Un “Cavaliere” e otto Presidenti
“El Coronel Aureliano Buendía promovió
32 guerras civiles y las perdió todas...” (Gabriel García Márquez, Cien
años de soledad). La presenza dei militari in politica è frequente nella
storia dell'America latina, tuttavia, anche se spesso la loro immagine è stata
associata, piuttosto che al Libertador gen. Simon Bolivar, a quella dei
numerosi dittatori di destra emersi da juntas golpiste (Trujillo, Batista,
Strossner, Garrastazu Medici, Pinochet, Videla ecc. ecc.), storicamente,
non sempre è andata così ci ha ricordato in questi ultimi anni soprattutto la
rinnovata esperienza bolivariana del venezuelano gen. Hugo Chavez, e come si
può constatare rivisitando le biografie di politici latinoamericani, non pochi
di estrazione militare, che dal Novecento ad oggi, hanno segnato in senso
rivoluzionario o democratico-progressista la tormentata storia di alcuni Paesi
quel sub-continente.
Lo sviluppo del protagonismo militare
nelle vicende politiche latinoamericane, è ricostruibile sinteticamente da
alcuni fasi della storia comune a quei paesi: le guerre d’indipendenza
confermarono ed accrebbero il ruolo di una classe numerosa di ufficiali nativi
che, al momento della smobilitazione, si ritrovarono privi di una solida
collocazione sociale, ma che trovarono quasi subito un reimpiego nel confuso
periodo nelle guerre locali che fatalmente si scatenarono, in territori ampi e
compositi nei quali, in mancanza solide strutture statuali, erano prevalenti il
regionalismo ed il federalismo. Dagli eserciti locali emersero così dei veri e
propri “signori della guerra”, caudillosmilitari di solito ex
combattenti di alto grado che sovente pervenivano al comando supremo di tutto
lo stato, magari per essere in seguito sostituiti da un altro “uomo forte”
sorto dal medesimo ambito castrense. Con il successivo di rafforzamento degli
stati in senso unitario e centralizzato (1826-1885), sorse il problema delle
rivalità interstatali e si rese indispensabile la modernizzazione degli
eserciti per far fronte a conflitti come la Guerra de la Triple Alianza(1864-1870)
o quella del Pacifico (1879-1883) ed a questo scopo vennero
create accademie militari, spesso con l’assistenza tecnica di Paesi europei,
soprattutto Germania e Francia, e questo forse anche per riequilibrare la
potente influenza economica e finanziaria britannica che per tutto l’Ottocento
grava sul sub-continente latinoamericano. Crebbe così nei vari paesi il potere
politico delle forze armate che in vari casi diedero vita a pronunciamientosoriginati
da richieste economiche o di migliore status sociale, oppure dalla diretta
intromissione nel gioco politico che già dalla metà del XIX sec. vede la
contrapposizione fra i partiti liberali (colorados) e quelli
conservatori (blancos): i primi rappresentavano le
borghesie, spesso laiche e massoniche, interessate al commercio estero e alla
speculazione finanziaria, i secondi le vecchie oligarchie latifondiste, spesso
nazionaliste e confessionali. Il colonnello Aureliano Buendia di Cent'anni
di solitudine era appunto uncolorado, ma a parte la
Colombia che fa da sfondo alla metafora di Marquez, fu soprattutto in
Argentina, Brasile, Cile, Messico, stati più sviluppati in senso capitalista,
che la borghesia industriale, spesso al potere, fece sovente ricorso ai
militari contro i propositi di restaurazione dell'oligarchia terriera, ma anche
per intervenire contro il nascente movimento operaio. Ma a questo punto sorgeva
una contraddizione poiché la composizione sociale di coloro che provenivano
dalle accademie militari vedeva prevalere, soprattutto nei quadri intermedi,
gli ufficiali di estrazione piccolo borghese, una classe emarginata da un
potere economico che non pochi di loro consideravano antinazionale, corrotto e
sprecone: fu così che in vari Stati sorsero anche tendenze militari che
propagandavano la correttezza nei metodi di governo e la moralità della
politica.
