si era trasformata in una specie di torre di Babele. E non solo l'URSS, ma anche la Russia e molte altre repubbliche sovietiche. Gli errori politici economici di Gorbačëv resero la fine dell'URSS un processo quasi scontato, l'unico a non capirlo fu proprio lui, il primo e ultimo presidente dell'URSS. Gorbačëv l'ultimo depositario del potere giacobino dei bolscevichi, non ebbe mai il coraggio di fare quello che il “democratico” un po' canagliesco El'cin ebbe il coraggio di fare col Parlamento: l'uso della forza!
El'cin, quando ritenne giunto il momento, usò la forza più brutale contro i suoi avversari politici in modo oculato con l'uso dei corpi speciali dell' esercito e dei civili volontari preparati nel più segreto, con l'uso di granate perforanti multiple dotate di gas. Migliaia a furono i difensori del parlamento il 4 ottobre 1993. Solo il corrispondente del “Corriere della sera”, Valentino, ebbe il coraggio parlarne un po'! .. Ma poi fu trasferito in ... Germania! Perché imparasse la lezione!
La permanenza nella Russia in trasformazione è avvenuta in due diversi momenti del 1993, in un periodo di grandi trasformazioni economiche, sociali, culturali non sempre positive. Nel corso di poco tempo cadde tutta la struttura economica  sovietica creata nel corso dei decenni precedenti. Il piano dei 500 giorni si trasformò in un arraffa-arraffa fra più proprietà e più beni che si poteva da parte della cosiddetta "nomenclatura" che di punto in bianco cambiò pelle e si scoprì dedita al business più sfrenato e sfrontato.
Fu inventato il sistema dei voucher che valevano 10.000 rubli essendo stato "calcolato" che la ricchezza complessiva della Russia era di 150 miliardi di rubli. Ogni persona aveva diritto ad un voucher di 10.000 rubli. I voucher furono snobbati dalla massa della popolazione e quindi il loro corso cadde fino a circa il 40% del loro valore. I grandi commis di stato ne fecero incetta senza spendere molto perché avevano in mano le casse delle fabbriche e le banche. Una volta che questa incetta fu realizzata fu attuato l' adeguamento dei prezzi delle merci a quelli occidentali, cioè una rivalutazione di mille volte, mentre i salari rimanevano gli stessi. Di punto in bianco milioni di persone guadagnavano mille volte meno. Non solo! Ma le fabbriche e gli uffici non pagarono più per alcuni anni i loro dipendenti.
Le case di cura e riposo, gli ospedali, le scuole, gli asili nido non ricevettero più i finanziamenti. In questa condizione di disastro generale furono annunciate le privatizzazioni, da cui furono esclusi gli stranieri e i cittadini russi senza vaucher.
La svendita di tutto l'apparato industriale e commerciale divenne un gioco da ragazzi per la nomenclatura sovietica. Alla gente comune furono date le briciole, cioè le case, spesso obsolete e fatiscenti, in cui abitavano a condizione che ne facessero richiesta scritta. Molti si rifiutarono di farlo e non pochi si videro gettati fuori dalla casa in cui avevano sempre abitato.
Il dramma sociale provocò una crisi demografica senza precedenti  nel mondo moderno. Milioni di persone videro distrutte le aspettative di vita e morirono silenziosamente di fame, inedia o si suicidarono.
Molti bambini furono venduti all'estero, pardon, adottati. Trecentomila scienziati emigrarono nei paesi capitalistici, dove si sono rifatti una vita.
La popolazione russa, malgrado tutta l'immigrazione, dall' Asia centrale, di 15 milioni di persone, è scesa da 150 a 142 milioni. Una perdita secca di circa 20 milioni di persone. Neanche le purghe di Stalin avevano provocato tanto sfacelo.
Nel mio diario registro l'andamento dei prezzi e l'ondata dei cambiamenti. Nel frattempo, lavoro all'Archivio del Komintern per studiare il lascito di Gramsci e Togliatti.
