sabato 27 luglio 2013

Renato Risaliti. Alle origini del conflitto culturale fra Russia e Polonia

Alle origini del conflitto culturale fra Russia e Polonia

Nel passato la slavistica ha spesso trascurato un aspetto del conflitto culturale che vede la Russia e la Polonia contrapposte su problemi di breve e di lungo periodo.
Nelle pagine che abbiamo tradotto dal russo di Jaochim Lelewel sulla storia dello stato russo di Karamzin si celano molti aspetti di questa sempre riaffiorante contrapposizione sia sull’origine degli slavi che cela un aspetto poco noto della storiografia romantica ripreso da Marx, l’aspetto nascostamente razzista oltre che quello conclamato classista che coinvolge il rapporto fra mondo lavico e germanico.
Ci sono in questa polemica idiosincrasie sia russe sia polacche.Non a caso i russi si sono ben guardati da ripubblicare i dieci articoli che Lelewel riuscì a pubblicare sulla rivista russa Severnyj archiv fra il 1822 e il 1824 aiutato da due polacchi russificati Bulgarin e Senkovski.
Ma anche gli studiosi polacchi si sono ben guardati dal ripubblicare i dieci articoli ma solo i primi quattro in cui Lelewel fa un raffronto fra le linee portanti della Storia del popolo polacco di Naruszewicz e la Storia dello stato russo di Karamzin. Per gli articoli successivi adducono il fatto della loro mancata pubblicazione in polacco, il fatto incontestabile che Bulgarin, giornalista al servizio delle autorità zariste, avrebbe alterato il senso stesso degli articoli di Lelewel, ma si sono ben guardati dal pubblicare il testo che a loro giudizio sarebbe originale.
Solo “Slavic Review” nel 1972 affrontò in parte la questione, ma senza apportare risultati soddisfacenti e conclusivi.
Oggi noi siamo in grado, sulla base delle carte Ciampi esistenti presso la biblioteca Forteguerriana di Pistoia, di portare nuova luce con la stampa anastatica di due documenti a firma di Lelewel conservati. Va tenuto presente che Ciampi aveva stretto una forte amicizia e collaborazione con lo storico e uomo politico polacco Lelewel come si evince dalle lettere da noi rinvenute alla biblioteca Jagiellonska di Cracovia e in corso di stampa.
E’ implicito che Lelewel e Karamzin siano portatori di queste due diverse culture. Quindi il problema sollevato dallo studioso polacco A. Walicki nel suo Una uotopia conservatrice. La storia degli slavofili di una contrapposizione fra il repubblicanesimo democratico di Lelewel e il principio autocratico di cui si fa portabandiera Karamzin è un contrasto che segna con un filo rosso tutta la polemica storiografica fra i due paesi e che prosegue tutt’ora.
La polemica di Lelewel sull’origine degli slavi non si capisce fino in fondo, anzi si corre il rischio di sopravalutarla o al contrario di sottovalutarla, se si astrae dal contesto storico culturale  in senso ampio in cui è nata. Non si può fare come ha fatto unA parte della storiografia polacca o russa, limitandola all’ambito slavo. La polemica sull’origine degli slavi intesa nel senso di quali fossero le caratteristiche economico sociali e istituzionali dei popoli slavi e, nel caso concreto dei polacchi e dei russi, non si può, anzi è meglio dire, non si deve astrarre dalle correnti storiografiche che nascono e si affermano a livello europeo nel campo della storiografia.
In questo campo specifico, quello storiografico, nasce e si afferma all’epoca della Restaurazione la corrente “romantica” con le opere di Thierry e/o di altri storici del pensiero della Restaurazione. (1)
La storiografia italiana dell’epoca ed anche quella successiva, a parer nostro, non ha ben focalizzato il problema perciò lo ha ignorato, oppure lo ha riferito, però in sostanza, travisandolo. In quest’ultima categoria sono da annoverarsi gli storici appartenenti alla storiografia marxista che ha ripetutamente parlato dell’influenza degli storici “borghesi” francesi dell’epoca della restaurazione sulla formazione del pensiero marxista della lotta di classe, concetto basilare del marxismo.
Questa corrente storiografica ha ripetutamente accennato all’importanza degli storici francesi (Thierry, Guisot, Michelet), però ha quantomeno minimizzato sulla scia di Marx la particolarità del concetto della “lotta di classe” presso questi storici concepita in Francia come una lotta fra i galloromani (contadini sottomessi) e feudatari, i conquistatori delle Gallie, di origine franco tedesca o in Inghilterra fra l’elemento celtogermanico o anglosassone (contadini sottomessi) e i conquistatori dominatori (franco normanni). In sostanza hanno ignorato l’angolatura razzista degli storici francesi della Restaurazione, angolatura che riacquista peso in seguito ai movimenti immigratori in atto nell’Europa odierna. E questo ci spinge a riesaminare il problema. Affronto questo problema storiografico perché ebbe una notevole incidenza sulla letteratura. Basti pensare a Ivanhoe di W. Scott e i suoi “continuatori” in senso lato in tutte le letterature europee: dai romanzi di Victor Hugo, ai Promessi sposi di A. Manzoni e Guerra e Pace di Tolstoj. [a conclusione torneremo sull’influenza specifica di questa problematica nella letteratura russa degli ani Venti del secolo decimonono].
L’impostazione degli storici francesi del periodo della restaurazione acquistò un particolare peso a livello europeo e soprattutto in Polonia e in Russia.
Già nel Settecento diversi storici tedeschi che vivevano in Russia, leggendo anzi studiando la più antica cronaca russa Povest’ o vremennych let (Racconto dei tempi passati) erano giunti alla conclusione che presso i russi lo stato era sorto in seguito alla chiamata dei varjagi (normanni), in altre parole, grazie all’elemento tedesco perché gli slavi per le loro caratteristiche non sarebbero stati in grado di creare uno stato con le loro forze (2). Questa seconda parte era una conclusione abbastanza razzista che fin dall’inizio suscitò le più vivaci reazioni dei russi a partire dal grande fisico e chimico M. Lomonosov (3).
La storia normannista aveva la sua forte base nella prima cronaca russa e questo non poteva essere negato. Ma fin dall’inizio furono fatte una serie di osservazioni e avanzati dubbi.