Ne è un esempio l’insurrezione in
Brasile fra 1922 e 1930 del Movimento dos tenentes che
ebbe in Luiz Carlos Prestes, tramandato nella biografica poetica scritta da
Jorge Amado nel 1942 come O Cavaleiro da Esperança, il principale
leader. Il tentativo fallì e la “Colonna Prestes” intraprese una leggendaria
“lunga marcia” di 25 mila chilometri trovando nel 1927 rifugio in Bolivia.
Nel 1930 Prestes, tentò inutilmente di accordarsi con Getúlio Vargas che
in quel momento appoggiava il movimento dei militari “tenentisti”. I suoi
rapporti con il futuro e durevole dittatore fascio-populista da allora in poi
furono pessimi: Prestes, divenuto dirigente comunista intraprese 1935 un
fallito tentativo rivoluzionario detto Intentona Comunista e
successivamente Vargas perseguitò Prestes al punto che nel ’40 fece consegnare
dalla sua polizia la moglie di Prestes, l’intellettuale comunista ed ebrea Olga
Benário, alla Germania nazista. dove poi morirà in un campo di concentramento.
Passano pochi anni e in Cile, il
col. Marmaduke Grove Vallejo, alla testa di un gruppo di ufficiali
progressisti, dopo precedenti falliti tentativi, promuove un colpo di stato
militare che il 4 giugno 1932 rovescia il governo inefficiente e impopolare di
Juan Esteban Montero e proclama addirittura una velleitaria, quanto
effimera, Repubblica Socialista del Cile. Il governo ispirato da Grove infatti
durò pochissimo, solo 12 giorni, durante i quali vennero stabilite le
relazioni diplomatiche con la Russia sovietica e prese varie radicali misure
sociali per far fronte alle conseguenze della crisi del ‘29. Venne sostituito
con un mini-golpe interno alla giunta il 16 giugno 1932 dal più moderato gen.
Dávila, ma dopo 120 giorni l’esperimento “socialista” cileno, si concluse.
Grove fonderà poi, insieme a Salvador Allende ed altri, il Partito Socialista
del Cile divenendone nel 1938 Segretario Generale e presidente della coalizione
diFrente Popular che col radicale Pedro Aguirre Cerda vinse le
elezioni e governò il Paese dal 24 dicembre 1938 al 25 novembre 1941.
Ed è nel vasto Messico che il “filo rosso”
del progressismo militare d’anteguerra tocca forse il suo punto più alto col
pervenire, il 1º dicembre 1934, mediante elezioni, alla Presidenza del gen.
Lázaro Cárdenas del Río. Cárdenas, formatosi come quadro militare nella
Rivoluzione messicana ed è da molti messicani a tutt’oggi ritenuto il più
autentico interprete dei presupposti sociali zapatisti e il cardenismo,
com’è stata poi definita la sua opera, è ancora oggi una fonte
d’ispirazione per i movimenti popolari messicani. Il suo governo (1º dicembre
1934-1º dicembre 1940) diede finalmente attuazione ad una profonda riforma
agraria durante la quale armò i contadini per sfondare le ultime sacche di
resistenza latifondista , nazionalizzò le ferrovie e le società petrolifere, ed
in politica estera contenne efficacemente le ingerenze statunitensi. Al momento
dello scoppio della Guerra civile spagnola appoggiò attivamente la causa
repubblicana, diede poi asilo agli esuli e fu in seguito al suo impegno e
al suo prestigio che il Messico non riconobbe mai il governo franchista.
Cessato il suo mandato presidenziale, Cárdenas fu per 5 anni
Segretario alla difesa, poi si dedicò a progetti sociali ed operò
per l’indipendenza latinoamericana e lo sviluppo della democrazia.