Quel ritorno a Mosca nel 1993, anzi quei ritorni, perché sono diverse permanenze nella capitale russa ex sovietica all'indomani della disgregazione dell'impero sovietico e della stessa URSS, mi
proiettarono in una esperienza nuova, ma in un certo senso fu una esperienza di ritorno, perché nel 1943 avevo già assistito alla caduta di un regime, quello fascista, che voleva essere millenario, e di uno stato, quello italiano, che non aveva che 80 anni.
L'avevo vista e vissuta - quella - con i miei occhi di bambino ora invece vedevo concretamente con sguardo adulto la rovina di un regime, quello sovietico, che voleva essere eterno, e di uno stato che
aveva poco più di 70 anni.
I due regimi erano caduti per due ragioni diverse: il regime fascista a causa di una sconfitta militare, quello sovietico per implosione interna. I suoi dirigenti, alla prova dei fatti, non erano riusciti a riformarlo, vittime consapevoli  e sacrificali di infinite contraddizioni. Nel mio diario giornaliero documento i conflitti finanziari, miei, sociali, nazionali, culturali che lo avevano portato alla rovina. Il mio diario lo chiamo, non a caso, Zibaldone, perché nelle mie analisi tengo ben presente la crisi che negli stessi anni viveva L ‘Italia era una crisi che aveva molte analogie con la coeva crisi sovietica e  russa E se le mie giornate spesso trascorrevano nell'archivio del Comintern non era un caso, ma una scelta precisa: perché dopo il crollo del regime sovietico gli archivi del partito comunista sovietico e dell'Internazionale comunista potevano essere visti senza alcun filtro o censura, a differenza di quanto mi era capitato negli anni di studio all'Università Statale Lomonosov di Mosca. Era improvvisamente la manna dal cielo, la situazione che avevo sempre sognato. Purtroppo se avevo le «aperture» per accedervi, non avevo soldi per acquistare i documenti, come hanno fatto altri, compresi certi italiani che . questi denari li avevano. Costoro hanno acquistato pezzi d'archivio a caro prezzo da alcuni archivisti che poi si sono fatti una solida posizione sociale negli USA.
Questi documenti potrebbero rivelare, se conosciuti, alcuni lati inconcepibili per non pochi dirigenti politici italiani, ma anche di tanti altri paesi, nel secondo dopoguerra. Forse questi documenti, che ho potuto vedere, compariranno fra qualche decennio, quando diventeranno simili ai reperti di Hammurabi per noi uomini del XXI secolo.
Non si può escludere, però, che altre catastrofi sociali non li distruggano. Una parte dei documenti che rinvenni a Mosca, nell'archivio del Komintren, li ho già pubblicati diciassette anni fa nel mio Togliatti fra Gramsci e Nečaev anticipo di tutti i documenti di varia natura che avevo copiato a Mosca senza aver chiesto di fotocopiarli per mantenere il segreto di quello che avevo trovato.
Infatti, via via che guardavo le varie filze, venivano a chiedermi se avevo trovato qualcosa di interessante; io mi schermivo dicendo: «sono le solite cose».
Poi fui preso da tutta una serie di altre ricerche, che mi allontanarono dalla realizzazione del programma originario. I nuovi progetti  furono inframezzati da momenti di difficoltà con la mia salute e da altre questioni. Solo oggi, dopo quasi vent'anni dalle ricerche (e dalle scoperte), posso pubblicare interamente i documenti rinvenuti nel 1993. Questi documenti provengono, in larga misura, dal fondo Ercoli (Palmiro Togliatti). Si tratta anche di documenti curiosi che riguardano lettere di Pietro Nenni, Oddino Morgari o Rugginenti, durante il periodo della guerra civile di Spagna, ma anche dei processi di Mosca.
Un altro blocco di documenti proviene dal fondo Gramsci, fondo che ancora oggi, come dimostra l'inventario che pubblico per la prima volta, non è stato affatto esplorato fino in fondo, a causa delle timidezze, doppiezze e incongruenze dei dirigenti del PCI, che hanno costantemente inviato a Mosca uomini e studiosi non sufficientemente preparati alla bisogna e che sono all'origine di tante polemiche attuali e roventi - lasciatemelo dire - spesso inutili e dannose per coloro che volevano essere i continuatori della causa di Gramsci ...