Questa polemica che corre per tutto il secondo Settecento riesplode nei primi decenni dell’Ottocento quando Karamzin il padre del romanticismo russo (che in Russia si chiamò sentimentalismo) sollecitato dagli ambienti di corte, se non dallo stesso zar Alessandro I, si mise a fare lo storico professionale e scrisse un vero monumento storico La storia dello stato russo, che ha dignità letteraria (e fu tradotta quasi subito anche in italiano) (4).
Ebbene N. Karamzin nella sua storia fece sua la teoria normannista cioè della chiamata dei principi normanni (Rjurik etc.) per superare le continue discordie esistenti fra le tribù slave.
Apriti cielo! [Riparleremo di questo aspetto]. Va tuttavia precisato che fra l’impostazione degli storici francesi e slavi (russi e polacchi) ci sono analogie, ma anche differenze. In primis, perché i normanni non sarebbero stati conquistatori ma sarebbero stati “chiamati”. Ma da chi in particolare? E poi i normanni in Russia sarebbero stati rapidamente assimilati forse perché il loro numero era assai piccolo rispetto agli slavi. In terzo luogo, questa polemica nasce a causa della chiamata da parte di Pietro I e dei suoi successori degli storici tedeschi che fornirono subito questa interpretazione della storia russa desunta dai documenti storici.
Si aprì una vivacissima discussione storico politico letteraria sia in Russia sia in Polonia perché dopo il 1815 la Polonia era entrata a far parte dell’impero russo.
Nikolaj M. Karamzin aveva affermato:
“L’autocrazia è il Palladio della Russia, la sua completezza è necessaria per la sua felicità (!)” (5). E’ evidente per chi conosce l’origine dei popoli slavi che la veče è l’antica assemblea dove si prendevano le decisioni, ma questo fatto, ovviamente generava dei conflitti. L’autocrazia cioè il potere assoluto di un principe serve per porre fine a questi conflitti. Ma il principe e la sua druzina erano di origine straniera! Vi è in questo un conflitto etnico sociale.
Vorrei osservare qui che non condivido la tesi di Giuseppe Ricuperati che la nazione sia morta. Anzi assistiamo in tutto il mondo al suo fiorire. Basti pensare che sotto i nostri occhi si è sfasciata l’idea di unità di nazioni arabe. Oggi ci sono oltre 10 nazioni arabe. Nei paesi di lingua portoghese non si può fare la riforma dell’alfabeto perché si formano subito sei o sette nazioni lusitane. Nella America Latina si assiste allo stesso fenomeno con lo spagnolo casigliano ormai fra Argentini e Messicani le differenze sono più che sensibili. Lo stesso fenomeno nei paesi di lingua inglese. Una nuova unità etnica di cui si favoleggiava in URSS si è frantumata ai primi dissensi politici. La formazione delle nazioni richiede secoli e non possono apparire o scomparire per semplici processi politici transeunti.
Alle tesi di Karamzin in Russia si opposero immediatamente i decabristi che invece esaltavano la veče come organo autoctono degli slavi, quindi organo popolare e democratico per eccellenza (6).
In sostanza si apre davanti a noi un conflitto che è conflitto etnicosociale, istituzionale, ma che non tarderà a trasferirsi anche in ambito letterario, ma in modo apparentemente assai confuso, una matassa che solo i formalisti russi hanno permesso di dipanare (7).
Un conflitto etnico sociale, ma assume anche una valenza istituzionale immediata, se collocata storicamente nell’epoca della Restaurazione, perché il principio a cui faceva riferimento Karamzin era di carattere monarchico, mentre i decabristi si rifacevano alla veče che era un organo nella sua essenza democratico e repubblicano. Questa polemica finì per andare oltre la Russia strettamente intesa, e finì per riflettersi nel dibattito all’interno della Polonia. I patrioti polacchi con alla testa Joachin Lelewel, il maggiore storico polacco e membro del futuro governo provvisorio che guidò l’insurrezione antizarista del 1830-31 sollecitato da Bulgarin, un polacco russificato, ma grosso giornalista, scrisse sulla stampa russa articoli a favore della vece e quindi dei principi repubblicani (8). Questi suoi scritti ebbero una favorevole accoglienza da parte di numerosi decabristi (9) Non solo! Vennero seguiti con attenzione da uno storico italiano Sebastiano Ciampi che in quegli anni insegnava all’Università di Varsavia dopo aver lasciato l’insegnamento all’Università di Pisa. Nelle sue carte si trovano i sunti in francese di questi articoli di Lelewel pubblicati sulla rivista russa “Severnyj archiv”. Secondo la grafia questi riassunti sono di Lelewel!
Dicevamo che i decabristi idealizzavano la Veče in primo luogo di Novgorod.
Secondo una certa tradizione non confortata da documenti storici attendibili nella vita delle Veče di Novgorod si sarebbe distinto Vadim, un personaggio leggendario. Già nell’epoca di Caterina II uno scrittore come Knjažnin aveva cantato le gesta di Vadim, cosa di cui l’Imperatrice si era preoccupata perché nello scritto vi vide un forte pathos repubblicano (10).
All’inizio degli anni Venti dell’Ottocento Vadim suscitò l’interesse di V.F. Raevskij che in seguitò chiamò un figlio suo Vadim (11). Lo stesso Puškin ha ricordato il personaggio Vadim nemico della tirannia (12).
Infine K.F. Ryleev, uno dei cinque martiri decabristi, noto poeta cittadino nei suoi Dumy (Pensieri) canta con emozione di Vadim definito “uno slavo libero nell’animo” (13).
Occorre nelle mie conclusioni sottolineare un’apparente contraddizione dei fatti letterari russi rispetto ala nostra storia letteraria e di alcuni altri paesi europei già messa in luce dai Archaisty i novatory Karamzin che sul piano letterario era un innovatore essendo il capo del preromanticismo russo, sul piano storico politico era un conservatore, un difensore dell’autocrazia; finisce negli anni Venti per schierarsi contro gli esponenti decabristi che come Ryleev o Kjuč Kelbeker erano classicisti, ma che sul piano politico erano innovatori e quindi sono a favore degli eroi romantici difensori della Veče cioè dell’istituzione democratica, popolare e repubblicana!