Con la Seconda guerra mondiale si
accentuò l'egemonia degli Usa in America latina: nel 1942, con l’obiettivo
immediato di contrastare l'attività dell'Asse, venne infatti costituita a Rio
sotto la guida degli Usa una Junta Interamericana de Defensa,
strumento rafforzato nel 1947, all’inizio della “guerra fredda”, con la firma
da parte di 19 stati del continente del Tratado Interamericano de
Asistencia Recíproca (TIAR), detto anche Tratado de Rio,
(il primo patto internazionale “americano” di questo tipo dopo la guerra: la
Nato sarà costituita nel 1949 e la Seato nel 1954), che prevedeva un impegno di
difesa reciproca tra i paesi firmatari, nel caso che uno di essi venisse
attaccato. Nella sostanza questi patti (tutt’ora esistenti sebbene nel tempo
rescissi da Messico, Cuba, Venezuela, Nicaragua, Bolivia, Ecuador)
sancivano l’allineamento latinoamericano, sul piano diplomatico, militare
(istituzione delle scuole superiori di guerra delle forze armate
latinoamericane, ricorso periodico a manovre militari congiunte, ecc.),
ma conseguentemente anche economico, al “Paese guida”, gli Stati Uniti, e
l’impegno comune nel contrasto al comunismo non solo sul piano internazionale,
ma anche all’interno di ciascun Paese firmatario, secondo la concezione
elaborata dal gen. brasiliano Golberi do Couto e Silva.
Ma come spesso accade in America latina,
nello stesso periodo si assiste ad un consistente segnale in controtendenza nel
1946 quando, con la Presidenza di Juan Domingo Perón, l’Argentina ha una forte
impennata nazionalista, soprattutto in senso antiamericano e antibritannico.
Tutta la complessa ed importante esperienza peronista, finita nella sua prima
fase nel 1955, quando Perón verrà rovesciato da un colpo di Stato militare,
meriterebbe un capitolo a sé, ma essa, seppur di ispirazione per successive
esperienze progressiste, in quanto classificabile nei fenomeni popolari o
populistici, è tuttavia solo parzialmente inquadrabile, per le sue peculiarità
nazionali ed anche per i suoi variegati aspetti ideologici, nel generale
fenomeno del progressismo militare latinoamericano.
In tal senso merita piuttosto
soffermarsi un attimo su quanto accade nel 1951 in un paese seppur piccolo come
il Guatemala, con la significativa esperienza promossa dal col. Jacobo Arbenz
Guzmán. Del 1944 Arbenz era stato Ministro della Difesa nel governo del
riformista Juan José Arévalo. Nel 1951 si candidò alle elezioni presidenziali
con un programma progressista vincendole con quasi il 60% dei voti. Iniziò
pertanto la nazionalizzazione della United Fruit Company, padrona
economica del Paese, e nel 1952 legalizzò il Partito Comunista dei Lavoratori
Guatemalteco che incluse nella sua maggioranza parlamentare. Il suo governo
venne rovesciato il 18 giugno 1954 da un “esercito di liberazione” guidato
Castillo Armas organizzato dalla Cia nel Nicaragua di Somoza. Arbenz
Guzmán trovò inizialmente rifugio a Cuba e morirà poi, in circostanze
misteriose, nel gennaio del 1971 in Messico.
Dopo il successo della rivoluzione
cubana del 1959 ed i suoi sviluppi in senso socialista si ebbe un salto di
qualità nella pressione statunitense sull’America latina: emblematico in
tal senso il colpo di stato militare in Brasile del 1° aprile 1964 dove la
struttura dello stato e i principali centri di potere venivano assunti dalla
giunta militare o da tecnocrati suoi alleati con l'entusiastico appoggio del
sistema finanziario internazionale e nazionale mentre contemporaneamente si
sviluppava una repressione più selettiva profonda e spietata.
In questa generale ottica repressiva, ci
fu nel 1965 l’intervento diretto degli Usa nella Repubblica Dominicana. In quel Paese nelle elezioni del 1962 era giunto alla
presidenza Juan Bosch, intellettuale democratico che aveva combattuto
dall'esilio la spietata dittatura di Trujillo. Bosch avviò una decisa politica
riformista per questo venne deposto nel settembre 1963 da un golpe militare,
ispirato dalla reazione oligarchica. Il 24 aprile 1965 il col. Francisco
Caamaño Deñó si mise alla guida delle forze popolari che cacciarono il governo
golpista e il 4 settembre 1965 assunse la presidenza provvisoria della Repubblica.
