Alle origini del conflitto culturale fra Russia e Polonia
Renato Risaliti
Nel passato la slavistica ha spesso trascurato un aspetto del conflitto
culturale che vede la Russia e la Polonia contrapposte su problemi di breve e
di lungo periodo.
Nelle pagine che abbiamo tradotto dal russo di Jaochim Lelewel sulla
storia dello stato russo di Karamzin si celano molti aspetti di questa sempre
riaffiorante contrapposizione sia sull’origine degli slavi che cela un aspetto
poco noto della storiografia romantica ripreso da Marx, l’aspetto nascostamente
razzista oltre che quello conclamato classista che coinvolge il rapporto fra
mondo lavico e germanico.
Ci sono in questa polemica idiosincrasie sia russe sia polacche.Non a
caso i russi si sono ben guardati da ripubblicare i dieci articoli che Lelewel
riuscì a pubblicare sulla rivista russa Severnyj archiv fra il 1822 e il 1824
aiutato da due polacchi russificati Bulgarin e Senkovski.
Ma anche gli studiosi polacchi si sono ben guardati dal ripubblicare i
dieci articoli ma solo i primi quattro in cui Lelewel fa un raffronto fra le
linee portanti della Storia del popolo polacco di Naruszewicz e la Storia dello
stato russo di Karamzin. Per gli articoli successivi adducono il fatto della
loro mancata pubblicazione in polacco, il fatto incontestabile che Bulgarin,
giornalista al servizio delle autorità zariste, avrebbe alterato il senso
stesso degli articoli di Lelewel, ma si sono ben guardati dal pubblicare il
testo che a loro giudizio sarebbe originale.
Solo “Slavic Review” nel 1972 affrontò in parte la questione, ma senza
apportare risultati soddisfacenti e conclusivi.
Oggi noi siamo in grado, sulla base delle carte Ciampi esistenti presso
la biblioteca Forteguerriana di Pistoia, di portare nuova luce con la stampa
anastatica di due documenti a firma di Lelewel conservati. Va tenuto presente
che Ciampi aveva stretto una forte amicizia e collaborazione con lo storico e
uomo politico polacco Lelewel come si evince dalle lettere da noi rinvenute
alla biblioteca Jagiellonska di Cracovia e in corso di stampa.
E’ implicito che Lelewel e Karamzin siano portatori di queste due
diverse culture. Quindi il problema sollevato dallo studioso polacco A. Walicki
nel suo Una uotopia conservatrice. La storia degli slavofili di una
contrapposizione fra il repubblicanesimo democratico di Lelewel e il principio
autocratico di cui si fa portabandiera Karamzin è un contrasto che segna con un
filo rosso tutta la polemica storiografica fra i due paesi e che prosegue
tutt’ora.
La polemica di Lelewel sull’origine degli slavi non si capisce fino in
fondo, anzi si corre il rischio di sopravalutarla o al contrario di
sottovalutarla, se si astrae dal contesto storico culturale in senso ampio in cui è nata. Non si può fare
come ha fatto unA parte della storiografia polacca o russa, limitandola
all’ambito slavo. La polemica sull’origine degli slavi intesa nel senso di
quali fossero le caratteristiche economico sociali e istituzionali dei popoli
slavi e, nel caso concreto dei polacchi e dei russi, non si può, anzi è meglio
dire, non si deve astrarre dalle correnti storiografiche che nascono e si
affermano a livello europeo nel campo della storiografia.
In questo campo specifico, quello storiografico, nasce e si afferma
all’epoca della Restaurazione la corrente “romantica” con le opere di Thierry
e/o di altri storici del pensiero della Restaurazione. (1)
La storiografia italiana dell’epoca ed anche quella successiva, a parer
nostro, non ha ben focalizzato il problema perciò lo ha ignorato, oppure lo ha
riferito, però in sostanza, travisandolo. In quest’ultima categoria sono da
annoverarsi gli storici appartenenti alla storiografia marxista che ha
ripetutamente parlato dell’influenza degli storici “borghesi” francesi
dell’epoca della restaurazione sulla formazione del pensiero marxista della
lotta di classe, concetto basilare del marxismo.
Questa corrente storiografica ha ripetutamente accennato all’importanza
degli storici francesi (Thierry, Guisot, Michelet), però ha quantomeno
minimizzato sulla scia di Marx la particolarità del concetto della “lotta di
classe” presso questi storici concepita in Francia come una lotta fra i
galloromani (contadini sottomessi) e feudatari, i conquistatori delle Gallie,
di origine franco tedesca o in Inghilterra fra l’elemento celtogermanico o
anglosassone (contadini sottomessi) e i conquistatori dominatori (franco
normanni). In sostanza hanno ignorato l’angolatura razzista degli storici
francesi della Restaurazione, angolatura che riacquista peso in seguito ai movimenti
immigratori in atto nell’Europa odierna. E questo ci spinge a riesaminare il
problema. Affronto questo problema storiografico perché ebbe una notevole
incidenza sulla letteratura. Basti pensare a Ivanhoe di W. Scott e i suoi
“continuatori” in senso lato in tutte le letterature europee: dai romanzi di
Victor Hugo, ai Promessi sposi di A. Manzoni e Guerra e Pace di Tolstoj. [a
conclusione torneremo sull’influenza specifica di questa problematica nella
letteratura russa degli ani Venti del secolo decimonono].