Il principale continuatore di Gramsci è stato proprio Palmiro Togliatti. Nell'archivio Ercoli si trovano non pochi documenti che riguardano il suo antico compagno di lotta. Poi ce ne sono diversi.
diverse "scalette" che pubblichiamo; che riguardano le sue avventurose vicende rivoluzionarie.
In particolare c'è la "scaletta" che riguarda la sua fuoriuscita dalla Francia con tutti i "passaggi" di coloro che lo hanno aiutato a rientrare in URSS fra il 1940 (dopo che era stato arrestato dalla polizia francese e tenuto in carcere sei mesi sotto le mentite spoglie di un ingegnere sud -americano) e il 1941, pochi mesi prima che iniziasse  l'aggressione nazista alla Russia e che egli scrivesse la famigerata lettera sulle necessità di «rielaborare» gli scritti di Gramsci.
Gli altri documenti che ho rinvenuto in quel periodo a Mosca riguardano alcuni partiti politici italiani, a cominciare dal PCI. Fra questi la memorabile corrispondenza fra Togliatti e Bianco (allora rappresentante del PCI nel Komintern) sulle sorti dei prigionieri di guerra italiani.
Alcuni di questi documenti suscitarono una forte polemica di stampa e toccò proprio a noi ristabilire il testo originale al di là e al di sopra di ogni polemica contingente e strumentale.
Negli ultimi mesi siamo stati accusati in modo gratuito da Chiara Daniele, direttrice della Fondazione Feltrinelli, di alcuni “misfatti” in forma gratuita. Parlando del mio Togliatti fra Gramsci e Nečaev scrive: «La nota introduttiva contiene una serie di affermazioni e interpretazioni che non è questa la sede per discutere!» (sic). E, di grazia, quale sarebbe la sede? Forse quella della Santa Inquisizione in quanto sarei reo di eresia? Sì, non faccio fatica ad ammetterlo, eretico da sempre [perché non ho mai avuto Dei da venerare o da rispettare, ma solo una Dea che si chiama Ragione da seguire]  e poi Chiara Daniele prosegue - con un rapporto fra causa ed effetto  veramente' demenziale - «ma che rivelano una sorprendente ignoranza delle vicende gramsciane”'.
E così, il silenzio durato diciassette anni è finito dopo che si cercò, senza successo, di incriminarmi per il «furto» di documenti. Ma  chi era di fatto l'erede del Comintern, dal momento che il PCI si era sciolto? Nessuno. Comunque, venne da me un collega e compagno dell'Università di Firenze che curava l'ultimo volume della Storia del PCI e mi disse: «Non ti citeremo mai!» e io risposi: «E chi se ne frega!». Andò via arrabbiato.
Se a pubblicare documenti inediti di Antonio Gramsci si rivela la propria ignoranza, nelle vicende gramsciane mi riconosco colpevole.
Anzi, sono anche colpevole di un nuovo e più orrendo delitto, che suona eresia lontano mille miglia. Pubblico per la prima volta l'inventario delle carte di Antonio Gramsci, così come sono state deposi
tate e catalogate a Mosca, e rimaste lì nascoste per decenni fino al  1993.
Questo, a mio giudizio, piuttosto che una colpa è un grande merito, perché si chiude definitivamente il periodo delle manipolazioni dei documenti della vita di Gramsci e di tanti altri dirigenti comunisti
e antifascisti, passando, che so, attraverso Nerio Nesi, Leo Valiani alias Weissen, fino a Gian Giacomo Feltrinelli. Anzi, sarei molto curioso di sapere da Chiara Daniele, direttrice della Fondazione Feltrinelli, visto che lei è bene informata, come è morto Gian Giacomo Feltrinelli. Non posso polemizzare ulteriormente con Chiara Daniele per la semplice ragione che non ha sollevato nessuna argomentazione contro di me, ma mi ha «solo» accusato di «ignoranza» senza specificarne la natura.      .