Gli Usa, temendo una nuova svolta di tipo castrista, sbarcarono nell’isola un
forte contingente di truppe che insieme alla maggior parte delle forze armate
dominicane intervenne contro gli insorti. Per alcuni mesi si ebbero cruenti
scontri, poi l'Organizzazione degli Stati Americani, sotto la pressione
internazionale sfavorevole all'intervento unilaterale statunitense, varò una
soluzione di compromesso che portò al cessate il fuoco. Caamaño accettò questa
soluzione, ma le successive elezioni, svoltesi ancora in regime di occupazione
militare Usa, videro prevalere Joaquín Balaguer, il candidato da questi
favorito. Caamaño si rifugiò a Cuba da dove alcuni anni dopo, il 3 febbraio del
1973, promosse una spedizione guerrigliera che sbarcò nell’isola. Tredici giorni
dopo lo sbarco, il 16 febbraio, l'esercito dominicano annunciò di aver
sbaragliato gli insorti ed ucciso Caamaño che oggi a Santo Domingo è
considerato un eroe.
Nel “fatidico” 1968,
mentre i vasti fermenti politici e sociali investono anche questo continente
coinvolgendo con la Teologia della Liberazione anche non irrilevanti settori
della Chiesa cattolica ed in vari paesi latinoamericani operano da
qualche anno, in verità con scarsi esisti favorevoli, movimenti politici e
guerriglieri soprattutto di ispirazione cubana castrista-guevarista, due
militari progressisti, Omar Efraín Torrijos Herrera a Panama e Juan Velasco
Alvarado in Perù prendono il potere e lo gestiscono per non pochi anni.
Il gen. Omar Torrijos
comandante della Guardia Nazionale di Panama si era formato nella famigerata Escuela
de las Américas, fondata e diretta dagli Usa nella sua Canal Zone,
ma guidò una rivolta militare nazionalista e pur non essendo mai formalmente
presidente, diresse come Líder Máximo de la Revolución Panameña la
repubblica dal 1969 al 1981. Promosse la ridistribuzione delle terre , il pieno
impiego, la diffusione dell’istruzione popolare. Rimase famoso soprattutto per
aver ricontrattato con il trattato Torrijos-Carter del 1977 il problema della
sovranità Usa sulla Zona del Canale, poi estintasi, proprio in seguito a quel
trattato, nel 1999. Morì per un attentato che fece precipitare il suo aereo nel
1981 ed ancora oggi è ricordato a Panama.
In Perù il 3 ottobre
1968 il comandante dell'esercito gen. Juan Francisco Velasco Alvarado, guidò la
giunta militare che depose Fernando Belaúnde Terry e formò un governo
(1968-1975) composto da ministri sia militari che civili. Si dice che la
maturazione in senso progressista dei militari peruviani seguaci di Velasco
avvenisse in conseguenza del confronto con la guerriglia peruviana e dal
“ripensamento” consapevole delle sue istanze sociali, un po’ come avverrà poi
nel 1974 per il militari portoghesi protagonisti della “Rivoluzione dei
Garofani” maturati politicamente nelle guerre coloniali. Velasco pochi giorni
dopo la presa del potere espropriò la statunitenseInternational Petroleum
Company e nazionalizzò l'intero settore petrolifero come altri settori
chiave dell'economia, promulgò una riforma agraria che
fermò lo strapotere dei latifondisti, sfamò le popolazioni indigene e promosse
una profonda riforma dell'istruzione. Il Perù fu il primo degli stati
dell'America Latina ad ufficializzare accanto allo spagnolo una lingua indigena
il quechua. In ambito internazionale, il
governo di Velasco si fece promotore del non allineamento, , nei fatti però la
rottura con gli Stati Uniti lo portò ad allearsi con Cuba ed i paesi comunisti
dai quali fu potentemente armato e giunse, tra l’altro, seppur per antichi
motivi territoriali, quasi sull’orlo di una guerra con il Cile di Pinochet. Il
30 agosto 1975 finisce l’esperienza progressista di Velasco quando il gen.
Francisco Morales Bermúdez, allora Presidente del Consiglio dei ministri,
convertitosi agli interessi nordamericani, tradisce il suo Presidente e
prendendo a pretesto la difficile situazione economica e la salute di Velasco,
parte dalla città di Tacna ed effettua un golpe poi definito il Tacnazo.