L’impostazione degli storici francesi del periodo della restaurazione
acquistò un particolare peso a livello europeo e soprattutto in Polonia e in
Russia.
Già nel Settecento diversi storici tedeschi che vivevano in Russia,
leggendo anzi studiando la più antica cronaca russa Povest’ o vremennych let
(Racconto dei tempi passati) erano giunti alla conclusione che presso i russi
lo stato era sorto in seguito alla chiamata dei varjagi (normanni), in altre
parole, grazie all’elemento tedesco perché gli slavi per le loro
caratteristiche non sarebbero stati in grado di creare uno stato con le loro
forze (2). Questa seconda parte era una conclusione abbastanza razzista che fin
dall’inizio suscitò le più vivaci reazioni dei russi a partire dal grande fisico
e chimico M. Lomonosov (3).
La storia normannista aveva la sua forte base nella prima cronaca russa
e questo non poteva essere negato. Ma fin dall’inizio furono fatte una serie di
osservazioni e avanzati dubbi.
Questa polemica che corre per tutto il secondo Settecento riesplode nei
primi decenni dell’Ottocento quando Karamzin il padre del romanticismo russo
(che in Russia si chiamò sentimentalismo) sollecitato dagli ambienti di corte,
se non dallo stesso zar Alessandro I, si mise a fare lo storico professionale e
scrisse un vero monumento storico La storia dello stato russo, che ha dignità
letteraria (e fu tradotta quasi subito anche in italiano) (4).
Ebbene N. Karamzin nella sua storia fece sua la teoria normannista cioè
della chiamata dei principi normanni (Rjurik etc.) per superare le continue
discordie esistenti fra le tribù slave.
Apriti cielo! [Riparleremo di questo aspetto]. Va tuttavia precisato
che fra l’impostazione degli storici francesi e slavi (russi e polacchi) ci
sono analogie, ma anche differenze. In primis, perché i normanni non sarebbero
stati conquistatori ma sarebbero stati “chiamati”. Ma da chi in particolare? E
poi i normanni in Russia sarebbero stati rapidamente assimilati forse perché il
loro numero era assai piccolo rispetto agli slavi. In terzo luogo, questa
polemica nasce a causa della chiamata da parte di Pietro I e dei suoi
successori degli storici tedeschi che fornirono subito questa interpretazione
della storia russa desunta dai documenti storici.
Si aprì una vivacissima discussione storico politico letteraria sia in
Russia sia in Polonia perché dopo il 1815 la Polonia era entrata a far parte
dell’impero russo.
Nikolaj M. Karamzin aveva affermato:
“L’autocrazia è il Palladio della Russia, la sua completezza è
necessaria per la sua felicità (!)” (5). E’ evidente per chi conosce l’origine
dei popoli slavi che la veče è l’antica assemblea dove si prendevano le
decisioni, ma questo fatto, ovviamente generava dei conflitti. L’autocrazia
cioè il potere assoluto di un principe serve per porre fine a questi conflitti.
Ma il principe e la sua druzina erano di origine straniera! Vi è in questo un
conflitto etnico sociale.
Vorrei osservare qui che non condivido la tesi di Giuseppe Ricuperati
che la nazione sia morta. Anzi assistiamo in tutto il mondo al suo fiorire.
Basti pensare che sotto i nostri occhi si è sfasciata l’idea di unità di
nazioni arabe. Oggi ci sono oltre 10 nazioni arabe. Nei paesi di lingua
portoghese non si può fare la riforma dell’alfabeto perché si formano subito
sei o sette nazioni lusitane. Nella America Latina si assiste allo stesso
fenomeno con lo spagnolo casigliano ormai fra Argentini e Messicani le
differenze sono più che sensibili. Lo stesso fenomeno nei paesi di lingua
inglese. Una nuova unità etnica di cui si favoleggiava in URSS si è frantumata
ai primi dissensi politici. La formazione delle nazioni richiede secoli e non
possono apparire o scomparire per semplici processi politici transeunti.
Alle tesi di Karamzin in Russia si opposero immediatamente i decabristi
che invece esaltavano la veče come organo autoctono degli slavi, quindi organo
popolare e democratico per eccellenza (6).
In sostanza si apre davanti a noi un conflitto che è conflitto
etnicosociale, istituzionale, ma che non tarderà a trasferirsi anche in ambito
letterario, ma in modo apparentemente assai confuso, una matassa che solo i
formalisti russi hanno permesso di dipanare (7).