lo invece devo accusarla di sfrenata ritrosia perché lei, sapendo tutto, comprese le morti misteriose del XX secolo - a partire da quella di Gian Giacomo Feltrinelli - tiene segrete questa ed altre verità, che invece sarebbero utilissime per ristabilire la storia.
Nel 1993 sono stato all'archivio dell'ex Cornintern per due mesi.
Delle ricerche e dei ritrovamenti effettuati fra fine maggio e fine giugno ho già parlato. Rimane ora da chiarire di cosa mi sono interessato nella seconda permanenza, tra fine agosto e fine settembre.
Si tratta di tre filoni di ricerca: 1) L'atteggiamento dei comunisti durante la Resistenza; 2)          La nascita, la formazione e l'autoscioglimento del partito dei cattolici comunisti (Franco Rodano);  3) La genesi, l'affermazione e l'esaurimento del P.d.A. anche attraverso l'evoluzione dei suoi gruppi dirigenti.
Queste analisi appartengono ai funzionari dell' Ambasciata sovietica a Roma. Le loro missive erano dovute alle ricerche dei funzionari sovietici in Italia ed erano frutto di un lavoro collettivo. Queste analisi venivano inviate a Mosca contemporaneamente al Ministero degli Esteri e all'apparato del CC del PCUS, dai corrispondenti gangli dello stato sovietico.
A volte, anzi spesso, c'era la sovrapposizione degli organismi che per questioni personali, come nel caso della ex nuora di Luigi Longo. Sovrapposizione che, in questo caso, viene a configura quasi come un contrasto fra Palmiro Togliatti e il suo vice Luigi Longo.
Quelli che qui si leggono sono i primi giudizi storico-politici su questi raggruppamenti politici di parte sovietica e in questo consiste il loro valore.
La storiografia su questi aspetti storico-politici ha fatto passi da gigante. Basti pensare alla ormai classica Storia del PCI in diversi volumi, di Paolo Spriano, alla Storia del Partito d'Azione di Giovanni  De Luna e a La sinistra cristiana di Francesco Malgeri.
Le note su questi (e altri) partiti dei funzionari dell' Ambasciata sovietica sono i primi tentativi compiuti. Sono quindi basate su informazioni riservate o articoli giornalistici e per di più sono viziate da visioni della scolastica marxista che essi avevano studiato a Mosca.
Nel caso del P.d.A. esse sono viziate da una incipiente guerra fredda o addirittura da informazioni faziose, come nel caso di Leo Valiani definito tout court «trotskista».
Immagino quante risate devono essersi fatti a Mosca i dirigenti del KGB su queste definizioni, assolutamente infondate. Infatti, uomini come Parri, Valiani, Lussu, La Malfa erano davvero navigatori di lungo corso che per esperienza e intelligenza surclassavano nettamente  i loro indagatori sovietici, i quali non erano altro che modesti  burocrati.
E comunque questi giudizi ci restituiscono il pathos del momento storico, le concezioni che animavano i loro estensori, il clima della messaggistica che inviavano ai loro superiori di Mosca. Oggi, tante ricerche e riflessioni, possiamo anche sorridere di molti giudizi ma all'epoca c'erano milioni di persone che erano morte e continuavano a morire in omaggio a certi ideali ...
Era appunto questo quello che mi attraeva in questi documenti che mi faceva riflettere quando uscivo in strada dopo una giornata trascorsa in archivio e notavo lo scompiglio dei prezzi e dell'ordine pubblico.
E poi sentivo ogni giorno di più il maturare di una crisi risolutiva fra le forze del parlamento di tipo sovietico e le forze oscure che stavano dietro a El'cin. Lo scontro finale avvenne una settimana dopo la mia partenza. El'cin mise in campo le forze speciali dotate di granate perforanti  multiple e a gas, che fecero strage dei difensori della «Casa bianca».
Parteciparono a questi scontri anche milizie popolari, armate segretamente, come quella guidata da K.K. che ho ricordato nel corso dei miei incontri.
Quante furono le vittime non è mai stato detto. Ma posso affermare che furono parecchie migliaia.