Velasco si ritirò e morì all'ospedale militare di Lima il 24 dicembre
1977: il suo funerale al quale parteciparono molte persone si trasformò
in protesta contro il governo del “venduto” suo successore. Per ironia
della sorte nel 1980 la sua tomba al Cementerio del Ángel di
Lima oggetto di una delle prime azioni terroristiche dei guerriglieri maoisti
di Sendero Luminoso fu infatti fatta esplodere con la
dinamite. Quella di Velasco restò per il riformismo militare peruviano
un'importante figura a cui fare riferimento: alcuni suoi luogotenenti infatti,
ispirandosi alla sua opera, fondarono poi il Partito Socialista Rivoluzionario.
Nel 1970, infine,
proprio da settori di quell’esercito boliviano che nel 1967, con il Presidente
golpista gen. Barrientos represse con l’aiuto di consiglieri militari
nordamericani la guerriglia del Che Guevara, si ha, con la figura del gen. Juan
José Torres Gonzáles, l’ultimo esempio di militari progressisti al potere in
questi anni. Torres appoggia come ministro del lavoro le misure nazionali e
sociali del suo collega gen. Alfredo Ovando Candia salito al potere nel 1969,
ed il 7 ottobre del 1970 è nominato Presidente in seguito ad una rivolta
popolare, che coinvolge i lavoratori, le organizzazioni contadine, il movimento
studentesco e un settore di militari progressisti riuniti nel “Comando
Rivoluzionario delle Forze Armate” (Torres definirà questa alleanza come “i
quattro pilastri della rivoluzione”). Sotto Torres vengono nazionalizzati sia
la Gulf Oil Company come il settore minerario, viene decretata
l'espulsione dei Peace Corps degli Stati Uniti, vengono
stanziati grandi fondi per la promozione dell’istruzione e per le università in
Bolivia. Torres fu rovesciato da un colpo di stato di destra, il 21
agosto del 1971, guidato dal gen. Hugo Banzer, sostenuto da settori
conservatori della colonia brasiliana e tedesca in Bolivia. Andò in
esilio, prima in Perù , poi in Cile e, infine, alla successiva caduta di quei
governi progressisti si recò in l'Argentina, ma qui dopo l’avvento al
potere nel 1976 del regime del gen. Videla, morì in circostanze misteriose.
Dopo questo colpo di
stato militare in Bolivia, dal 1971 si verificano altri golpe ispirati dagli Usa contro le esperienze progressiste o
democratiche: fra i più importanti quello del giugno 1973 in Uruguay,
quello di Pinochet in Cile nel settembre 1973 (che si svolse solo dopo una
preventiva epurazione dei militari democratici), quello già ricordato del
Perù (1975), ed infine il golpe di Videla nel 1976 in Argentina.
Unica eccezione in quel contesto repressivo di segno militarista, anticomunista
e autoritario si ha in America centrale con la vittoria nel luglio 1979 della
guerriglia rivoluzionaria del Frente Sandinista de Liberación
Nacional in Nicaragua, a cui però faranno da contrappunto pesanti
interventi ispirati dagli Usa sia nei confronti delle guerriglie sorte nelle
repubbliche confinanti di El Salvador, Guatemala e Honduras come dello stesso
governo sandinista che tuttavia rimarrà al potere fino agli inizi del 1990.
Negli anni Ottanta la grave crisi economica latinoamericana ed una
montante opposizione popolare obbligarono il potere militare a far ritorno
nelle caserme: via via cadono le dittature sostituite da governi “democratici”
che tuttavia in gran parte seguono quelle politiche neoliberiste dettate dal
FMI che condurranno poi al disastro paesi come l’Argentina.
Con l'inizio degli anni
Novanta e la fine della guerra fredda, l'estensione generalizzata delle
pratiche neoliberiste ed il persistere della crisi economica generarono
nuovi fermenti tra le forze armate: vari circoli militari, in un progressivo
processo di marginalizzazione perché esclusi dai centri di potere e dal
controllo dei processi di sviluppo tecnologico, iniziarono a considerare con
ostilità l'ordine internazionale gestito dai governi nordamericani.