   
                                        


                                                  Renato Risaliti











NOTE
01.          B.G. REJZOV, Francuzskaja romantičeskaja istoriografija Leningrad, 1956; Cfr. V.M. DALIN, Istoria Francii XIX-XX vekov, M, nauka, 1981, pp. 7-41.
02.          B.D. GREKOV, Kievskaja Rus’, M, 1953; Cfr. B.A. RYBAKOV, Remeslo Drevnej Rusi, M. 1948; Cfr. A.M. SACHAROV, Normauskaja teorija, “S.I.E.”, M, 1967 col. 348.
03.          V.P. LISCOV, Lomonosov Michail Vasil’evič, “SIE”, vol. 8, Moskva, Sov. Enciklopedija, 1965, col. 768.
04.          KARAMZIN, Istoria dell’Impero di Russia, vol. I-IX, Venezia 1828-29
05.          Cfr. R. RISALITI, Storia della Russia dalle origini all’Ottocento, Milano, B. Mondadori, 2005, p. 188.
06.          S.S. VOLK, Istoričeskie vzgljady dekabristov, M-L, Izd. Ak. Nauk SSSR, 1958, p. 335.
07.          R. RISALITI, Storia della Russia, Milano, Bruno Mondatori, 2005, p. 236.
08.          A. WALICKI, Una utopia conservatrice. Storia degli slavofili, Torino, Einaudi, 1973, p. 55.
09.          S.S. VOLK, Op. cit., pp. 318-319.
10.          Vosstanie dekabristov, vol. II, M-L, 1926, p. 167; Cfr. R. RISALITI, Storia del teatro russo dalle origini a Ostrovskij, vol. I, FI, 1998, p. 37.
11.          Poety dekabristy, L, 1949, p. 224.
12.          A.S. PUSKIN, Polnoe sobranie sočinenij v 10 tomach, vol. V, p. 489.

13.          K. F. RYLEEV, Polnoe sobranie sočinenij, M-L, 1934, p.







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