Con il 4 ottobre 1993 finiva una fase della storia russa: finiva con una tragedia. C'ero anch'io. 


 
                                                         
                                      Renato Risaliti








                                                                                                                       




 





----Messaggio originale----
Da: ankrasikov@gmail.com
Data: 28/05/2013 20.51
A: "rrisaliti@libero.it"<rrisaliti@libero.it>
Ogg: Re: I: foto in allegato

Carissimo Renato,
con tutti i miei pensieri e con una grande gioia saro'  accanto a te` alla presentazione del "Zibaldone moscovita". Nemmeno migliaia di chilometri possono impedire di sentirci vicini.   
Tanti, tanti auguri!  L'Associazione culturale Prometeo Pistoia ci ha fatto veramente 
un bel regalo.
Tuo
Anatoly Krasikov

rrisaliti@libero.it
29 mag (3 giorni fa)
a me
>----Messaggio originale----
>Da: bautdinov@umail.ru
>Data: 29/05/2013 8.54
>A: <rrisaliti@libero.it>
>Ogg: Re: spedizione libro
>
>Caro Renato,
>Ho avuto il testo dell'introduzione 
>al libro e, leggendolo, ho visto che per fortuna ci siano in Italia delle
>persone che, ragionando con la testa propria, abbiano espresso un parere
>autonomo, non di moda, su quello che e` successo da noi negli anni '90. Ti
>saluto augurandoti ogni bene
>Gamer
>
>----- Original Message -----
>From: <rrisaliti@libero.it>
>To: <Bautdinov@umail.ru>
>Sent: Tuesday, May 28, 2013 1:03 PM



                                                               