La figura più
rappresentativa di questo nuovo processo è stata senza dubbio quella del
venezuelano gen. Hugo Chavez che dopo aver tentato un colpo di stato nel 1992
vince le elezioni presidenziali del 1998 con un programma basato su un
cambiamento di rotta rispetto alle politiche liberiste, sulla giustizia
sociale, e su un patriottismo popolare e anti-imperialista. Chavez stravince
più volte le elezioni, sventa per la straordinaria reazione popolare un colpo
di stato nel 2002, cambia la Costituzione e da quel momento in poi il Venezuela
s’incammina sulla strada di un suo Socialismo del siglo XXI,
applicato alla realtà sudamericana. Il militare Chavez ha potuto avviare il suo
originale esperimento, lasciando, anche dopo la sua morte, a differenza di
consimili precedenti esperienze “carismatiche” tipiche del caudillismo,
dei seguaci e degli eredi politici, in Patria e fuori. Infatti l’esperienza chavistadella República
Bolivariana de Venezuela ha stimolato in vari modi la riscossa dei
partiti e dei movimenti progressisti e anti-imperialisti in tutta l’America
Latina come dimostrano le vittorie delle sinistre in varie tornate elettorali:
dal Brasile con le vittorie dal 2003 ad oggi di Lula
da Silva e di Rilma Roussef, all’Argentina con le presidenze dal 2003 ad oggi
dei peronisti di sinistra Néstor Kirchner e Cristina Fernández de Kirchner,
dalla Bolivia “india” del socialista Evo Morales presidente più volte
confermato dal 2005 ad oggi, all’Ecuador del socialista cristiano Rafael Correa
presidente più volte dal 2006, dall’ alternarsi delle presidenze in
Uruguay dal 2005 ad oggi di Tabaré Vázquez
e dell’ex-tupamaro José Mujica
ambedue del Frente Amplio delle sinistre, dal ritorno alla
presidenza nel 2006, confermata nel 2011, del leader sandinista Ortega in
Nicaragua, dalla vittoria nel 2008 in Paraguay del candidato progressista
Fernando Lugo, a quelle in El Salvador dal 2009 ad oggi dei candidati del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional, Mauricio Funes e Salvador Sánchez Cerén,
infine, è diventato presidente del Perù il nazionalista di sinistra Ollanta
Humala formatosi ideologicamente nell’etnocacerismo, ecc. Prosegue
l’attuale fase di una nuova America latina che, seppur in forme diverse fra i
vari paesi, comunque non vuol più essere il vecchio “cortile di casa” degli
Stati Uniti: periodo straordinario ed incoraggiante, ma anche, tutt’ora, denso
di incognite come dimostrano i vari e ripetuti tentativi destabilizzanti
soprattutto in Venezuela, Bolivia ed Ecuador se non addirittura golpisti di
forze reazionarie interne a quei paesi, con appoggi evidenti esterni, hanno cercato di riprendere quel potere,
(riuscendoci come nel caso del rovesciamento dei progressisti Lugo in
Paraguay e Zelaya nell’Honduras) che alle elezioni democratiche hanno più volte
perduto.
Per concludere è quindi
anche grazie ai fermenti minoritari, ma storicamente ricorrenti e
costanti di progressismo militare latinoamericano, se Cuba, dal 1959 ad oggi,
anche dopo la “caduta del muro”, ha potuto procedere nella sua esperienza
socialista e far fronte all’ostilità di un potente vicino come gli Usa, se oggi
i Paesi latino-americani sono riusciti a dotarsi di nuove strutture di
collaborazione economica, politica e anche militare (Alba, Celac, Unasur,
Mercosur, ecc.) di pari passo sviluppando accordi bilaterali e multilaterali,
una volta impensabili, con Paesi quali la Russia, la Cina, l’Iran, ecc. Anche
per questo quei Paesi possono oggi far fronte, con maggiori speranze che nel
passato, alla mai cessata ingerenza nordamericana e dei potentati finanziari
multinazionali.
Carlo Onofrio Gori
Versione integrale dell'articolo pubblicato in forma ridotta: Carlo Onofrio Gori, Militari progressisti in America Latina, in "Il Grandevetro": bimestrale di immagini politica cultura, n. 118, marzo/aprile 2015
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