Un conflitto etnico sociale, ma assume anche una valenza istituzionale
immediata, se collocata storicamente nell’epoca della Restaurazione, perché il
principio a cui faceva riferimento Karamzin era di carattere monarchico, mentre
i decabristi si rifacevano alla veče che era un organo nella sua essenza
democratico e repubblicano. Questa polemica finì per andare oltre la Russia
strettamente intesa, e finì per riflettersi nel dibattito all’interno della
Polonia. I patrioti polacchi con alla testa Joachin Lelewel, il maggiore
storico polacco e membro del futuro governo provvisorio che guidò
l’insurrezione antizarista del 1830-31 sollecitato da Bulgarin, un polacco
russificato, ma grosso giornalista, scrisse sulla stampa russa articoli a
favore della vece e quindi dei principi repubblicani (8). Questi suoi scritti
ebbero una favorevole accoglienza da parte di numerosi decabristi (9) Non solo!
Vennero seguiti con attenzione da uno storico italiano Sebastiano Ciampi che in
quegli anni insegnava all’Università di Varsavia dopo aver lasciato
l’insegnamento all’Università di Pisa. Nelle sue carte si trovano i sunti in
francese di questi articoli di Lelewel pubblicati sulla rivista russa “Severnyj
archiv”. Secondo la grafia questi riassunti sono di Lelewel!
Dicevamo che i decabristi idealizzavano la Veče in primo luogo di
Novgorod.
Secondo una certa tradizione non confortata da documenti storici
attendibili nella vita delle Veče di Novgorod si sarebbe distinto Vadim, un
personaggio leggendario. Già nell’epoca di Caterina II uno scrittore come
Knjažnin aveva cantato le gesta di Vadim, cosa di cui l’Imperatrice si era
preoccupata perché nello scritto vi vide un forte pathos repubblicano (10).
All’inizio degli anni Venti dell’Ottocento Vadim suscitò l’interesse di
V.F. Raevskij che in seguitò chiamò un figlio suo Vadim (11). Lo stesso Puškin
ha ricordato il personaggio Vadim nemico della tirannia (12).
Infine K.F. Ryleev, uno dei cinque martiri decabristi, noto poeta
cittadino nei suoi Dumy (Pensieri) canta con emozione di Vadim definito “uno
slavo libero nell’animo” (13).
Occorre nelle mie conclusioni sottolineare un’apparente contraddizione
dei fatti letterari russi rispetto ala nostra storia letteraria e di alcuni
altri paesi europei già messa in luce dai Archaisty i novatory Karamzin che sul
piano letterario era un innovatore essendo il capo del preromanticismo russo,
sul piano storico politico era un conservatore, un difensore dell’autocrazia;
finisce negli anni Venti per schierarsi contro gli esponenti decabristi che come
Ryleev o Kjuč Kelbeker erano classicisti, ma che sul piano politico erano
innovatori e quindi sono a favore degli eroi romantici difensori della Veče
cioè dell’istituzione democratica, popolare e repubblicana!
NOTE
01. B.G. REJZOV,
Francuzskaja romantičeskaja istoriografija Leningrad, 1956; Cfr. V.M. DALIN,
Istoria Francii XIX-XX vekov, M, nauka, 1981, pp. 7-41.
02. B.D. GREKOV,
Kievskaja Rus’, M, 1953; Cfr. B.A. RYBAKOV, Remeslo Drevnej Rusi, M. 1948; Cfr.
A.M. SACHAROV, Normauskaja teorija, “S.I.E.”, M, 1967 col. 348.
03. V.P. LISCOV,
Lomonosov Michail Vasil’evič, “SIE”, vol. 8, Moskva, Sov. Enciklopedija, 1965,
col. 768.
04. KARAMZIN, Istoria
dell’Impero di Russia, vol. I-IX, Venezia 1828-29
05. Cfr. R. RISALITI,
Storia della Russia dalle origini all’Ottocento, Milano, B. Mondadori, 2005, p.
188.
06. S.S. VOLK,
Istoričeskie vzgljady dekabristov, M-L, Izd. Ak. Nauk SSSR, 1958, p. 335.
07. R. RISALITI, Storia
della Russia, Milano, Bruno Mondatori, 2005, p. 236.
08. A. WALICKI, Una
utopia conservatrice. Storia degli slavofili, Torino, Einaudi, 1973, p. 55.
09. S.S. VOLK, Op. cit., pp. 318-319.
10. Vosstanie
dekabristov, vol. II, M-L, 1926, p. 167; Cfr. R. RISALITI, Storia del teatro
russo dalle origini a Ostrovskij, vol. I, FI, 1998, p. 37.
11. Poety dekabristy, L,
1949, p. 224.
12. A.S. PUSKIN, Polnoe
sobranie sočinenij v 10 tomach, vol. V, p. 489.
13. K. F. RYLEEV, Polnoe
sobranie sočinenij, M-L, 1934, p.
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