Carlo O. Gori. Eroi senza armi: la Resistenza dei "Giusti" di Toscana

Eroi senza armi: i "Giusti" della Toscana

La tradizione talmudica onora con l’appellativo di “Giusto tra le Nazioni” il non-ebreo che abbia salvato l’ebreo dalle persecuzioni. In tal senso nel 1953, la Knesset, il Parlamento israeliano, ha adottato una legge concernente la memoria dei Martiri e degli Eroi fondando un’istituzione ebraica universale sul Monte della Rimembranza (Har HaZikaron) a Gerusalemme, il Memoriale di Yad Vashem. Il titolo di “Giusto” individua e rende omaggio a chi, mentre infuriava la Shoah, ha soccorso ebrei, disinteressatamente e suo rischio e pericolo, ed è attribuito sulla base delle testimonianze oculari, oppure di documenti attendibili. Al "Giusto" vengono consegnati una medaglia e un diploma d'onore, durante una cerimonia che si svolge sia a Gerusalemme, che nel paese d'origine e fino a poco tempo fa egli piantava un albero sul Monte della Rimembranza, oggi invece, essendo ormai la collina fitta di piante, viene apposta una targa col suo nome nella sede del Memoriale.
Gli otto volumi dell’Enciclopedia dei Giusti, compilata dallo Yad Vashem, opera “aperta”, sempre soggetta a nuove edizioni di aggiornamento ed incremento, ci ricordano che oggi i “Giusti tra le Nazioni” sono più di 20.000, mentre il volume che riguarda il nostro Paese, recentemente pubblicato, I Giusti d'Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei, 1943-45, ci dice che già alla fine del 2005 gli italiani riconosciuti tali si aggiravano intorno ai 400, senza contare i dossier nel frattempo all’esame. Scorrendo il libro ci è sembrato senz’altro “giusto” soffermarsi, anche con il corredo di altri documenti, sulle pagine dei 23 Dossier che narrano le vicende e celebrano le figure dei "Giusti" toscani.
Dopo l’8 settembre 1943, l'occupazione tedesca e la nascita della RSI, anche in Toscana, dove furono istituiti o potenziati almeno quattro grossi campi di internamento, l’apparato politico e statale fascista repubblicano collaborò attivamente con i nazisti e, spesso di propria iniziativa, mobilitò nella caccia all’ebreo non solo le camice nere, ma anche polizia e carabinieri.
E’ in questo clima che maturano gli episodi di coraggio e di valore dei “Giusti” toscani ed è a Firenze il numero maggiore di dossier che li riguarda, anche perché il capoluogo toscano, con Torino, Genova e Roma, è uno dei quattro maggiori centri della Delasem in Italia. Qui opera il giovane rabbino Nathan Cassuto che crea un efficiente gruppo di assistenza ai profughi giunti in Italia dalle loro zone di rifugio dei Balcani oppure del Sud della Francia, fino ad allora occupate dalle truppe italiane. L’arrivo dei tedeschi e la chiusura della Comunità aggravava il problema di assistenza agli ebrei stranieri che continuavano ad affluire in città così il rabbino ed altri esponenti dell’organizzazione chiesero aiuto alla Chiesa cattolica fiorentina; i contatti con il cardinale Elia Dalla Costa furono tenuti tramite Giorgio La Pira, che abitava nel convento di San Marco. L’appoggio non si fece attendere ed il cardinale convocò immediatamente Padre Cipriano Ricotti, domenicano di San Marco, originario di Pistoia, e poi Don Leto Casini, parroco di Varlungo, incaricandoli di trovare riparo ai profughi. Grazie a Ricotti e a Casini, l’assistenza della Delasem tramite il neocostituto Comitato ebraico-cristiano assunse in breve proporzioni notevoli: i profughi venivano accompagnati in rifugi di transito come il Seminario minore, da dove poi venivano smistati verso insospettabili case private e soprattutto conventi e istituti religiosi (oltre ventuno) toscani ed umbri. Per chi voleva continuare la fuga verso le zone liberate o la neutrale Svizzera fu necessario trovare vestiario, viveri e documenti falsi che arrivavano sia tramite Mario Finzi, della Delasem bolognese, che mediante contatti con la Resistenza toscana attivati da Padre Ricotti. Noto in quest’ambito l’oscuro, faticoso e rischioso compito di “postino” fra Firenze e Assisi svolto dal grande campione ciclista Gino Bartali.
Purtroppo però l’opera di una spia infiltrata dalle SS nel Comitato, tal Felice Ischio da Torino, portò alle retate del 6/7 novembre a Firenze, Montecatini e Bologna, in seguito alle quali Padre Ricotti, molto esposto, venne prudenzialmente trasferito dalle gerarchie ecclesiastiche nel convento di Prato e poi, il 26 novembre, all’arresto della dirigenza del Comitato ed alla scoperta di molti rifugiati. Cassuto e ed altri vennero arrestati e deportati, mentre Don Leto Casini, tradotto ed interrogato a Villa Triste, poté poi scampare alle grinfie degli sgherri di Carità solo grazie ad un intervento deciso ed autorevole, ma indubbiamente rischioso, del cardinale Elia Dalla Costa. Continuò la sua opera, per la quale è stato anche insignito, il 25 aprile 2004, della Medaglia d’oro alla Memoria, nella completa clandestinità.
In ogni singolo dossier ci sono a volte molti “Giusti” che aiutano un solo ebreo, mentre nel caso di questi due eccezionali “Giusti”, Padre Ricotti (Dossier 2244) e Don Casini (D. 3546), avvenne esattamente il contrario: gli ebrei aiutati sembrano essere stati circa 300-400, soltanto nel periodo ottobre-novembre 1943.
Altri religiosi vicini al Comitato si assunsero allora il compito di ospitare e salvare non pochi rifugiati superstiti dalle retate di fine novembre, fra questi spiccano i nomi di Don Giulio Facibeni, figura carismatica della chiesa fiorentina, Pievano di Rifredi e fondatore dell’Opera Madonnina del Grappa (D. 2987), che nascose vari giovani nel suo orfanotrofio e di Don Giovanni Simioni (D. 3546) che salvò 12 donne e bambini trasferendoli con un rischioso viaggio nell’originaria Treviso dove furono poi accolti da Don Angelo Della Torre e Don Giuseppe De Zotti. Altri “Giusti” fiorentini sono: Madre Maddalena Cei (D. 2961) che salvò la vita a 12 ragazze ebree polacche e belghe facendole travestire da suore e nascondendole nel convento delle Serve di Maria SS. Addolorata di via Faentina; il sessantenne Don Giulio Gradassi (D. 3433) che accolse la famiglia ebrea-polacca Pick; Lina e Mario Canterini (D. 1615) che salvarono i figli di Nathan Cassuto, Daniel ed Anna (poi purtroppo morta di malattia a Montecatini Alto); il pastore evangelico Tullio Vinay (D. 1621) che con i coniugi Amato e Letizia Billour (D. 3323), anch’essi evangelici, mise in salvo altri vari membri della famiglia Cassuto; Luciana Boldetti (D. 1336) che ospitò Anna Ottolenghi riuscendo poi a farle varcare la frontiera Svizzera; Gennaro Campolmi, azionista, (D. 2199) che procurò numerosi documenti falsi ai rifugiati e poi salvò con l’aiuto dell’amico Luigi Pugi (D. 781) la famiglia del suo datore di lavoro Goffredo Passigli; Lelio e Lina Lai Vannini (D. 1875) che accolsero la piccola Margherita Neehama Calfon trattandola come una figlia; Leonilda Barsotti Pancani che diede rifugio a quattro ebrei stranieri nella sua casa di via della Vigna Vecchia 3.
Prato annovera fra i “Giusti” Gino Signori (D. 1294), noto pittore, che durante la sua permanenza come internato militare al lavoro coatto ad Amburgo salvò, anche grazie alla sua mansione di infermiere ed alla perfetta conoscenza del tedesco, numerose donne ebree.
In provincia di Pistoia sono tre i dossier dei “Giusti”: quello delle famiglie di Sem e Maria Grassi di Agliana e di Pietro ed Albina Gori di Montale (D. 2620) che salvarono la vita ad Alberto Saltiel; quello della famiglia di Umberto ed Amina Natali (D. 3710) che a Pescia misero in salvo le sorelle fiorentine Lea, Michal e Miriam Della Riccia; ed infine quello della pesciatina Frisino Basso Lida (D. 1559) che nella sua casa di Lunata (LU) grazie anche all’aiuto dei padri del Convento di Porcari e di due partigiani, Michele Lombardi e Roberto Bartolozzi, trasse in salvo un folto gruppo di ebrei organizzando la fuga di cinque di essi in Svizzera.
A Lucca un coraggioso sacerdote oblato, il “Giusto” Don Arturo Paoli (D. 2560), sotto la diretta protezione dell’arcivescovo Antonio Torrini, diede vita con l’eroico ebreo pisano Giorgio Nissim, che aveva dovuto per sicurezza lasciare la propria città dove stava svolgendo una vasta opera di soccorso, ad un Comitato collegato alle Delasem di Genova e Firenze ed operante dal convento di via del Giardino Botanico. Il Comitato con il concorso di Don Siro Niccolai, Don Guido Staderini e Don Renzo Tambellini, e con l’aiuto di partigiani, di civili di ogni condizione e di religiosi e religiose di varie congregazioni, riuscì a nascondere in Lucchesia e Garfagnana decine e decine di rifugiati provenienti dalla Francia oppure delle vicine Pisa e Livorno.
A Pisa, le famiglie Di Porto, dopo l’emanazione dell’ordine di cattura di tutti gli ebrei da parte della RSI dei primi di dicembre 1943, si trasferirono in un casolare abbandonato nelle campagne di Montecatini Val di Cecina. Individuati, vennero avvertiti di un imminente rastrellamento dal medico Marcello Guidi e dal brigadiere dei carabinieri Francesco Soro. Soccorsi da molti contadini, trovarono poi sicura e definitiva accoglienza nel podere Le Tinte gestito dalla famiglia Bartalucci composta da Biagio, dal figlio Bruno, dalla moglie Armida Belucci e dalla nuora Giacomina Gallinaro (D. 2362).
A Marina di Carrara, malgrado il continuo andirivieni delle truppe tedesche che presidiavano la “Gotica”, la famiglia del fervente antifascista Alessandro Sgatti, composta dalla moglie Irina e dalla figlia Luce (D. 2382) riuscì ad accogliere dal novembre ‘43 all’aprile ‘45, nascondendone abilmente l’identità e trattandolo come un figlio, il tredicenne milanese Adolfo Vitta il cui padre era stato deportato ad Auschwitz.
A Siena il sig. Giacomo Sadun, avuta notizia della retata romana dell’ottobre 1943, decise di nascondere la sua numerosa famiglia (9 persone): le donne trovarono asilo presso il convento di S. Regina protette dalla madre superiora Moggi, mentre gli uomini furono accolti nella parrocchia di Don Rosadini a S. Agnese a Vignano. Alla notizia delle irruzioni nazifasciste del dicembre 1943 nei conventi fiorentini la famiglia ritenne consigliabile lasciare i propri rifugi e venne per lungo tempo ospitata dall’anziana signora Elvira Pannini (D. 1653) e poi dalle famiglie Adami e Cardini.
A Giampiereta, paese di montagna in provincia di Arezzo, trovò asilo Umberto Franchetti, noto pediatra fiorentino, con la moglie Anny Pontremoli e le figlie Lina, Celestina e Luisa. La famiglia sfuggita nel capoluogo toscano alla retata nazifascita di novembre, venne affidata da un amico del professore, frate Achille del convento de La Verna, a Francesco ed Emilia Ciuccoli (D. 4282), che la ospitò amorevolmente sottraendola anche, con l’aiuto di tutti i paesani, all’ identificazione durante un rastrellamento antipartigiano operato nella zona dalla divisione Hermann Goering.
Infine, in provincia di Grosseto, ben due dossier riguardanti otto “Giusti” interessano il suggestivo borgo di Pitigliano, la “piccola Gerusalemme”, sede di una delle più antiche comunità ebraiche italiane che prima delle leggi razziali arrivava al dieci per cento della popolazione locale. Il Dossier 5295 riguarda Agostino e Annunziata Nucciarelli, Sem ed Adele Perugini, Domenico e Letizia Simonelli che con l’aiuto di altri compaesani salvarono la numerosa famiglia Poggi Sadun, mentre il Dossier 2824 concerne il “Giusto” Fortunato Sonno che mise in salvo la famiglia Servi che viveva a Pitigliano da molte generazioni.
Queste, in sintesi, le storie ed i nomi dei “Giusti” toscani: ciascuna meriterebbe per lo meno lo spazio di un articolo. Dei lettori potranno tuttavia meravigliarsi di non aver trovato qualche protagonista di consimili episodi a loro noti, ma in proposito Yad Vashem è chiaro: i finora riconosciuti “Giusti” sono molti meno di quelli che dovrebbero essere, molte pratiche sono aperte, comunque la conditio sine qua non per l’avvio delle procedura di riconoscimento, (lunga, complessa e rigorosa) è che salvato/i e/o salvatore/i, o loro discendenti, debbano farne esplicita richiesta e questo in molti casi non è stato (ancora) fatto poiché i “Giusti” obbedirono ad un dovere morale come la cosa più naturale da fare in simili circostanze, senza chiedere ed aspettarsi niente. Uscirono così dalla vasta e comoda “zona grigia” dell’indifferenza, dell’opportunismo, della paura, affrontando serenamente i pericoli rappresentati da persecutori fanatici, spie ed interessati delatori. Umili eroi senza armi riscattarono, anch’essi, l’onore del nostro Paese.

       
                                      
                                    Carlo Onofrio Gori                                                                    





Sintesi e rielaborazione dell’articolo di Carlo O. Gori, “I Giusti” di Toscana: schiaffo all’“indifferenza”. La storia dei toscani che operarono in favore degli ebrei durante le persecuzioni nazifasciste, il ruolo della chiesa e della gente comune, in “Microstoria”, n. 51 (gen-mar. 2007).



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